Creato da counselor63 il 27/03/2008

LOGOS

Proviamo a comunicare, condividere, criticare per costruire, confrontarci, ascoltarci, relazionarci. Proviamo a crescere oltre i nostri confini.

 

 

Ecco come il pensiero condiziona la materia

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Il modo in cui pensiamo, condiziona sia il nostro corpo fisico che quello emotivo, spirituale e la nostra esistenza. 

- articolo di Massimo Catalucci

In un mondo centrato sulla materialità, su ciò che è subito tangibile, verificabile da un punto di vista logico/razionale, ci rimane sempre più difficile credere che un semplice pensiero, in questo caso inconscio, possa condizionare fortemente la materia, il nostro corpo, così come determinare chi siamo nella nostra vita e quello che riusciamo o non riusciamo ad ottenere dalla stessa.

Mi è già capitato di toccare questo argomento in passato più volte ed oggi vorrei tornarci sopra per fissare ancora di più e spero, sempre in modo comprensibile e facile da seguire, come tutti i nostri pensieri sono reali e come questi hanno un effetto diretto sul nostro corpo e sulla nostra vita.

Questo assunto non può che ricondurci a quanto la neuroscienza da diversi anni sta facendo, riguardo le ricerche nel campo della PsicoNeruroEndocrinoImmunologia (acronimo P.N.E.I.).

E in questa ricerca si è potuto constatare che il cervello rilascia sostanze chimiche che vengono trasmesse al corpo che a sua volta ci da’ il suo feeedback esatto, sotto forma di sensazioni, per cui possiamo affermare che noi siamo nel corpo e nei nostri comportamenti, atteggiamenti, modi di pensare, ecc., il frutto di pensieri consci e inconsci.

Ecco che ogni nostro pensiero, produce sostanze chimiche che permettono al corpo di produrre sensazioni.

In particolare, i pensieri inconsci possono metterci in uno stato piacevole o sofferente, anche senza che ci sia, consciamente, una ragione a cui possiamo ragionevolmente attribuirne la causa. Di certo è che la causa c’è ma, visto che parliamo di mente inconscia, quest’ultima la trattiene per Sé e non la fa affiorare alla mente conscia.

Mi spiego con un esempio.

Chissà a quanti di noi sarà capitato di alzarsi una mattina ed essere felici senza che ci sia una ragione oggettiva in quel momento che possa aver determinato tale sensazione ed emozione. E’ il meccanismo di “causa effetto inconscio“, per cui noi ne prendiamo solo la parte finale e ne viviamo l’emozione e le sensazioni associate. Ecco, in questo esempio, chissà per quale ragione, la nostra mente inconscia può essere stata stimolata da qualcosa all’esterno di noi (qualcosa che abbiamo visto, qualcosa che abbiamo vissuto direttamente o che ci è stato raccontato, ecc.) oppure, da qualcosa che abbiamo generato noi stessi, ad esempio con l’attività onirica. Questa attività inconscia ha solleticato la sfera del piacere, per cui il cervello ha prodotto una sostanza chimica, un neurotrasmettitore, chiamato dopamina, che rilasciata nel corpo ha generato uno stato di benessere psicofisico generale. Tant’è che l’espressione più comune che facciamo può assomigliare a questa: “non so perché ma stamattina sono particolarmente felice e mi sento benissimo“.

E’ conseguenziale immaginare che, laddove questo processo avviene per qualcosa che ha a che fare con il piacere, di controcanto, avviene anche che tale processo può mettersi in moto per produrre sostanze chimiche “tossiche” attraverso la nascita di pensieri inconsci sofferenti, quali ad esempio la rabbia, l’odio, che generano neurotrasmettitori, ovvero, messaggeri sotto forma di neuropeptidi che allo stesso modo producono sensazioni nel nostro corpo corrispondenti allo stato inconscio (negativo) che viviamo, per cui stiamo male, ci troviamo in uno stato di sofferenza.

A questo punto qualcuno potrebbe affermare che, non è vero che non siamo mai coscienti di pensieri piacevoli o sofferenti, può capitare che siamo coscienti di ciò che stiamo pensando, delle nostre emozioni e di conseguenza di ciò che proviamo nel nostro corpo sotto forma di sensazioni.

Questo appunto è sicuramente, vero. Come è vero che, se costantemente, viviamo uno stato di sofferenza costante, essendone coscienti, avverrà che in futuro, per effetto di connessioni che si susseguono in modo continuativo e ripetitivo nel nostro cervello,  questo innescherà un pensiero nella nostra mente “profonda” per cui abitueremo il nostro corpo a vivere, automaticamente (inconsciamente) e costantemente, lo stesso stato di pensiero anche nel corpo e nelle nostre azioni quotidiane. Tale condizione è, altresì, valida per i pensieri legati al piacere. Ora, la domanda è però d’obbligo: “nella nostra società sono più le persone che vivono uno stato costante e continuativo di piacere o di sofferenza?

Lascio a ognuno la risposta sulla base di ciò che vive ma osservando la nostra società, potrei azzardare, che è più facile che le persone si trovino in uno stato di sofferenza costante che in uno stato di ottimismo e piacere. Diciamo che sono più i momenti di sofferenza che si avvertono nella nostra società che quelli di piacere. Una dimostrazione è il caos e il panico che si sono sviluppati intorno a noi in questi due anni di pandemia, gettando in uno stato di sofferenza molti di noi.

In sintesi, il pensiero crea la sensazione e la sensazione a sua volta crea il pensiero, per cui potremmo definire questa condizione come il nostro “stato d’essere”.

Quindi, potremmo dedurre che la nostra salute psicofisica, è determinata tanto quanto da fattori alimentari, stili di vita, qualità dell’ambiente, attività fisica, buone relazioni, lavoro ed altro ma, molto anche dal nostro modo di pensare inconscio a cui dobbiamo prestare attenzione in partenza con la nostra parte razionale per poi, educare la nostra parte pensante più profonda a produrre i pensieri che desideriamo ed innescare processi biochimici volti più ad alimentare il piacere nella nostra esistenza.

Ciò, però, determina un grande sforzo da parte nostra, perché passare da una “lingua conosciuta”, fatta prettamente di logica, dove uno più uno fa sempre due, ad una “lingua sconosciuta” (perché di natura inconscia) dove non è più valido il concetto matematico poc’anzi espresso e dove diventa fondamentale appellarsi alla capacità innata immaginativa e creativa della persona, non è una cosa facile. Dialogare con la nostra mente inconscia, necessità di abilità che sono già insite in noi ma che la società in cui viviamo, per le ragioni centrate più sullo sviluppo di un pensiero razionale, logico e matematico, non ci permette di sviluppare, per cui dobbiamo farci carico della responsabilità di tirare fuori queste abilità che sono già in noi e che trovano fondamenta nella nostra capacità immaginativa e creativa. Occorre, quindi, apprendere la struttura del linguaggio inconscio se vogliamo imparare a condizionare attraverso quest’ultimo, il nostro corpo, ovvero, il nostro modo (stato) d’essere generale.

In tal senso ci sono molte scuole di pensiero, gestite da medici, psicologi, counselor, naturopati ed altri liberi professionisti dell’area del benessere, che propongono corsi per gruppi o incontri individuali dove apprendere determinate tecniche, affinché ognuno possa imparare il linguaggio della nostra mente inconscia per “installare programmi” (pensieri) che possano indurre il nostro cervello a produrre sostanze biochimiche specifiche volte ad aumentare lo stato di benessere nella persona. Tra queste tecniche possiamo citare il training autogeno, l’ipnosi, la meditazione, il rebirthing (particolare tecnica di respirazione libera e profonda), praticabili anche da soli una volta appreso il processo di sviluppo delle stesse.

 
 
 

Dialogo con l’inconscio, primi passi: “Prendere consapevolezza delle proprie sensazioni ed emozioni”

Post n°55 pubblicato il 08 Novembre 2019 da counselor63
 
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Dialogo con l’inconscio, primi passi: “Prendere consapevolezza delle proprie sensazioni ed emozioni”

- articolo di Massimo Catalucci 

Sentiamo spesso parlare di gestire, navigare, controllare i nostri sensi e le nostre emozioni e poco di come attuare un processo che possa permetterci di governarli con consapevolezza.

Diventare consapevoli delle nostre sensazioni e delle nostre emozioni  ci offre l’opportunità di essere perfettamente, al corrente di ciò che stiamo, realmente, vivendo nel qui ed ora.

Perché è importante questo primo passo, ovvero, diventare consapevoli delle nostre sensazioni ed emozioni?

Perché in ogni attività psico-emotiva nella quale intendiamo introdurci per una qualsiasi ragione, sia essa legata ad una semplice quanto impegnativa ricerca, crescita e sviluppo personale; sia essa legata ad un processo di elaborazione di un qualsiasi disagio esistenziale che stiamo vivendo; è fondamentale aver coscienza delle sensazioni e delle emozioni con le quali instaureremo un vero e proprio dialogo psicoemotivo, sfruttando la nostra capacità di “sentire”, sia attraverso il corpo fisico, sia attraverso il corpo emotivo.

Il concetto connesso al “sentire” ci pone nella condizione di “ascoltarci”, immergendo la nostra mente conscia nei messaggi che l’inconscio ci trasmette attraverso sensazioni ed emozioni.

Per fare ciò, però, è necessario avere a mente che, sia le sensazioni che le emozioni non sono stati di cui siamo sempre coscienti, per cui occorre esercitarci per programmare risposte emotive consone a ciò che intendiamo si manifesti  in noi sotto il profilo comportamentale.

Spieghiamoci meglio. La sensazione e l’emozione vengono spesso considerate come due stati che riguardano una stessa condizione. In realtà, c’è differenza tra la “sensazione” che è uno stato fisico legato al corpo e l’emozione che è uno stato psichico legato alla parte limbica del cervello. In tutti e due i casi, però, sensazione ed emozione attivano un processo neurologico che fa scattare una risposta, psichica, emotiva, fisiologica e comportamentale, nel momento in cui le avvertiamo.

Queste due condizioni, inoltre, non sono sempre da noi rilevate consciamente, non siamo sempre consapevoli delle esperienze sensoriali ed emotive che viviamo.

Per fare un esempio sensoriale consapevole, che può rappresentare meglio quanto suddetto, possiamo provare a portare in questo momento la nostra attenzione su uno dei nostri piedi e chiederci, “quale è la parte del mio piede che sento di più a contatto con la superficie dove è poggiato?” – “Quale sensazione avverto?” – “Come sento il mio piede: freddo, caldo tiepido, ecc.?”

In questo caso, noteremo che la nostra attenzione sensoriale rivolta al piede, ora, è elaborata a livello cosciente, di consapevolezza dell’esperienza, proprio perché la nostra attenzione è stata rivolta ad una parte specifica del nostro corpo: il piede.  Prima che ci ponessimo le domande per avere attenzione al nostro piede,  sarebbe dovuto accadere qualcosa, ad esempio un “crampo improvviso”, per far si che la nostra attenzione fosse rivolta a quella parte specifica del corpo.

Dicesi la stessa cosa per l’emozione. Quante volte ci è capitato di avvertire uno stato di tristezza  e/o di euforia, senza che apparentemente, ci fosse una motivazione razionale a ciò che provavamo emotivamente? Sicuramente, sarà capitato a tutti di trovarsi in questo stato inconscio e, allo stesso tempo, avvertire quella specifica emozione.

Bene, questo per dire che sensazioni ed emozioni non sono sempre allineate con la nostra parte conscia, cosa invece diversa per la nostra parte inconscia con la quale sono sempre in contatto e pronte ad attivare, attraverso il sistema limbico del nostro cervello e più esattamente, attraverso l’amigdala, degli “imput” che attivano il sistema nervoso e un determinato processo comportamentale di risposta. Processo che attiva un nostro modo di pensare e agire non razionale, bensì dettato da uno stato emotivo.

Quindi, sensazioni ed emozioni, sono sempre collegate con la nostra parte più profonda e quando questa parte viene “stimolata” da informazioni che provengono dall’esterno (contesti,  persone, oggetti,  ecc.,  con cui entriamo in contatto) o dall’interno (contesti psicologici che produciamo naturalmente anche in modo conscio), attiva la risposta che il nostro sistema psicofisico ed emotivo, ritiene più idonea da  perseguire secondo il principio primordiale di sopravvivenza.  

Ecco che torna, prepotentemente, la necessità di apprendere bene le basi di un ascolto attivo del proprio corpo fisico ed emotivo. Questo, se si vuole iniziare a prendere coscienza del linguaggio inconscio.

Per fare un’analogia con la scuola, è come dire di iniziare la prima classe elementare per capire come imparare a leggere e come imparare a scrive utilizzando dei simboli su un foglio di carta.

La stessa cosa avviene con il linguaggio dell’inconscio che ha una sua struttura precisa e che non è possibile decifrare con il linguaggio razionale,per cui occorre imparare la sua struttura di linguaggio.

Più volte, nei miei scritti, ho evidenziato che ogni linguaggio ha una sua struttura. Rivediamo, velocemente,  questo concetto con un esempio.

Spostiamoci per un attimo nel campo dell’informatica per semplificare il principio di una struttura di linguaggio.

Proviamo a pensare quando usiamo ad esempio la tastiera del nostro computer. Quando la usiamo con un programma specifico quale è “Word”, che è un sistema di scrittura, i tasti che useremo corrisponderanno esattamente sul monitor, a ciò che è sulla nostra tastiera, ovvero, se digiteremo una lettera, questa apparirà tale e quale sullo schermo, così come se userò un qualsiasi altro simbolo legato alla scrittura. Questo, perché il programma che stiamo utilizzando è specifico per scrivere utilizzando lettere, numeri ed altri simboli di scrittura e lettura.

Ma, cosa accade se volessi utilizzare la testiera e il mouse per fare disegni , modificare immagini o vedere dei video? Potremmo utilizzare lo stesso programma che abbiamo utilizzato per scrivere? Alcuni, potrebbero ipotizzare che anche “Word” offre la possibilità di creare immagini, modificarle. E questo è vero ma, sarebbe la stessa cosa come se utilizzassimo un altro software studiato appositamente, per creare, modificare, stampare immagini (ad esempio Photoshop)? Certo che no!!!

Questo per dire che se vogliamo produrre un risultato eccellente e con minori sforzi, dobbiamo utilizzare il programma di linguaggio più consono al nostro lavoro: Scrittura e lettura (WORD); Creazione e modifica delle immagini (Photoshop).

Questo accostamento con l’informatica vuole solo indicare che noi utilizziamo due linguaggi per formulare pensieri che sono sempre in stretto collegamento tra loro: il linguaggio razionale e il linguaggio simbolico dell’inconscio.

C’è da dire che, a governare la nostra vita, non è però il nostro linguaggio razionale, bensì, quello inconscio, perché legato fortemente al sistema limbico dove filtrano le emozioni che sono poi il vero motore della qualità della nostra esistenza.

Ecco, infine, perché è importante partire dall’apprendere i meccanismi di ascolto attivo del nostro corpo fisico e del nostro corpo emotivo. Questa pratica costante e continuativa, ci pone nella condizione di apprendere l’ABC di un linguaggio che ci apre le porte al fantastico mondo del nostro inconscio. Ci offre la possibilità di accedere alla “stanza dei bottoni” che governano la nostra esistenza e toccare quelli che possono determinare un cambiamento protratto alla trasformazione di condizioni che desideriamo trasformare nella nostra vita.

È ormai, scientificamente, provato che le emozioni condizionano il nostro corpo fisico e la nostra salute. Si vedano gli studi di “cardio-psicologia” e gli effetti sulla salute, derivati da una ricerca effettuata su soggetti terrorizzati a seguito di un terremoto nel 1994 a Los Angels; oppure le ricerche di Michael Frenneaux che indicano come la depressione raddoppierebbe il rischio di infarto in soggetto sano e lo  quadruplicherebbe in soggetti cardiologicamente già interessati; oppure ancora, come, secondo gli studi della Duke University, i condizionamenti emotivi  psichici e sociali possono essere influenti sulla salute umana, quanto il fumo, l’obesità, l’ipertensione.

Ecco quindi che, diventa evidente la necessità di portare maggiore consapevolezza nell’ascolto attivo del nostro corpo fisico ed emotivo, per instaurare un linguaggio, “amichevole”, con il nostro inconscio evitando di dare risposte razionali a ciò che razionale non è.

A tal proposito e per chiudere questo breve “excursus”  riguardo la connessione tra sensazioni, emozioni e inconscio, è bene evidenziare, ancora una volta, che la sede in cui le emozioni si manifestano, è quella del sistema limbico che lavora in modo indipendente dal resto del cervello ed anche se la corteccia cerebrale può inibire tale sistema, la parte del cervello limbico si attiva prima e più in fretta. Ci sono situazioni considerate dei veri e propri “sequestri emotivi” dove il sistema limbico controlla direttamente ed in modo istantaneo e “anarchico” il nostro sistema Neurovegetativo, quindi, anche ormonale.

 

 
 
 

RICERCA DI UNA VITA DIGNITOSA..... FUGA DI ITALIANI ALL'ESTERO.

 

È dal 2009 che lavoro in qualità di consulente presso due Centri di Orientamento Lavoro di Roma Capitale e del Comune di Ardea ed è diventato veramente insopportabile assistere impotenti alla situazione generale precaria nella quale, molte persone sono costrette a vivere.

La mancanza di offerte di lavoro adeguate a garantire il sostegno economico alle famiglie, sta facendo crollare psico-emotivamente e fisicamente molte persone. Che si tratti di lavoro dipendente o forme di lavoro autonomo in forma individuale o societaria, non fa distinzione, la crisi colpisce datori di lavoro e dipendenti e/o collaboratori. 

Nei Centri Orientamento Lavoro, si è passati da un’assistenza nella ricerca del lavoro, esercitata attraverso la compilazione di bilanci delle conoscenze e competenze pregresse acquisite dalla persona, ad un’assistenza socio-psicoemotiva della stessa. 

La cosa più eclatante ed allarmante, non è la perdita del lavoro, con cui le persone devono comunque fare i conti e che è sicuramente un dato importante, ma, la perdita della propria dignità ed identità lavorativa.

Questa costante crisi economica, ha gettato le famiglie italiane nello sconforto più assoluto, togliendo dignità alla persona, la quale vive giornalmente stati “depressivi” che la portano anche a non riconoscersi più utile socialmente. 

Le fasce più colpite, poi, sono quelle dai 40 anni in su, con coniuge e figli a carico. 

Purtroppo, questo stato di cose, ci fa dire che è fortunato chi riesce a trovare qualche lavoretto saltuario, “regolarmente” (passatemi il termine ironico) senza contratto di lavoro adeguato, naturalmente!!!

Ma, questa tragica situazione economica, colpisce solo l’Italia oppure, è gestita diversamente negli altri stati europei?

Da una ricerca effettuate in Europa, i dati ci dicono che in alcuni paesi, ad esempio in Germania ed in Norvegia, solo per citarne due, la situazione è totalmente diversa. 

In questi Stati, non solo gli stipendi medi sono molto più alti dei nostri, ma, il potere di acquisto è molto più alto per le famiglie, per effetto del costo della vita che è paragonabile ad un terzo di quello che un italiano è costretto a sborsare per vivere.....anzi, oserei dire, per sopravvivere!!!

Ecco che, nei Centri di Orientamento al Lavoro, sta aumentando la richiesta di opportunità lavorative all’estero.

In questi ultimi mesi, sono diverse le persone che ho assistito per orientarle nella ricerca di lavoro furi dall'Italia.

Esiste un’agenzia europea (EURESS - http://ec.europa.eu/eures/main.jsp?catId=27&acro=eures&lang=it) che si prefigge di fornire servizi ai lavoratori e ai datori di lavoro nonché a tutti i cittadini che desiderano avvalersi del principio della libera circolazione delle persone nei paesi europei. 

Capisco che non è facile lasciare la propria nazione per andare a vivere in un’altra. I fattori limitanti sono diversi, ma, ho visto che molte persone e non parlo di giovani, ma, di persone adulte alla soglia dei cinquant’anni, piuttosto che vivere........pardon ...“sopravvivere”, con il rischio di perdere qui la propria casa (c’è già chi l’ha persa) e quel poco che con anni di sacrifici hanno messo da parte, preferiscono tentare la carta dell’estero.

È un dato sicuramente allarmante per l’Italia, ma, credo che lo stato attuale economico, non permetta a molti italiani, di intravedere un futuro roseo nei prossimi anni.

Dalle consulenze presso i Centri di Orientamento Lavoro nei quali opero, ho avuto modo di constatare che le aspettative degli Italiani, per i prossimi anni, relativamente ad un miglioramento economico, sono alquanto pessimistiche, per cui, la maggior parte delle persone, ritiene che il nostro Stato sia diventato oramai ingovernabile. Chiunque si siederà alla poltrona del Governo, per effetto di una situazione compromessa, non avrà la possibilità di risollevare le sorti di uno stato sociale ed economico, nel breve tempo successivo alle elezioni politiche.

Ecco perché sta facendosi sempre più consistente la possibilità di molti italiani di emigrare in altri paesi europei, nella speranza di ritrovare uno degli elementi fondamentali della dignità umana nel contesto sociale in cui vive: l’identità lavorativa.

Certo è che, quello della mancanza di offerte di lavoro nel nostro paese, fa ripensare costantemente al principio su cui è stata fondata la nostra costituzione italiana e al paradosso che esso attualmente presenta: 

(art. 1) L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

A testimonianza che in altri paesi d’Europa, è possibile vivere dignitosamente e con una qualità di vita migliore rispetto a quella che troppi italiani conducono nel nostro paese, allego un video clip (vedi sotto link) che ci può dare un’idea di cosa succede all’estero, con la speranza che i nostri governati futuri (mi rivolgo a tutti indistintamente pur rispettando le mie idee politiche) possano ispirarsi a quei paesi che riescono a garantire ai propri cittadini, dignità e lavoro. 

Cordialmente

Dott. Massimo Catalucci Cr.

http://www.youtube.com/watch?v=EY0iQ46MCFQ

 

 
 
 

DIRITTI...DIRITTI....DIRITTI.....!!!! MA, I DOVERI DI RENDERLI ATTUABILI PER TUTTI.....CHI LI METTE IN ATTO?

Post n°53 pubblicato il 23 Dicembre 2012 da counselor63
 
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Ci sono periodi come quelli che ci avvicinano alle elezioni, in cui sentiamo i nostri politici, sventolare al vento la parola "difesa dei diritti": il diritto delal casa, il diritto all'istruzione, il dirtto delle pari opportunità; diritti di tutti i tipi.

Bene! Laddove è appurato che esistano diritti sacrosanti per tutti gli esseri umani, riconsciuti dalle istituzioni internazionali, siamo sicuri che questi siano fondati sull'uguaglianza e sulle pari opportunità?

Mi spiego meglio: la scuola, ad esempio, è un diritto per tutti, ma cosa accade nel momento in cui un ragazzo non raggiunge gli obiettivi previsti dal programma didattico, per cui viene indicato alla famiglia di fargli fare delle ripetizioni per recuperare? Oppure: cosa acacde se una persona perde il lavoro e deve pagare il mutuo delal casa? 

Il diritto alla studio e l'istituzione scolastica, purtroppo, non considerano la situazione familiare del ragazzo (o forse la considerano in teoria): fisica, psico emotiva, ecnomica e lavorativa. Per cui, un ragazzo che vive una situazione più agiata, rispetto ad un altro, delle situazioni su elencate, avrà sicuramente un vantaggio rispetto al suo coetaneo. Ad esempio, quest'ultimo avrà la possibilità da parte della sua famiglia, che può pagargli le ripetizioni, di recuperare più agevolmente il programma didattico. L'altro, non potrà farlo, perchè la famiglia non ha le condizioni economiche adeguate per sostenere tale spesa.   

Nel diritto al lavoro e dalle istituzioni che si occupano di tale area, vediamo che, anche qui, ci sono delle incongruenze che non permettono a coloro che perdono il lavoro, di trovare in tempi accettabili, una soluzione alternativa. Se consideriamo poi che la maggior parte degli italiani (si stima circa l'73 %) ha una casa di proprietà (anzi, dicamo a mezzi con la banca) e per cui ci pagano il mutuo, la perdita del lavoro e la mancanza di soddisfazione di tale diritto, si ripercuote sul disoccupato, facendogli perdere il potere economico di acquisto e credibilità nei confronti delle aziende di credito, che chiudono subito i rubinetti bancari al malcapitato. A parità di condizone lavorativa, ovvero, perdita del posto di lavoro (disoccupazione), laddove c'è chi, perdendo il lavoro, perde anche la possibilità di far fronte alle spese quotidiane e periodiche  (mutuo incluso), c'è chi ha situazioni patrimoniali diverse che gli permettono di capitalizzare ciò che ha e ripartire, magari in forma più moderata, rispetto a chi invece, in mancanza di lavoro, si trova a perdere tutto, ovvero la sua casa. 

Allora potremmo dire che il "diritto" a ricevere un qualsiasi servizio o condizione, è relativo, ossia, in "potenza" tutti hanno diritto ma, in "atto", il diritto diveta effettivo solo per coloro che hanno situazioni personali più agiate e favorevoli, anche in situazioni critiche.

Cordialmente

www.massimocatalucci.it

 

 
 
 

CONOSCERE IL LINGUAGGIO DELL’INCONSCIO PER COMPRENDERE LE DINAMICHE COMUNICATIVE E RELAZIONALI UMANE.

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Quando si parla di comunicazione tra gli esseri umani, non si può fare a meno di considerare anche gli aspetti relazionali che la caratterizzano. 

Inoltre, si devono sempre tener conto gli strumenti comunicativi e i linguaggi che l’essere umano adotta per trasferire un messaggio da un individuo ad un altro o, per comunicare interiormente con se stesso.

Nelle nostre azioni quotidiane comunicative e relazionali interpersonali e intrapersonali, usiamo sia i codici verbali, che conosciamo molto bene e che sono attribuibili alla nostra capacità di razionalizzare, che quelli non verbali, di cui non ne conosciamo il linguaggio, né la struttura e che sono attribuibili al nostro sistema inconscio. Questi ultimi, spesso, trasferiscono messaggi difformi da quelli che vorremmo inviare, sia verso noi stessi (dialogo intrapersonale) che verso gli altri (dialogo interpersonale), minando altresì, la qualità del rapporto con noi stessi che, con i nostri simili.

Conoscere il linguaggio dell’inconscio, ci permette di migliorare, sia la qualità della comunicazione interiore che esteriore e la qualità delle nostre relazioni interpersonali: familiari, di coppia, nel lavoro, nelle amicizie, ecc.. Lo scambio comunicativo e relazionale tra umani, è, inoltre, il modo attraverso il quale nutriamo emotivamente il nostro inconscio. 

Sembrerebbe che questo processo inizi già dal momento del nostro concepimento e i primi contatti comunicativi di rilevante significatività, per lo sviluppo della nostra personalità, sono con le figure importanti della nostra esistenza: Caregiver.

La qualità di questi nutrimenti, ossia, dei “bisogni emotivi” di cui ci alimentiamo fin dal nostro concepimento, determinano le caratteristiche della nostra personalità, dando vita ad un nostro personale modello del mondo interiore, che sarà la nostra bussola con la quale ci muoveremo ed orienteremo nel mondo rispondendo positivamente o negativamente a specifiche situazioni e per le quali, sentiremo attrazione o repulsione: contesti, ambienti, persone, cose, animali, ecc..

È bene prendere coscienza, quindi, delle dinamiche comunicative e relazionali inconsce che siamo in grado di mettere in atto, per sviluppare una qualità comunicativa “intra” e “interpersonale”, che più si confà alle nostre esigenze personali di autodeterminazione e autorealizzazione.

Cordialmente.

www.massimocatalucci.it

 

 
 
 

CRISI ECONOMICA. QUALI EFFETTI PRODUCE SUL NOSTRO STATO PSICOEMOTIVO?

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L’attuale precaria situazione socio economica, sta diffondendo nella popolazione mondiale, una destabilizzazione psicoemotiva, che si riflette anche sugli aspetti fisici e relazionali di ognuno di noi: intrapersonali, interpersonali e con l’ambiente a noi circostante.

Questa destabilizzazione, non ci permette di avere il giusto equilibrio per affrontare con serenità e lucidità, i problemi che ci si presentano giornalmente in questo periodo di forte crisi economica.

L’insufficiente offerta di lavoro, in una società, comunque, ormai fondata sul consumismo,(file interinabili di persone che attendono giornate intere davanti i negozi di telefonia mobile per accaparrarsi l’ultimo modello di “i-Phone” sono un esempio della nostra dipendenza dal consumismo), non spegne il desiderio di possesso di tutti quei bisogni che abbiamo “identificato” come elementi del nostro Benessere, ma, aggrava ulteriormente la nostra situazione già precaria e ci porta ad essere vittime di un sistema fondato su valori effimeri, quali l’APPARIRE più che l’ESSERE, che ci fa ancora più sprofondare in una insofferenza esistenziale cronica, tra ciò che vorremmo avere e ciò che non possiamo ottenere.

Allora, cos’è che fa la differenza tra chi riesce a trovare il giusto equilibrio in questo stato di cose confusionali e precarie e chi invece tende ad arrendersi passivamente davanti al problema esistenziale, sociale ed economico che vive?

In sintesi, qual è la differenza tra chi ha “successo personale” nella vita e chi lo desidererebbe ma, non lo raggiunge?

Per rispondere a questa domanda, forse, dovremmo prima chiederci cosa intendiamo per “SUCCESSO PERSONALE”.

Un luogo comune, dettato da un sistema oramai radicato, è quello per cui, il termine “SUCCESSO”, viene rilegato spesso, esclusivamente, al BENESSERE ECONOMICO.

Il benessere economico è sicuramente un elemento che contribuisce al nostro SUCCESSO e alla nostra AUTOREALIZZAZIONE nel contesto sociale in cui viviamo, ma, siamo sicuri che solo una buona base reddituale ci procuri quella sensazione di SUCCESSO e di BENESSERE cui noi esseri umani naturalmente aspiriamo?

Siamo sicuri che il nostro BENESSERE è dato principalmente da una buona base economica?

Se consideriamo questa accezione come risultato di un BENESSERE esclusivamente legato al nostro STATUS ECONOMICO, come mai, molte persone con tanti soldi e famose, finiscono per trovarsi in situazioni disagiate da un punto di vista esistenziale che le portano a “compensare” i propri disagi in comportamenti distruttivi che trovano sfogo, purtroppo, nella tossicodipendenza, nella delinquenza o addirittura nel suicidio?

Solo per citare alcuni esempi, ricordiamo: Diego A. Maradona (campione del Mondo di Calcio)Mike Tyson (campione del Mondo di Boxe)Elvis Presley (mito di tutti i tempi del Rock and Roll)Michael Jackson (indiscussa Rockstar)Whitney Houston (famosissima Rock Star e attrice internazionale), Robbie Williams (altra indiscussa Rockstar), Marco Pantani (campione di ciclismo).

Probabilmente, il vero SUCCESSO PERSONALE e SOCIALE e la ricerca di esso, sono qualcosa di diverso rispetto l’attuale modello di un SISTEMA SOCIALE che tutti noi abbiamo in qualche modo contribuito a creare negli anni e che fa rima con RICCHEZZA ECONOMICA.

Per raggiungerlo, occorrerebbe allora sviluppare una coscienza critica costruttiva, transitiva e dialogica per potenziare le nostre risorse personali. 

Ne consegue che, se prestassimo più attenzione al disagio, non opponendoci ad esso, ma, considerandolo come un pretesto per attivarci nella ricerca di nuovi elementi e risorse, anche se è comprensibile considerare che in alcuni casi la base di partenza può essere più che precaria ( es.: ho perso tutto; mi hanno tolto la casa; il mio compagno/a mi ha lasciato/a;   fisicamente non ce la faccio; ecc.ecc.) allora, forse, potremmo cominciare ad immaginare di costruire un futuro migliore per noi.

Sappiamo inoltre che, la soddisfazione ordinaria dei nostri bisogni umani primari (fisiologici) e affettivi (emotivi), conformemente alle nostre individuali esigenze e potenzialità attuali e aspettative psicofisiche ed emotive: sesso, età, status socioeconomico e culturale, capacità cognitive e fisiche, ecc..,  può portarci alla nostra completa autorealizzazione come persone soddisfatte nel contesto sociale in cui viviamo.

Il SUCCESSO PERSONALE e SOCIALE può quindi essere visto come l’apice di un progetto individuale di  “AUTOREALIZZAZIONE”?

Credo di “SI”!!!

Tale obiettivo è molto probabile raggiungerlo se, siamo in grado di AUTODETERMINARE CONSAPEVOLMENTE le nostre LIBERE SCELTE, anche e maggiormente, all’interno di un contesto avverso di crisi economica mondiale, come quello attuale in cui ci troviamo.

Sviluppare, quindi, una coscienza critica costruttivatransitiva e dialogica, potrebbe aumentare di molto, in primo luogo, le probabilità di finalizzare il nostro progetto diLIBERAZIONE (inteso come distacco emotivo) dal possibile DISAGIO ESISTENZIALE,nel quale potremmo essere caduti e, in secondo luogo, darci la possibilità di ricercare con maggiore lucidità, trovare ed utilizzare risorse e strumenti adeguati con cui edificare il nostro futuro.

Se saremo in grado di guardare con occhi diversi lo stesso problema, ma con strumenti adeguati, saremo anche in grado di accogliere il disagio e trasformarlo secondo le nostre reali potenzialità, relativamente alle risorse che saremo stati in grado di produrre e mettere in campo nel raggiungimento del nostro personale obiettivo individuale nel contesto sociale in cui viviamo.

Cordialmente

Dott. Massimo Catalucci Cr.

 
 
 

SAPERE, POTERE E VOLERE

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R. COUSINET, definiva le capacità e le attitudini di una persona, come una condizione di SAPERE, POTERE, VOLERE.

Questo processo è sempre presente nelle fasi di apprendimento informale e quasi mai nei contesti formali.

SAPERE, POTERE e VOLERE, non sono delle fasi distinte tra loro e sequenziali, ma sono condizioni compresenti determinati nell’apprendimento personale.

Sappiamo che l’apprendimento informale, causa il contesto libero da vincoli in cui si manifesta, ben predisponga la persona a ricevere informazioni (sapere = Sapio “latino” = Gusto della Conoscenza) che ritiene utili per se, sviluppando nella stessa, la consapevolezza di poter fare (potere): “Se conosco, allora sono in grado di fare”.  La persona, attraverso l’apprendimento informale, è in grado di trasferire efficacemente quanto appreso nell’esperienza quotidiana, cosa invece che stenta ad emergere nei processi di insegnamento/apprendimento formali.

Infatti, sentiamo spesso, nelle aule scolastiche, le seguenti frasi espresse da molti ragazzi: ma a cosa mi serve studiare tutte queste materie, la matematica, la storia, ecc. ….. ma a che mi serviranno nella vita?   Nella vita servono i soldi! Abbiamo una classe politica, nella quale ci sono molti individui che guadagnano fior di miglia di euro al mese, ma sono ignoranti come capre! Io devo imparare a fare un lavoro. Questo mi garantisce un contributo economico.  Ci sono tante persone che hanno studiato molto, lauree e master vari, ma, nonostante tutto, si ritrovano a fare lavori dove è sufficiente il solo titolo di scuola media inferiore….allora a che serve studiare? ….. ecc. ……..

Tutto questo, naturalmente, crea i presupposti per un rifiuto a priori, da parte della maggioranza di persone, a ben predisporsi ad un eventuale apprendimento strutturato (formale) di conoscenze e competenze.

Nelle semplici ma reiterate frasi portate ad esempio e pronunciate da tanti giovani, ma anche da tanti adulti che tornano obbligatoriamente a fare formazione professionale per motivi di lavoro, si legge come sia importante strutturare attività didattiche che tengano in considerazione il contesto informale, integrandolo a quello formale, per favorire lo sviluppo di conoscenze e competenze adeguatamente e concretamente spendibili nella quotidianità.

In conclusione, diciamo che l’apprendimento procura POTERE. La persona ha la possibilità di porsi come centro di rapporti significativi con se stesso e il mondo esterno (cose, persone, vicende umane). Ne consegue la condizione di VOLERE, che si concretizza quando l’apprendimento diviene capacità di decisione ed espressione di VOLONTA’. Chi apprende VUOLE, DECIDE, SCEGLIE, ACCETTA o RIFIUTA MODELLI COMPORTAMENTALI, sempre in ragione di una convenienza personale e come azione spendibile nelle proprie esperienze di vita quotidiana.

Cr. Massimo Catalucci

www.massimocatalucci.it

 
 
 

2012 - Felice Nuovo Anno.......(?)

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Se osserviamo bene, forse la storia si ripete. E' quello che il post nell'allegato link (Clicca qui per leggere) ci fa balzare agli occhi. Cambiano le persone, cambiano i partiti, ma la coscienza dell'umanità, in generale, rimane la stessa. Se riuscissimo a trasformare il nostro modo di pensare, attivandoci per svilupapre in noi una coscienza sociale responsabile, fatta di lealtà, impegno, rispetto della nostra identità umana e dell'identità sociale, del ruolo importante che abbiamo nella nostra società, come figli, genitori, professionisti, politici, ecc., forse cominceremo a cambiare le cose, generando una nuova coscienza collettiva che, a distanza di anni, produrrebbe nuove amministrazioni ed amministratori, quest'ultimi consapevoli del ruolo determinante che ricoprono, a tutela dei diritti/doveri delle persone nel loro contesto socioculturale.
Nasce un nuovo anno.........può nascere una nuova civiltà....ognuno di noi ha la possibilità di partecipare a questo grandioso Evento......lasciamoci illuminare dalla saggezza innata che è dentro di noi e facciamoci trasportare nella sua scia luminosa.....Un Sereno 2012 a Tutti Noi.
Massimo Catalucci

 
 
 

"SEQUESTRO EMOTIVO"

Post n°46 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da counselor63
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Il Counseling, una Nuova Professione Assistenziale di sostegno sociopsicoemotivo per la persona.

La paura di non farcela, le fobie, gli  stati di ansia che insorgono costantemente in situazioni particolari (esami scolastici, lavoro, famiglia, sesso, competizioni sportive, ecc.), la malattia di un proprio caro,  la perdita del lavoro, la scarsa autostima, l’inadeguatezza, l’insicurezza, i sensi di colpa, la solitudine, l’abbandono, il lutto, la separazione dal coniuge e/o dei propri genitori, la timidezza,  e così via per tante altre situazioni di vita destabilizzanti che ci logorano fisicamente, psicologicamente ed emotivamente, ci fanno piombare in uno stato sofferente per cui accade che non riusciamo più a gestire con il giusto equilibrio la nostra esistenza.

Ancora più semplicemente può capitare di sentirci confusi, di non saper quale decisione  prendere relativamente a una questione qualsiasi. Ci sentiamo disorientati, impotenti.

In tutte queste circostanze la nostra emotività è messa a dura prova e pertanto può rimanerci difficile se non impossibile, pensare positivamente al presente e al futuro, mentre ci rimane più facile rimuginare su un passato e un presente negativi, condizionanti e debilitanti.

In queste situazioni il nostro sistema integrale umano, fisico, psichico, emotivo essendo sottoposto ad una pressione continua, ricorre a particolari comportamenti protettivi di tutto se stesso.

Questi comportamenti protettivi sono definiti “straordinari” o “compensatori”  e possono essere i seguenti:

·       alimentazione sbagliata;

·       eccesso o mancanza di attività fisica;

·       eccesso o mancanza di igiene;

·       rifiuto del rapporto sessuale o ricerca costante del sesso;

·       rifiuto o ricerca costante di compagnia (amicizie);

·       particolare attenzione per il gioco dove si scommette: gratta e vinci, videogame, ed altri tipi;

·       fumare (compreso l’uso di droghe pesanti e/o leggere);

·       bisogno impellente di provare forti emozioni;

·       isolarsi evitando costantemente le relazioni (coppia, amicizia, familiari, ecc.);

·       ricerca continua di relazioni virtuali (chat internet) evitando il confronto reale di una relazione;

·       ipocondria;

·       bere (alcol);

·       ricorsa al farmaco (eccitante / calmante);

questi ed altri comportamenti “straordinari” o “compensatori”  non citati, diventano la logica conseguenza di uno stress (distress) psicofisico ed emotivo, costante e continuo. La pressione a cui potremmo essere sottoposti, trova la sua risposta di adattamento al disagio che viviamo, attraverso lo sviluppo di alcuni dei comportamenti compensatori su elencati, che hanno lo scopo di  farci fuggire dalla sofferenza che sentiamo (emotivamente), ma che nascondono in realtà un sofferenza maggiore e creano un circolo vizioso che se protratto nel tempo può dar luogo anche a delle vere e proprie patologie.

L’essere umano, come qualsiasi altro essere vivente, risponde al pericolo in due modalità: Attacco o Fuga.

Ma l’essere umano non sempre è cosciente del pericolo in cui si trova, per cui ciò che vive potrebbe non considerarlo razionalmente tale, ma potrebbe avvertirlo emotivamente come disagio più o meno diffuso in se stesso (ansia, nervosismo, rabbia, abbandono, distacco, rifiuto, oppressione, coazione, ecc.) e localizzarlo magari in qualche parte del corpo (vedi psicosomatica) rendendo il disagio anche fisico. Tali sensazioni psicofisiche ed emotive trovano sfogo e appagamento, in una situazione di “distress” continuo, solo attraverso l’attivazione di uno o più dei comportamenti specifici, già su menzionati. 

Ora, laddove l’essere umano dovesse anche individuare, ovvero essere consapevole che il suo problema è oggettivamente legato a qualcosa o qualcuno, quindi sia razionalmente cosciente in tutto di ciò che produce il suo disagio, potrebbe comunque non avere la forza, la libertà psicoemotiva, di ridare equilibrio alla sua esistenza. In questi casi gli rimarrebbe difficile uscire dalla situazione nella quale si trova, adagiandosi (perché più facile) al comportamento compensatorio adottato, nascondendosi spesso dietro le solite frasi: “io faccio questo (riferito al comportamento compensatorio) perché mi piace e poi, quando voglio, posso smettere……Con la forza di volontà si può tutto ”; oppure fare bersaglio qualcosa o qualcuno……“se sto in questa condizione è per colpa di…….”;

Se tutto questo fosse vero, se bastasse solo la forza di volontà per superare i disagi psicofisici ed emotivi, se con la razionalità e la logicità potessimo superare quei comportamenti straordinari non conformi al nostro benessere psicofisico ed emotivo che molti di noi vivono, non dovremmo assistere a persone molto preparate culturalmente e di un livello sociale medio alto che distruggono famiglie, che utilizzano droghe, che si separano continuamente, che soffrono di stati depressivi, di anoressia, bulimia, ecc. .  Probabilmente c’é un altro mondo da esplorare ancora con più attenzione e che è l’altra metà del nostro “apparato” pensate, “l’intelligenza emotiva” (vedi Daniel Goleman).

Creare i presupposti di un giusto equilibrio tra il pensiero logico/razionale e quello inconscio/emotivo, ci offre l’opportunità di gestire al meglio le nostre potenzialità umane. 

Sviluppare maggiormente l’intelligenza emotiva, esistente in noi ma spesso assopita, per effetto di una società che da particolarmente risalto alla razionalità e logicità,  permetterebbe ad ognuno di noi di attingere da essa per comprendere meglio cosa stiamo vivendo nel  presente. Avremmo in questo modo l’abilità di:

·         riconoscere il tipo di emozione che stiamo provando;

·         controllare l’emozione;

·         motivare noi stessi;

·         riconoscere la tipologia delle emozioni altrui;

·         gestire le relazioni.

Le emozioni sono il motore della vita degli esseri umani. Vanno liberate, ascoltate, accolte e orientate nella giusta direzione, affinché possano giocare a nostro favore e non contro di noi. 

L’autoconsapevolezza di riconoscere l’emozione che stiamo vivendo ci rende persone più sicure e ci da la possibilità di incanalare quell’energia nel modo più vantaggioso per noi, anche laddove l’emozione dovesse risultare negativa. Questa autoconsapevolezza emotiva, oltre ad esercitare la capacità di auto motivarsi,  favorisce la qualità delle nostre relazioni e ci pone nella condizione di comunicare in un modo empatico ed assertivo tale, da comprendere meglio cosa si agita nel nostro interlocutore favorendo la qualità della relazione stessa.

Il Counselor, nell’esercizio della sua professione di Counseling, si pone come strumento di mediazione e armonizzazione e favorisce il giusto equilibrio tra due parti spesso in conflitto tra loro: il pensiero Razionale ed Emotivo.

Considero il Counseling un vero e proprio “training emotivo” che, per mezzo di un "approccio educativo maieutico" (vedi Socrate), permette alla persona di sviluppare una maggiore creatività e di conseguenza raggiungere liberamente quella consapevolezza tale che le permette di sviluppare un ventaglio di scelte maggiori rispetto a quelle che potrebbe pensare di possedere nei momenti in cui la sua emotività è in qualche modo minacciata o "sequestrata".

Quando siamo sopraffatti dalla pressione emotiva, è come se fossimo stati “sequestrati emotivamente”  da una forza che annulla la realtà di quel momento. Non abbiamo possibilità di scelta e sentendoci minacciati (in pericolo) rispondiamo con l’attacco o la  fuga.

Ogni giorno purtroppo sentiamo notizie agghiaccianti di episodi che vedono persone commettere omicidi o suicidi (spesso familiari). Si parla di persone che apparentemente non destavano nessun sospetto prima del loro gesto estremo. Questo potrebbe essere definito come “sequestro emotivo”. Ma non credo sia differente, se non nella sua intensità e grado, a quello che ci accade quando per un attimo aggrediamo verbalmente o fisicamente, senza arrivare ai gesti estremi su indicati,  la persona o le persone che ci sono intorno. Chissà a quanti di noi sarà capitato di pronunciare frasi  di questo tipo: “….ad un certo punto non ci ho visto più e quindi il mio gesto è stato una conseguenza di quello che stavo provando…”; “……mi sono sentito salire vertiginosamente la pressione e l’ho aggredito/a…..”; “…quando lui/lei si comporta in quel modo non ragiono più….e non posso fare a meno di….”; “…..quando ti comporti in quel modo……..è come se me le  levassi dalle mani…”. Queste sono solo alcune delle frasi che potremmo pronunciare o ascoltare in situazioni dove siamo stati ”sequestrati emotivamente”.

Occorre quindi dare equilibrio al nostro sistema pensate, considerando non solo l’aspetto razionale ma la grande importanza che riveste la parte pensante emotiva.

Il Counseling è una delle nuove professioni in Italia di carattere socio assistenziali che sviluppa programmi per la crescita personale dell’essere umano nel rispetto di una ricerca e appagamento dei propri bisogni fisici ed emotivi (vedi Maslow 1954 – la piramide dei bisogni umani) fino al raggiungimento della sua autorealizzazione e al mantenimento di questa condizione nell’ambiente in cui vive.

Attendo come sempre i Vs. graditi interventi e commenti.

Cordialmente

Massimo Catalucci

 

 

 
 
 

CAMBIAMENTO - TRASFORMAZIONE

Post n°45 pubblicato il 30 Agosto 2010 da counselor63
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“Perché cambiare???………… Perché il cambiamento è inevitabile!!!”

Il concetto di CAMBIAMENTO, rapportato alla vita umana ed al vissuto di ogni persona, indica un’azione naturale che si svolge costantemente e continuamente all’interno ed all’esterno della stessa.
Altro discorso è invece quello di immaginare e decidere di cambiare qualcosa nella nostra vita volontariamente, costantemente e continuamente.
Il cambiamento non è sicuramente un obbligo al quale dobbiamo necessariamente concentrarci giornalmente, ma è inevitabile pensare che il cambiamento sia qualcosa che avviene autonomamente ed in modo naturale nel corso della nostra esistenza e di qualsiasi altra forma di vita.

Tutto infatti nel nostro universo è mutevole e soggetto a cambiamento, a trasformazione.

Il termine “Trasformazione” è composto da due parole, “Trans” (al di la di…) e “Formazione(da “Forma”, “Aspetto”…).

Ciò sta ad indicare che ogni “Forma” (materiale e immateriale) subisce un mutamento nel corso dello spazio e del tempo che la stessa forma occupa e percorre all’interno dell’universo.
Ne consegue che il Cambiamento ovvero la Trasformazione naturale di qualsivoglia “forma” avvengono “con” o “senza” la nostra presa di coscienza di attuare un costante e continuo cambiamento nella nostra forma di pensiero e di azione.
Dato che l’universo che conosciamo si muove costantemente nella direzione futura, già questo aspetto rafforza il concetto di cambiamento e trasformazione naturali di ogni cosa. In questo esatto momento, ma forse dovrei dire in un momento passato, visto che il presente non è altro che il futuro di un tempo già trascorso, io stesso, non sono quello che ero fino a qualche secondo fa. Mi sono trasformato! Un dato riscontrabile è la vita cellulare continuamente in movimento. Nulla è quindi sempre uguale, subisce una trasformazione continua e costante.
Ecco perché si parla molto oggi della “GESTIONE del CAMBIAMENTO”.
Gestire il proprio cambiamento, inteso prima come forma di pensiero e successivamente o meglio contestualmente, come forma di azione, comportamento, ci permette di governare al meglio la nostra esistenza evitando di rilassarci troppo su schemi ripetitivi dannosi per la nostra natura che, come abbiamo visto, è soggetta a cambiamento e trasformazione continui.

Se ci adagiamo sul conosciuto, su quello che abbiamo ottenuto, sia da un punto di vista relazionale (partner, famiglia, amici, ecc.), che in quello economico, o in qualsiasi altro campo in cui ci muoviamo, rischiamo di chiuderci eventuali alternative di crescita personale e di scelta, laddove dovessimo incontrare delle difficoltà esistenziali: economiche, conflitti socio relazionali, professionali, ecc..
Il cambiamento inteso come trasformazione fanno quindi rima con la ricerca continua di miglioramento del proprio status: psicofisico, emotivo, spirituale, sociale ed economico.
Sentirsi arrivati ad un obiettivo che ci eravamo prefissati in un qualsiasi campo della nostra vita personale e sociale, sentire di aver raggiunto un proprio adeguato livello, può diventare motivo di “Stasi”  (Va bene così!!! Mi adagio!!!) o “Incentivo” a crescere ulteriormente (Bene!!! Cosa posso fare per mantenere e/o migliorare quello che ho ottenuto?) .

Ad esempio in campo economico e specificamente nel campo imprenditoriale, sappiamo come sia deleterio avere per due anni di seguito gli stessi incassi. Per effetto di una svalutazione, più o meno alta ma comunque costante e continua nel tempo, ottenere gli stessi incassi dell’anno prima significa avere una perdita economica ed un blocco della crescita aziendale, quindi perdita di competitività nel mercato. 
Il cambiamento può essere quindi tranquillamente considerato anche rinnovamento.
Potremmo fare un altro esempio nelle relazioni umane. In un rapporto di coppia, il rinnovamento della relazione tra i due partner, è fondamentale per non cadere nella trappola della monotonia del rapporto stesso e della routine.  In questo ultimo caso é provato che la ricerca di nuovi stimoli al di fuori della coppia con altri partner è spesso legata proprio alla mancanza di rinnovamento continuo nel rapporto stesso.
Nel mondo del lavoro rinnovarsi è aprirsi a nuove opportunità e tecnologie che possono migliorare la qualità dell’attività professionale alla quale ci dedichiamo; nel rapporto di coppia è scoprire ogni giorno qualcosa di diverso da fare con l’altro/a o per l’altro/a, nella consapevolezza che lo stiamo facendo prima per noi stessi, é sorprendere l’altro/a con parole, gesti che dimostrino la voglia di conquistare giornalmente la sua attenzione.

Ma cosa è necessario fare per attuare un cambiamento consapevole e produttivo? Molta importanza ha la creatività. Sappiamo che la sola intelligenza logica, razionale, non sempre è sufficiente a determinare un cambiamento integrale, una trasformazione duratura di uno stato mentale, fisico e comportamentale. Ma se lasciamo spazio anche alla nostra intelligenza emotiva, la nostra mente creativa inizia a produrre valide alternative che possono sviluppare nuove possibilità di scelta che altrimenti non riusciremmo a vedere in situazioni particolari di disagio e stress psicofisici ed emotivi e nel portale di Piu Che Puoi di Italo Pentimalli, ci sono valide indicazioni di come sviluppare il nostro potenziale intellettivo, sia esso logico/razionale che emotivo/creativo. 

Cordialmente

Massimo Catalucci

 
 
 

Conferenza: "MISTERIOSA-MENTE: l'Intelligenza Emotiva.....il Piacere di Evitare la Sofferenza"

Post n°44 pubblicato il 18 Giugno 2010 da counselor63
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DATA: 22/06/2010 - Martedì

ORE: 16:30

LUOGO: Sala Teatro del 2° Circolo Didattico G. Rodani

LOCALITA': VILLARICCA (NA)

INDIRIZZO: Via della Libertà


L'Evento è patrocinato dal Comune di VILLARICCA (NA) ed è riconosciuto dalla SIAF, pertanto l'attestato di frequenza che verrà rilasciato ai partecipanti è valido per 6 ECP (Educazione Continua Professionale).

Resp. Progetto: Massimo Catalucci (Pres. Ass. INSEU) - Teresa De Carlo (Pres. Ass. Culturart)
Resp. Organizzativo dell'Evento: Prof.ssa Maria Rosaria Miraglia (Ref. INSEU per la regione CAMPANIA)

Per contatti e dettagli sulla conferenza si prega di chiamare la Prof.ssa Maria Rosaria Miraglia ai seguenti n.ri:
Tel./Fax (+39) 081.818.1083
Cell. 347.03.42.483

 
 
 

L'Intelligenza Emotiva.......Il Piacere di Evitare la Sofferenza.

Post n°43 pubblicato il 08 Maggio 2010 da counselor63
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Mi è capitato spesso di riflettere su come siamo tendenzialmente portati a pensare che essere molto razionali e logici, magari culturalmente molto preparati e con un Quoziente di Intelligenza  molto elevato, siano sinonimi di soddisfazione ed appagamento dei nostri bisogni. Nel corso di un’analisi un po’ più approfondita dell’argomento, mi sono poi chiesto: come mai  molti di noi che presentano le caratteristiche su indicate, non riescono a gestire e/o cambiare comportamenti ed atteggiamenti, ovvero a mantenere relazioni soddisfacenti e a lungo termine nei vari ambiti della propria vita con l’applicazione della logica e della razionalità? Come mai ci troviamo in una società culturalmente più elevata rispetto a trent’anni fa, ma che presenta delle sofferenze evidenti in diversi ambiti sociali?  Come mai la nostra società, “apparentemente” soddisfatta e sorridente, giornalmente fa registrare fatti importanti che dimostrano totalmente il contrario di quello che nella facciata esteriore vogliamo lasciare intendere che sia?

 

La riprova la troviamo  nei fatti documentata da tv e giornali  i quali evidenziano diversi disagi sociali, abbassamento dell’età in cui si inizia a far uso di droghe (11 anni), dall’alcol al fumo a quelle sintetiche e più aggressive per la psiche e per il fisico;  stessa cosa per quanto riguarda il primo rapporto sessuale, che avviene sempre più frequentemente nelle prime classi della scuola media inferiore, senza parlare degli abusi tra minori e di quelli praticati nei loro confronti da adulti. Ma anche la necessità gratuita di esercitare la violenza sul prossimo, sia tra i più giovani, che nelle fasce adulte. Posso continuare questo elenco parlando delle problematiche legate agli aspetti nutrizionali, dove troviamo molte persone, in particolare giovanissimi e non solo, che soffrono di anoressia o bulimia; altro dato importante sono i crescenti cambi  dell’umore che alimentano paure incontrollate fino a portare le persone verso stati depressivi e/o di forte eccitazione e attacchi di panico; la mancanza di autostima; il desiderio di emozioni forti: come il caso di quei ragazzi che per provare qualcosa di particolarmente emozionante si divertivano ad attraversare un tratto di autostrada pericolosissimo ad alta densità di traffico veloce. Una volta pizzicati nella loro bravata, gli stessi confermavano che per loro era solo un gioco pensato per divertirsi. Posso accennare anche alla qualità dei rapporti coniugali che sono sempre più in crisi; la crisi del nucleo familiare e  la mancanza della propria identità in questo primo ed importante gruppo “socio solidale”, da cui dovremmo trarre sicurezza, protezione, condivisione, alleanza, fiducia, appartenenza.


Credo sia sotto gli occhi di tutti, il panorama sociale da me su descritto, eppure, laddove in molti per non dire quasi tutti,  siamo pronti ad affermare che questo esiste, se dovessimo pensare di tentare di cambiare lo stato di cose attuale, lo faremmo basandoci esclusivamente su pensieri logico/razionali, evitando di lavorare sugli aspetti emotivi che hanno creato tali comportamenti straordinari.

Mi spiego meglio. Se prendiamo ad esempio il problema dell’assunzione e dello spaccio di stupefacenti tra i giovani, potremmo pensare di arginare tale problematica attuando un controllo costante sugli stessi ragazzi e sulle loro amicizie, applicando altresì pene esemplari per recidività e a scopo rieducativo.
Ma questo problema, visto da vicino, ci fa scoprire che dietro un comportamento straordinario di un minorenne (ma anche di un adulto), esistono spinte emotive diverse che lo indirizzano a pensare e fare determinate azioni.
Il ragazzo ha probabilmente necessità di identificarsi in un gruppo e sentirsi accettato da esso, condividerne le regole; ha l’esigenza di sentirsi stimato all’interno del gruppo in cui vive; ha bisogno di sfogare la sua rabbia interiore attraverso emozioni forti,emotività attraverso la violenza sugli altri; ha l’esigenza di dimostrare a se stesso (ma forse ancor di più a qualcun altro) di sentirsi grande, responsabile e sicuro di ; ha forse bisogno di far pagare a qualcuno, attraverso il suo comportamento straordinario,  quello che non riceve e che vorrebbe da un punto di vista affettivo;  ha bisogno di evadere da ciò che vive nella sua esistenza, rispondendo a stimoli interiori con l’assunzione di droghe per anestetizzare la sofferenza che prova.
quali il rischio di essere scoperto nel fare qualcosa di vietato o l’esigenza di scaricare la sua

Come abbiamo visto possono essere tante (quelle citate sono solo un esempio parziale) le cause che portano una persona, in questo caso il giovane, ad assumere un atteggiamento specifico sia nel suo mondo immaginario (aspetto cognitivo/pensiero) che nella sua realtà (azione/comportamento).
Ma al di la degli aspetti immaginari e/o reali, tutto ciò che nell’esempio su indicato il giovane fa, se dovessimo chiedergli perchè lo fa, molto probabilmente riceveremmo le seguenti risposte:

1) Come potrei comportarmi diversamente, questa è la società in cui vivo. Cos’altro mi offre questa società;

2) Gli altri lo fanno (es. mio padre, mia madre, i miei amici, i politici, ecc.)  perchè non dovrei farlo io?;

3) Quello che faccio è sotto il mio controllo. Posso smettere quando voglio;

4) Non ho alternative, opportunità diverse;

5) Mi piace farlo perchè è emozionante, mi da una scarica di adrenalina;

6) So che è un rischio ma la società non mi aiuta (oppure….. il bello del rischio sta proprio nel rischiare di fare qualcosa che non andrebbe fatta);

ecc. ecc…….

In sintesi troverebbe tante giustificazioni che implicano sempre  la scelta di una risposta razionale, logica e conseguenziale, ovvero, andrebbe alla ricerca di una motivazione che giustifichi  la/le  sua/sue  scelta/e.

Ma anche se dovessimo  incontrare la volontà da parte del ragazzo di voler cambiare il suo atteggiamento rispetto a ciò che  non vuole più accettare nel suo comportamento (in questo caso uso e/o spaccio di droga), il solo fatto di razionalizzare gli aspetti negativi di quanto è nelle sue azioni, servirebbe a ben poco, se non  si  crea un collegamento comunicativo anche con la sua parte emotiva, quella che lo spinge appunto verso la creazione del comportamento identificato come straordinario.  Come abbiamo visto sopra, esistono aspetti motivazionali abbastanza forti che inducono la persona a mantenere quel comportamento straordinario (uso o spaccio di droga) per cui gli è impossibile generare comportamenti alternativi ed ordinariamente appaganti con l’esclusivo uso della sua parte logica.

C’è sicurmaente da considerare chi sostiene che, nel caso di utilizzo di stupefacenti, subentri anche il fattore dipendenza dal prodotto assunto, per cui ne consegue che esiste, secondo alcuni, una maggiore difficolatà nel cambiamento di questo tipo di comportamento (smettere di assumere droghe).

Allora mi chiedo anche, come spieghiamo la riuscita da parte di molte persone che di punto in bianco cambiano un abitudine forte e che crea loro dipendenza, come quella del fumo, senza creare altri atteggiamenti compensatori, come quello ad esempio di sfogarsi nel cibo, nello sport eccessivo, o in tante altre situazioni ?

Se provassimo a chiedere a queste persone che sono riuscite a cambiare registro  da un giorno all’altro (mi è capitato di parlarci ed approfondire il discorso),  ci accorgeremmo che esse attribuiscono il loro successo ad un fattore esclusivamente razionale: “un giorno ho deciso e ho detto basta con il fumo”.

Anch’esse quindi sintetizzano lo stato finale di una esperienza  affermando che “un giorno hanno deciso di dire  basta”, inconsapevoli del fatto che in realtà la decisione di cambiare rotta nella loro vita  è avvenuta nel loro sistema emotivo nel sistema limbico, il quale ha captato qualcosa di molto forte  creando una neuroassociazionesofferenza che proverebbero nel continuare a fumare (o fare qualsiasi altra cosa considerata improduttiva e nociva per se stesse e per la quale hanno effettuato il cambiamento).
con la 

Chissa quante volte queste persone sono state invitate da altre a smettere di assumere nicotina perchè questa  fa male e uccide e chissà quante volte hanno provato sofferenza ogni qualvolta ascoltavano la predica.

Un bel giorno invece, è successo, quasi per “magia”, che la loro razionalità gli ha fatto pensare che potevano dire basta al fumo.

Strano no?   Perchè questa incongruenza nei comportamenti?

Semplice…..perchè la razionalità non governa i nostri comportamenti, ma l’emotività SI!!!

Dal mio personale  punto di vista, vedo la nostra società razionale ed iper intelligente, come la maschera di Pierrot, un personaggio apparentemente divertente, ma concretamente triste  e malinconico.
Credo che il risultato di quest’immagine “incongruente” del contesto in cui viviamo, sia frutto di un’ostinata attenzione verso un altrettanto ostinato atteggiamento mentale schematico, concreto, razionale, logico, sequenziale, tangibile, analitico, temporale, sul quale tendenzialmente basiamo troppo le nostre aspettative e azioni per ottenere il risultato desiderato in relazione a rapporti con:

•    Familiari;
•    Studio;
•    Lavoro;
•    Divertimento/svago/gioco;
•    Sesso;
•    Affetti;
•    Finanze;
•    Amicizie;
•    Corpo;
•    Mente.

Siamo diventati una società prettamente intelligente e razionale che si affida quasi esclusivamente al pensiero logico, tralasciando le potenzialità di un’altra intelligenzaintelligenza emotiva.
Eppure è proprio da questa nostra intelligenza, da noi meno sfruttata, che possiamo trarre risorse necessarie a soddisfare tutti i nostri bisogni nelle aree relazionali su indicate in elenco.
I risultati evidenti che dimostrano una spiccata tendenza a privilegiare lo sviluppo dell’intelligenza logico/razionale, sono comprovati da ciò a cui assistiamo giornalmente e di cui tv e giornali ci riportano continuamente fatti e disfatti largamente già evidenziati all’inizio di questo articolo.
Il grande affidamento esclusivo alla nostra parte razionale e logica, ci fa quindi affermare con convinzione che ogni atteggiamento e comportamento possono  essere modificati  esercitando la sola volontà di farlo, cioè razionalizzando il cambiamento stesso.
di cui siamo dotati: l’

Il risultato di tutto questo?

•    Scarichiamo i nostri insuccessi (sofferenze) su noi stessi o altri, spesso chiudendoci dentro il nostro guscio o attaccando obiettivi (cose e/o persone) da noi considerati motivo di irritazione e/o addirittura la causa di quanto ci accade o ci è accaduto;

•    Rimandiamo qualsiasi progetto di cambiamento continuamente ad una data che non arriverà mai, anche perché, guarda caso, ci sarà sempre qualcosa o qualcuno che ce lo impediranno (scarico di responsabilità verso altri o altro);

•    Ci sentiamo impotenti nei confronti di un’eventuale cambiamento, perché dopo averci provato molte volte, finiamo per farcene una “ragione”, accettando  lo stato di cose ottenuto e manifestando verbalmente una convinzione dello stesso stato pur sapendo interiormente che le cose sono diverse da come vorremmo lasciarle intendere;

•    Compensiamo ciò che razionalmente vogliamo cambiare, con la creazione di  comportamenti alternativi che però non ci soddisferanno pienamente, per cui o ricadiamo nei vecchi comportamenti, o ci ostiniamo a cercarne continuamente di nuovi basandoci esclusivamente sull’analisi razionale e logica dei fatti.

Sicuramente ognuno di noi si sarà trovato nella propria vita davanti a situazioni in cui ci rimaneva difficile cambiare qualcosa che ritenevamo razionalmente controproducente per noi e/o per gli altri, in particolare nelle relazioni più intime fin’anche a quelle sociali e più allargate, con il risultato di una conseguente insoddisfazione a cui poi tendiamo, causa un modello sociale conclamato di riferimento su cui ci basiamo, a trovarne i motivi  che possono averla provocata, sempre però da un punto di vista razionale.

Questo è quello che ci accade perché trascuriamo una parte di noi molto importante:

L’INTELLIGENZA EMOTIVA.

Secondo Howard Gardner (psicologo) esistono ben nove categorie di intelligenza, da quella Logico/Matematica a quella Linguistico/Verbale; dall’Intelligenza Visivo/Spaziale a quella Cinestesica; dall’Intelligenza Musicale a quella Inter/Intrapersonale; arrivando infine alle Intelligenze Naturalistica ed Esistenziale.
Questo elenco potremmo dividerlo in due MACRO AREE del pensiero umano:

•    INTELLIGENZA LOGICA/RAZIONALE
•    INTELLIGENZA EMOTIVA/OLISTICA

In particolare, in qualità di esseri umani e dotati di un bio-computer (il cervello) che ha le funzioni di sviluppare pensieri logici ed emotivi, ci affidiamo troppo spesso, per non dire sempre, frutto  di una convinzione che abbiamo sviluppato nel corso della nostra esistenza, alla sola parte logica del nostro apparato pensante, trascurando la realtà di una forza di pensiero che, attualmente è stato dimostrato, governa tutta la nostra vita e quindi anche la nostra spiccata razionalità.

Trovo significativo quanto disse Albert Einstein: “L’immaginazione è molto più importante della Conoscenza”. Pensate che questo scienziato, se non avesse utilizzato la sua creatività (l’intelligenza emotiva) per sviluppare teorie fantastiche, sarebbe arrivato ad ottenere il suo premio nobel per la Fisica nel 1921?

Come l’Esimio Professore, molti altri personaggi della nostra società, compreso me e te, ogni qualvolta abbiamo ascoltato e utilizzato la nostra Intelligenza Emotiva, magari senza rendercene razionalmente conto, abbiamo ottenuto il vero Piacere, evitando con decisione e naturalezza la Sofferenza e questo può esserci accaduto in ogni ambito: Familiare; Studio; Lavoro; Divertimento/svago/gioco; Sesso; Affetti; Finanze; Amicizie; Corpo; Mente.

Massimo Catalucci

 
 
 

IL COUNSELING...........Relazione di Aiuto

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Il Counseling è una professione socio-relazionale identificata in italia come “attività socio assistenziale non residenziale nca” (codice ATECO  88.99.00) ed in attesa di una legge nazionale che la regolamenti, così come accaduto da tempo in altri stati europei. E’ una professione già comunque largamente diffusa nel nostro paese e alla quale molte persone si avvicinano sia in qualità di futuri operatori nel settore socio assistenziale, sia in qualità di fruitori del servizo di assistenza per risolvere problematiche legate ai propri  aspetti emotivi, ritenuti limitanti.  “Il Counselor (così è chiamato colui che svolge la professione di Counseling) è un professionista che interviene  nelle problematiche emotive dell’essere umano, privilegiando l’empatia affettiva rispetto a quella cognitiva, facendo riferimento anche alle strutture archetipiche dell’umano, sia nella coscienza collettiva che nell’inconscio collettivo.” Questo è quanto il Prof. Vincenzo Masini espresse nel corso di una sua conferenza internazionale sul Counseling. É una forma di dialogo consapevole tra una o più persone, nella quale  il Counselor utilizza tecniche e metodologie che aiutano l’individuo ad uscire da situazioni di svantaggio legate appunto a blocchi emotivi. Questi blocchi si manifestano generalmente proprio negli aspetti relazionali, per cui l’individuo stesso vive internamente sensazioni di: abbandono, rabbia, delusione, avvilimento, oppressione, ansia, isolamento, esclusione, insicurezza, timidezza, ecc., che possono minare la sua vita sociale fino ad allontanarlo da essa, aumentandone la sua sofferenza.
Il Counselor è quindi un professionista che sostiene la persona nella ricerca di nuove opportunità che possono indurre in essa un cambiamento di rotta nella propria vita a suo vantaggio  ed in modo ecologico (cioè nel rispetto di se stesso, dell’altro/degli altri e dell’ambiente in cui vive). Il Counselor accoglie e poi orienta il suo interlocutore verso gli obiettivi che lo stesso intende perseguire.  Attraverso la rivisitazione delle proprie esperienze vissute e quelle che intenderà vivere, la persona assistita dal Counselorcambiamento emotivo desiderato, al fine di  vivere appieno, in modo soddisfacente ed emotivamente positivo, la propria esistenza, mantenendo  stabile e sotto il proprio controllo, il suo  stato emotivo.
Ogni essere umano ha una sua personale rappresentazione della realtà che lo circonda, per cui ognuno di noi porta in sé un proprio modello del mondo unico al quale fa riferimento per vivere.
In questo modello del mondo personale avvengono dei processi di pensiero  conscio ed inconscio che sono la struttura portante del nostro comportamento. potrà ottenere il

Ho una mia teoria su questo aspetto dell’esistenza umana. Immaginiamo che ognuno di noi inizi a costruire il proprio modello del mondo già dal momento in cui viene concepito. Se pensiamo infatti a noi come un nucleo biologico, emotivo e spirituale( 1), che prende vita nel mondo nel momento in cui il seme maschile feconda l’ovulo femminile, potremmo accorgerci che in quell’istante siamo divenuti effettivamente un’entità  che occupa una posizione in uno spazio molto grande (universo), dando luogo all’inizio della registrazione di una “traccia della memoria delle esperienze personali”.
Laddove quindi come esseri umani abbiamo le stesse funzionalità biologiche nell’utilizzo dei nostri organi di senso: vista, udito, olfatto, gusto e tatto; dal punto di vista psicofisico, emotivo e spirituale, ognuno di noi registra le proprie esperienze in modo univoco in relazione al rapporto che vive con  gli altri e  con se stesso. In sintesi, registriamo  e decodifichiamo individualmente gli stimoli che riceviamo dagli aspetti materiali ed immateriali delle esperienze esistenziali da  noi vissute.
In particolare, dalla qualità e quantità delle emozioni che viviamo nel rapporto con gli altri, ognuno di noi forma la propria personalità. Ma proprio da queste relazioni possono nascere conflitti interiori che successivamente potrebbero bloccarci emotivamente, dando seguito alla  comparsa di “comportamenti compensatori” che tenderanno ad allontanarci dalla sofferenza emotiva. Questo non significa però che laddove ci allontaniamo dalla sofferenza, ci  indirizziamo verso il piacere ordinario, il più delle volte accade che ci dirigiamo verso un piacere straordinario. Mi spiego meglio. Spesso questi comportamenti compensatori rappresentano un rifugio di piacere apparente e talvolta di breve durata, che nasconde il “seme” della sofferenza emotiva individuale. La persona che vive questa sofferenza, generalmente è cosciente solo del risultato finale di un prodotto che è frutto di un processo del suo pensiero inconscio,  al quale poi cerca di dare una risposta sotto forma di comportamento compensatorio (comportamento inteso come azione, atteggiamento, movimento e/o come  forme di pensiero) e  al quale successivamente tende a dare una giustificazione/motivazione  razionale.

Può anche accadere che l’emotività sia percepita dalla persona a livello  corporeo, per cui la persona  può  arrivare a somatizzare il disagio, di natura emotiva appunto, in specifiche aree del corpo.

É facile incontrare persone che, escluse naturalmente forme patologiche (accertamenti effettuati attraverso analisi e controlli medici), accusino ugualmente fastidi che talvolta vengono descritti dalle stesse come veri e propri dolori e che questi siano localizzati in alcune parti del corpo e con una certa ricorrenza. Potrebbe essere l’esempio di quella persona che soffre spesso di fastidi allo stomaco e a cui i medici hanno detto che è solo una forma  di ansia o eccesso di nervosismo e niente più. Ma la persona, i sintomi di quel fastidio li sente ugualmente e sta male e non sa cosa fare. Lasciare che una somatizzazione possa lavorare nel tempo, tamponandone gli effetti magari con dei farmaci (prescritti esclusivamente da medici) ogni qualvolta il sintomo si fa sentire e placandone la sofferenza fisica, evitando  altresì di affronatre  il problema emotivo che li ha generati, potrebbe anestetizzare il sintomo momentaneamente, dando però l’opportunità alla pressione emozionale negativa di aumentare, esponendo la persona ad una eventuale e possibile manifestazione patologica futura  (vedi ad esempio, nel caso di una somatizzazione allo stomaco, l’insorgere nel tempo di ulcera).  Il costante stress (distress) a cui la persona è sottoposta  innesca un meccanismo di difesa che attiva il sistema endocrino facendolo lavorare in modo straordianrio (vedi mio precedente articolo DEEP: Dialogo conl’Esperienza Emotiva Personale - seconda parte).

Nel caso di una somatizzazione come quella sopra portata ad esempio,  il Counselor concentrerà la sua attenzione sul fastidio manifestato dal suo assisitito, facendo emergere dallo stesso una serie di informazioni sotto forma di verbalizzazioni che meglio rappresentano la sofferenza manifestata nel suo corpo e che emotivamente,  sono riconducibili  a  esperienze  dalla stessa vissute in modo non conforme alle sue aspettative di vita.

Questo lavoro di ascolto attivo a cui il Counselor si dedica viene trasmesso alla persona che assiste e la stessa viene invitata a prestare l’attenzione emotiva dovuta a quanto sta accadendo dentro di sé (aspetti sensoriali). Questo lavoro fornirà al Counselor quegli elementi simbolici (verbali e non) necessari per soddisfare in modo conforme al sistema inconscio del suo assisitito, i bisogni emotivi dello stesso.
Il Counselor quindi instaura un rapporto empatico ed assertivo con la persona con la quale viene in contatto professionalmente, divenendo per quest’ultima ciò di cui lei ha bisogno per sviluppare quelle dimensioni relazionali di affinità elettiva che sono rimaste insoddisfatte nel rapporto con le figure importanti della sua esistenza. Il Counselor attraverso  questa  “relazione di aiuto”, riporta l’equilibrio all’interno della persona sostenendola con disponibilità, dialogo, riconoscimento, incontro, mediazione, complementarità ed integrazione.

Personalmente definisco l’attività di Counseling come una forma di “personal training”, dove  l’altro /gli altri apprendono in modo individuale come funziona il proprio sistema emotivo, liberando le potenzialità che lo stesso sistema racchiude e spingendo ogni singolo individuo verso la comprensione logica e/o emotiva dei propri bisogni e dei comportamenti correlati, nonché la comprensione logica e/o emotiva di cosa lo stesso ha   bisogno per modificare e/o esaltare comportamenti passati, presenti e futuri, con l’obiettivo di migliorare la qualità della propria vita emotiva e mantenerla all’interno dei vari contesti in cui lo stesso vive: famiglia, lavoro, studio, divertimento, sesso, ecc..

In conclusione, il Counseling è costituito da una serie di abilità, di esperienze e di comprensioni sul significato della natura umana e delle relazioni che si instaurano tra gli esseri umani. Il Counselor opera mediante relazioni di affinità sociosolidale con il/i suo/suoi interlocutore/i; egli diventa ciò di cui  l’altro ha  bisogno per sciogliere i blocchi emotivi che si sono formati in esso a causa di relazioni oppositive di natura affettiva, quali: l’equivoco, l’incomprensione, l’evitamento, la delusione, l’insofferenza, il fastidio ed il logoramento. Ogni attività di Counseling, si poggia su  uno o più metodi e tecniche che permettono al Counselor stesso di operare al meglio con il/i proprio/i assistito/i.

Massimo Catalucci


 

(1) Spirituale: “nel dizionario della lingua italiana (editore De Agostini) questa parola  viene definita come essenza incorporea posta da alcune religioni e da alcune  concezioni filosofiche quale principio universale di vita, identificata con Dio e comunque con una divinità”.
- Nota di Massimo Catalucci - Non è da escludere comunque che ognuno possa avere una sua personale definizione di spiritualità, libera da concetti religiosi e filosofici, attribuendola ad esempio ad un essenza incorporea ma riconducibile alle esclusive funzioni  mentali dell’essere umano.

 
 
 

DEEP: Dialogo con l’Esperienza Emotiva Personale (SECONDA PARTE)

Post n°41 pubblicato il 21 Febbraio 2010 da counselor63
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Nel precedente mio articolo ho accennato alcune informazioni in merito alla condizione di stress nell'essere umano. Abbiamo visto come questa condizione sia necessaria per la vitalità in ogni persona, ma abbiamo anche evidenziato come  il costante  e continuo stato di stress (distress=condizione nociva) possa recare danni agli aspetti psicofisici ed emotivi della stessa.

Vorrei ora approfondire quanto argomentato considerando due aspetti importanti:

  • Caratteristiche dello stato di stress;
  • Come e dove agisce il Metodo DEEP da me utilizzato nella persona;

Facendo riferimento sempre alla mia visione olistica dell'essere umano,  mi preme  evidenziare che il  nostro benessere psicofisico emotivo passa attraverso il sano equilibrio di tutte le forze e risorse materiali ed immateriali che ci completano.


Detto questo, è facilmente intuibile che tutte le categorie di ormoni e neurotrasmettitori  già da me citati in forma generica, vanno visti anch’essi come una contrapposizione di pesi diversi che hanno necessità di trovare il loro equilibrio naturale e specificamente, di essere gestiti in valori che gli competono per entrare in funzione quando è necessario e contestuale in modo “ordinario” (utile). Spesso però avviene il contrario e queste sostanze vengono prodotte dal nostro corpo in modo “straordinario” (nocivo). Questa ultima condizione avviene proprio in condizioni di stress (distress) nei quali una qualsiasi persona potrebbe trovarsi.

La costante esposizione a fattori psicofisici emotivi considerati nocivi  (distress) come ad esempio, solo per citare due casi:

Psicoemotivi - costante insoddisfazione della posizione professionale o scarsa considerazione da parte dei propri colleghi e superiori (bassa autostima, esclusione, insoddisfazione economica, mancanza di autorealizzazione personale);

Fisici – costante insoddisfazione delle funzioni corporee a causa di traumi (menomazioni accidentali, patologie varie);

provocano comunque una risposta negativa di adattamento al contesto in cui l’essere umano vive.

Le ghiandole surrenali (organi posti sopra ai due reni) sollecitate attraverso il sistema nervoso dall’ipofisi (organo a sua volta regolato dall’ipotalamo) cominciano a produrre, in questo stato, ormoni steroidi (cortisone, conosciuto anche come ormone dello stress) e, contemporaneamente, producono adrenalina in eccesso (che viene identificata come ormone e neurotrasmettitore).

Sappiamo che l’essere umano è un insieme di apparati e sistemi che sono in stretto collegamento tra loro in un continuo scambio di informazioni che viaggiano attraverso corsie preferenziali, nervose, cardiovascolari e linfatiche.

I neurotrasmettitori e gli ormoni utilizzano il sistema cardiovascolare e il  sistema nervoso per trasferire le informazioni da/per il cervello, da /per il sistema endocrino e quindi alle zone periferiche del corpo umano.

Credo di poter affermare che, da un punto di vista biologico, tutte le parti che compongono il corpo umano, comprese quelle sostanze che sono spesso erroneamente considerate nocive, se si trovano all’interno del nostro intero organismo, avranno evidentemente una funzione positiva. Occorrerebbe perciò parlare di equilibri di forze ed entro quali “range” questi elementi devono trovarsi per attivare uno stato complessivo di benessere psicofisico emotivo.

Sostanze quindi come la noradrenalina, la dopamina e serotonina, in fase di “stress” (distress) psicofisico emotivo eccessivo e costante, se iniziano a funzionare male, l’intero organismo umano ne risente negativamente.

Potremmo paragonare l’equilibrio di queste sostanze all’analisi dei processi produttivi in un’azienda, dove per effetto di qualche “comportamento e/o scelte errate” rispetto al programma prestabilito (business plan), avviene la trasformazione dei punti di forza aziendali in punti di debolezza.

Anche nel nostro intero organismo avviene una cosa simile, laddove non rispettiamo ciò che è nel nostro sistema integrale “ordinario” (psicobiologico), quelli che dovrebbero essere punti di forza, possono diventare punti di debolezza e dare seguito, laddove non si intervenga, adeguatamente e preventivamente, in primo luogo a disagi di lieve entità e successivamente a patologie più o meno gravi.

Nello specifico, il Metodo DEEP, tra l’altro come già evidenziato nelle mie precedenti uscite, attraverso l’attuazione di un dialogo emotivo personale che si basa sull’esperienza esistenziale diretta della persona, ed in un contesto di rilassamento psicofisico (raggiungimento delle onde alfa fino anche in alcuni casi a quelle theta e delta), favorisce l’abbassamento della soglia critica e della frequenza delle onde beta, facendo emergere la “coscienza” emotiva ed attivando un processo di sviluppo di un modello interiore di riferimento del mondo conforme alle aspettative psicoemotive ed alle  potenzialità della persona stessa. Inoltre, agendo anche a livello endocrino (abbiamo visto che dal cervello partono impulsi che sollecitano i processi endocrini) si possono riequilibrare le funzioni ormonali della serotonina (ormone addetto alla regolazione dei ritmi del sonno, è il nostro orologio biologico), della noradrenalina (è un mediatore chimico nella trasmissione nervosa degli impulsi agli organi efferenti) e della dopamina (importante per la produzione di endorfine, sostanze che determinano il senso del dolore e la regolazione del piacere)

Recuperare quindi il proprio equilibrio psicoemotivo, anche partendo da semplici ma costanti tecniche di rilassamento psicofisico, permette al sistema integrale umano di liberare nel corpo sostanze atte a produrre uno stato di benessere che può protrarsi nel tempo, scongiurando, da una parte, l’insorgere di condizioni stressanti a cui mal si adatta l’essere umano e dall’altra, lo sviluppo di uno stato di benessere costante, attraverso il quale la persona avrà l’opportunità di affrontare le situazioni difficili alle quali la vita può comunque esporla, con risposte di adattamento più adeguate per effetto di una maggiore resistenza allo stress.

Naturalmente sono dell’avviso che la sola serenità e tranquillità psicoemotiva, non siano sufficienti per ottenere un completo ed equilibrato stato psicofisico nell’essere umano, ma attivando un processo psicoemotivo adeguato alla natura umana ed alle caratteristiche specifiche individuali,  si può attuare un cambiamento anche nel comportamento e quindi nel proprio stile di vita quotidiano, per cui concludendo, possiamo dire che il nostro benessere totale, passa attarverso l’allineamento di diversi fattori, dove anche la sana gestione di un’attività fisica (aerobica e moderata); di una equilibrata alimentazione e la regolarità del sonno/veglia; oltre che un equilibrio nella sfera sessuale/affettiva; giocano un ruolo determinante nel mantenimento di uno stato efficiente della perfetta macchina biologica umana.

Cordialmente
Massimo Catalucci

 

 
 
 

DEEP: Dialogo con l’Esperienza Emotiva Personale

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“Qualità della vita = Equilibrio tra i quattro grandi sistemi del corpo umano:
Psicologico, Neurologico, Endocrino, Immunitario
.”


La ricerca del benessere e di una qualità di vita soddisfacenti, sono diritti imprescindibili dell’essere umano. Tuttavia non è sempre facile trovare il giusto equilibrio psicofisico emotivo  individuale, causa molti fattori che influiscono nello stato di benessere di qualsiasi persona. L’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità)  ha definito lo “stato di benessere”, non solo come assenza di malattia, ma come stato di equilibrio fisico, emotivo, psicologico, spirituale, energetico, economico, sociale, che consente alla persona di raggiungere la sua autorealizzazione, mantenendo altresì il suo potenziale umano individuale nella società in cui vive.

 

Nel momento in cui veniamo al mondo, il primo bisogno che abbiamo è quello di sopravvivenza. Abbiamo necessità di soddisfare le esigenze fisiche per mantenere il nostro corpo efficiente. Ma l’essere umano non è solo fisicità, esso è anche spiritualità, inteso come parte immateriale. Laddove l’istinto di sopravvivenza ci induce a procurarci le sostanze solide, liquide e fluide per alimentarci fisicamente; l’istinto emotivo ci spinge a ricercare quel nutrimento affettivo per soddisfare la nostra parte spirituale (non fisica). Le relazioni che ogni essere umano instaura fin dal suo concepimento, con il mondo a lui esterno, sono gli “alimenti emotivi” che lo formeranno. La qualità di questi “nutrimenti emotivi”, sarà determinante per lo sviluppo della sua personalità. Dato che ognuno di noi, prima ancora di essere persona è un essere umano, se ne deduce che la nostra umanità viene prima della personalità che si concretizza nel rapporto con gli altri, in particolare con le figure significative della nostra esistenza (caregivers).


Non sempre però la qualità delle relazioni che instauriamo, dal momento del nostro  concepimento, con il mondo esterno,  sono conformi alle nostre aspettative di base, per cui, le distonie tra l’esigenza e l’appagamento ordinario di un qualsiasi bisogno, da quelli primari a quelli secondari, diventano motivo di turbamenti emotivi che influiscono negativamente sullo sviluppo della personalità di ognuno di noi. Ricondurre in equilibrio gli stati emotivi  alterati, significa crearci l’opportunità di condurre la nostra vita in modo più appagante e conforme alle nostre  aspettative. Al fine di realizzare questo progetto di vita vantaggioso, abbiamo la necessità di apprendere però la struttura del linguaggio emotivo. Questa struttura è complessa e semplice allo stesso tempo: complessa perché utilizza schemi molto più astratti e a largo raggio (si pensi a quelle attività oniriche, sogni, a cui non riusciamo a dare un senso razionale), rispetto a qualsiasi altro linguaggio logico, strutturato in modo sequenziale e schematico; semplice perché usa una struttura di riferimento universale, simbolica/archetipica.  All’interno del contesto in cui viviamo, comunichiamo  molto di più attraverso il linguaggio emotivo che quello conosciuto come linguaggio verbale letterale. Nel nostro inconscio risiede una individuale rappresentazione  simbolica  del mondo (chiamata impronta, modello) ed una comune a cui  tutti facciamo riferimento per muoverci nei contesti in cui viviamo. A questo “linguaggio emotivo”, C. G. Jung ha dato il nome di inconscio collettivo. Conoscere la struttura del linguaggio emotivo ci permette di decifrarne i messaggi in esso contenuti  traendone valide indicazioni per soddisfare al meglio, nella realtà, i nostri bisogni emotivi, conducendo altresì la nostra vita verso la realizzazione di un benessere psicofisico, emotivo, spirituale, economico sociale, secondo le nostre potenzialità.

 

Naturalmente come è comprensibile, noi  non siamo solo emotività, spiritualità, (pensiero conscio e inconscio) ma anche fisicità, materialità (corpo) e come tali dobbiamo  considerare il corpo e la mente parti inscindibili l’uno dall’altra. La medicina moderna ha spesso ignorato il concetto di tutt’uno (corpo e mente), tralasciando la visione olistica dell’essere umano per prestare attenzione alle singole parti che lo compongono. Fortunatamente si sta diffondendo sempre di più un modello scientifico di riferimento che consente di apprezzare il reale funzionamento dell’intero organismo umano, sia in malattia che in salute. Questi studi si concentrano sulle attività del sistema nervoso, endocrino, immunitario e psichico. Stiamo parlando di una scienza chiamata:

Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia.

Ecco quindi che la gestione degli stati emotivi, diventa un valido strumento per conservare al meglio il proprio stato fisico e mentale. Sappiamo che dentro di noi, i sistemi su menzionati, s’influenzano reciprocamente attraverso un dialogo continuo, usando molecole che, al tempo stesso, fungono da neurotrasmettitori, ormoni e citochine.

 

L’applicazione del “Metodo DEEP” (Dialogo con l’Esperienza Emotiva Personale), garantendo  alla persona una visione diversa della realtà oggettiva, sviluppa un modello interiore di riferimento (realtà soggettiva) del mondo più vantaggioso per la persona stessa, la quale si troverà, per effetto di nuove risorse da lei prodotte, ad  usufruire di un ventaglio di scelte maggiori rispetto a quelle su cui, precedentemente, in modo conscio ed inconscio, si basava.


Il “Metodo DEEP” sfrutta le capacità creative, immaginative della persona, permettendole di attivare un processo a catena che, sollecitando il sistema endocrino attraverso il sistema nervoso, favorisce la produzione di sostanze benefiche per tutto il sistema umano, inteso come corpo e mente, ed attiva, quindi, un’azione preventiva in relazione anche a future e possibili patologie che potrebbero sorgere,  legate appunto ad un eccessivo stress  psicofisico a cui la persona potrebbe esporsi troppo a lungo.
In qualità di esseri umani siamo sottoposti giornalmente ad una serie di imput ai quali rispondiamo con un personale adattamento psicologico, fisico ed emotivo. Possiamo quindi  affermare che:

“il termine STRESS  sta ad indicare
il RAPPORTO tra il SOGGETTO e l’AMBIENTE in cui vive.”

Sappiamo ad esempio che nella persona, un livello straordinario di stress costante, crea uno stato psicofisico emotivo detto “distress”, quindi nocivo (dannoso, pericoloso); mentre un livello ordinario di stress costante, crea uno stato psicofisico emotivo detto “eustress”, quindi benefico (utile, proficuo).
Ricondurre la qualità della vita relativamente alle proprie potenzialità, su livelli di stress accettabili, permette di raggiungere più facilmente il proprio progetto di autorealizzazione come già su menzionato.

Massimo Catalucci

 
 
 

COMPORTAMENTO: IL CERVELLO TRINO

Post n°39 pubblicato il 22 Gennaio 2010 da counselor63
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Cervello: Neo-cortex - Limbico - R-complex

Quando parliamo di cambiamento di un qualsiasi nostro comportamento che ci crea disagio nella nostra esistenza, di solito pensiamo che sia sufficiente la sola volontà di fare o non fare una determinata cosa.

In un nostro qualsiasi comportamento che vorremmo cambiare, come ad esempio smettere di fumare, oppure, avere un igiene alimentare conforme alla nostra struttura fisica, oppure ancora smettere di fare eccessivo uso di alcool o droghe, sappiamo che possono coesistere in noi sia la consapevolezza di quello che stiamo facendo, che la nostra inconsapevolezza in merito al perché lo facciamo e questo accade anche se siamo molto convinti di voler evitare uno dei comportamenti su detti.

Lavorare quindi solo sull’aspetto emotivo (inconscio) della persona rispetto a quello razionale (conscio) o viceversa, non fornisce, secondo il mio punto di vista, la soluzione migliore.

Partendo dal concetto olistico e quindi ad una visione più ampia delle conoscenze  a cui faccio riferimento in ambito dello sviluppo e potenziamento delle risorse umane, credo che si debba sempre tenere conto l’intero di qualsiasi cosa, arrivare magari al dettaglio per poi ricomporre il tutto in un intero.

In qualità di esseri umani, sappiamo di essere dotati di un struttura superiore del cervello (neo-mammifero) rispetto agli altri esseri viventi sulla terra, che ci ha reso intelligenti e capaci di strutturare pensieri adeguati alle diverse situazioni e contesti in cui viviamo, con una proiezione futura di miglioramento intellettuale illimitata.

Questa struttura del nostro cervello superiore si è costituita nel corso di milioni di anni, sopra altri due cervelli più primitivi che non costituiscono la nostra attuale intelligenza, ma essendo presenti nel nostro sistema nervoso centrale creano comunque delle connessioni con la parte superiore e più giovane.

Al di sotto del nostro cervello superiore definito neo-mammifero (o neo-cortex) troviamo infatti il cervello paleo-mammario (o sistema limbico) ed infine quello più primitivo, il cervello rettiliano (o r-complex).

Secondo la teoria di Paul Mac Lean (si vedano indicazioni sul Triune Brain  “cervello trino”), ognuno di questi tre cervelli ha specifiche funzioni di vitali importanza per l’essere umano. Partendo dal cervello rettiliano, possiamo notare come le sue funzioni siano istintive e reattive all’ambiente in cui l’uomo vive, permettendogli di adattarsi ad esso, istintivamente appunto e come anche nell’istinto sessuale di riproduzione della nostra specie!

In quello limbico invece, hanno sede le emozioni e i rituali. Questo cervello ha necessità di una ripetizione costante e continua per poter apprendere, ma poi mantiene saldamente ciò che ha appreso, qui hanno sede quei rituali che difficilmente cambiamo.

Infine troviamo quello che abbiamo chiamato cervello superiore (o neo-cortex) che aggiungo ha un’ulteriore caratteristica, quella di divedersi in due emisferi cerebrali, destro e sinistro, con specifiche funzioni. Intanto possiamo affermare che l’emisfero destro controlla e gestisce la parte sinistra del corpo umano e l’emisfero sinistro controlla e gestisce la parte destra del corpo umano.

Laddove quindi l’emisfero destro è emotivo, sognatore, olistico, spaziale, intuitivo; quello sinistro è logico, temporale, analitico, sequenziale, verbale.

Occorre quindi considerare quanto appena accennato nella formulazione ed applicazione di un qualsiasi cambiamento di un nostro comportamento, integrando le conoscenze e le specifiche caratteristiche di cui il nostro sistema nervoso centrale è dotato, siano esse istintive, emotive che intellettive.

Da qui se ne deduce che l’essere umano attraverso le proprie esperienze, assorbe informazioni dalla sua realtà circostante, creando dei vincoli con la stessa, siano essi neurologici che sociali ed individuali.

Facciamo ora un esempio di cambiamento di un comportamento indesiderato. Poniamo che una persona sia in sovrappeso, non relativamente ad una patologia in atto ma per effetto di un comportamento disordinato alimentare, ed intenda ritrovare la “silhouette” conforme alla sua struttura fisica di base. La sola dieta ben studiata da uno specialista nella nutrizione umana, non sarà sufficiente a far ritrovare ciò che la persona vuole riconquistare, se non limitatamente nel tempo e se non in aggiunta di altre specifiche azioni. Né tanto meno la sola volontà di applicare la dieta con regolarità.

Come abbiamo visto, in particolare nella sede del cervello limbico (cervello emotivo), esistono meccanismi di registrazione lenti, ma che poi rimangono impressi indelebilmente in questa sede. Se non consideriamo ed integriamo nel processo di cambiamento di abitudine (alimentare), anche quanto registrato emotivamente, sarà una partita persa sin dall’inizio.

Ma anche il nostro sistema neurologico primitivo (cervello rettiliano) va considerato, permettendo ad esso di trovare quei ritmi equilbrati a lui indispensabili, come la qualità e la quantità di sonno necessari; qualità e quantità di alimentazione; qualità e quantità di attività sessuale; conformi all’ordinarietà dell’essere umano.

In ultimo, bisogna poi considerare quello che viene chiamato anche cervello parlante (neo-cortex) che presenta ulteriori ostacoli da superare. Infatti con le sue caratteristiche bilaterali, che hanno funzioni diverse e che sono sede una dell’inconscio (emisfero cerebrale destro) e del conscio (emisfero cerebrale sinistro) della persona, la stessa dovrà attivare un processo di “dialogo” tra le due parti, al fine di poter mandare ad effetto le eventuali azioni che intende intraprendere per attivare un comportamento alternativo e risolutivo al suo problema di peso.

Un “dialogo” adeguato tra i due emisferi, permette alla persona di considerare le eventuali azioni inconsce che l’emisfero destro attiva perché non soddisfatto emotivamente in alcuni suoi bisogni. In questo caso la parte inconscia incalza appunto l’emisfero sinistro con una pressione emotiva che quest’ultimo interpreta come messaggio semplice di ricerca, in questo caso, di cibo (vincolo neurologico ed emotivo).

Laddove viene permesso all’inconscio di dialogare con la parte cosciente della persona, diverrà più facile creare i presupposti per trovare diverse soluzioni al suo problema, che potrà attivare con maggiore facilità.

Se consideriamo tutto quanto suddetto e lo attiviamo nelle successive tre quattro settimane con costanza, l’assunzione e la memorizzazione di nuove informazioni avranno un effetto di radicamento nel sistema della persona, per cui la stessa originerà un automatismo del nuovo comportamento.

Massimo Catalucci

 
 
 

BLOG: CHI C'E' DIETRO QUEL NICKNAME?

Post n°38 pubblicato il 09 Gennaio 2010 da counselor63
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PSICOBLOG: MASCHERARE LA PROPRIA IDENTITA’

Oscar Wilde diceva: Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.

Spesso, dietro ad un nickname “maschera”, si nascondono persone che vivono la frustrazione della propria identità, vincolati dentro involucri psicoemotivipersonalità, pervertiti o altro, anche se credo che nel web ne navighino molti, ma a quelle persone che soffrono il confronto diretto con l’altro/gli altri, per cui internet, diventa un motivo di appagamento dei propri bisogni, appunto emotivi, una valvola di scarico. La timidezza ad esempio, per chi la vive, sappiamo che è sinonimo di una forte concetrazione su di sé oltre che insicurezza, è sentirsi sempre al centro dell’attenzione anche se nella realtà, chi circonda il timido, non gli presta consciamente nessuno sguardo. E’ il timido stesso che crea dentro di sè situazioni che lo vedono “protagonista”, di solito come soggetto da criticare negativamente. Certo è difficle valutare chi si nasconde realmente dietro un’icona (foto, immagine, disegno) ed una serie di dati personali fittizi. Questo è quello che si chiama però democrazia, libertà e diritto di privacy. Personalmente, trattando argomenti di attualità e di interesse sociale, prefersico mettere la mia foto e descrivermi per quello che sono, anche se questo potrebbe non piacere a qualcuno. La cosa che più mi intristisce però, è quella per cui molti giovani oggi, apparentemente forti caratterialmente, probailmente per mancanza di attenzione e dialogo in famiglia (laddove esista), passano ore davanti al PC in chat, evitando il confronto diretto con i propri coetanei. Questo se da una parte offre l’opportunità di comunicare con più tranquillità celandosi dietro un nome inventato, dall’altra, prevarica la possibilità di crescita e sviluppo armonico della propria personalità. L’interazione reale, non virtuale, in particolare nei giovani, è elemento indispensabile per la loro crescita: devono imparare a confrontarsi, ricevere dei “no”, trovare soluzioni ai piccoli disguidi tra loro coetanei, socializzare insomma…Spesso per evitare questo però, utilizzano l’interazione virtuale, dove, nel caso in cui la comunicazione non è più gradita, per qualsiasi motivo, basta un click per chiuderla…e tornare poi on-line con un nuovo nickname, pronti a rinavigare… Come tutte le cose, anche internet, quale mezzo teconologicamente avanzato delle comunicazioni, ha i suoi lati positivi e negativi, spetta sempre alla coscienza degli uomini usare tali teconologie per migliorare la propria qualità di vita anzichè “deturpare” la propria e, ahimè, in alcuni casi, quella di altri esseri umani. destabilizzanti. Non mi sto riferendo a soggetti con forti disturbi di

Ne parliamo?

Cordialmente

Massimo Catalucci

 
 
 

REALITY - "tra il reale e il virtuale"

Post n°37 pubblicato il 24 Dicembre 2009 da counselor63
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Ciccia è Bella.


La nuova trasmissione  “sperimentale” in un’unica puntata (spero), ha messo in risalto ancora una volta come lo strumento televisivo voglia far passare messaggi apparentemente educativi, ma profondamente distorsivi, della realtà.


Abbiamo più volte ascoltato dalla voce di illustri professionisti (medici, specialisti nella nutrizione umana, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, neurologi), come l’obesità, in questo millennio, sia frutto di uno stile sbagliato di vita ma anche in gran parte di una insoddisfazione psicoemotiva, piuttosto che di disfunzioni organiche legate a qualche patologia genetica.


E dove, ahimé,  è necessaria una dieta per riportare i valori entro i limiti di tolleranza, al di la del motivo per cui si è obesi, rimane il fatto che un fisico sproporzionato (obeso o anoressico) generalmente presenta uno squilibrio anche del sistema psicoemotivo e non solo endocrino.


Abbiamo visto la brava conduttrice Rossella Brescia, recitare ad arte un copione ben programmato, da reality, appunto. L’abbiamo vista coccolare all’infinito le partecipanti; abbattere le loro convinzioni limitanti in relazione alla propria percezione che hanno del loro corpo; spostare la loro attenzione verso una scelta più valorizzante dei capi di abbigliamento; superare limiti che non pensavano di poterseli permettere. Il tutto con uno staff degno di un grande programma televisivo: truccatori, acconciatori, look maker, fotografi, cameraman, registi, conduttrice, pubblicisti, macchinisti, sarte; ed inoltre: medici specialisti nella nutrizione umana, psicologi, ecc. .


Alla termine dello show il prodotto finale è risultato di gran lunga migliore a quello iniziale, sicuramente più armonioso. Il viso delle protagoniste, era sorridente, luminoso, emozionato, realizzato!


Ora però mi chiedo: in futuro, per mantenere quello che hanno vissuto in questo reality, le tre “rotondette” signore, quanto dovrebbero preventivare come spesa mensile?
1.000, 1.500 euro al mese, basterebbero? Rapportiamolo ora al potere di acquisto del target medio di persone. Quanti potranno permetterselo?
È   quindi “realtà” quello che abbiamo visto, o solo un mero desiderio, che qualcuno ha soddisfatto (le protagoniste del reality) e che durerà solo il tempo di una trasmissione televisiva?
Qual è inoltre il messaggio che rimane all’utente, in particolare, a quelle persone che soffrono le dimensioni del proprio corpo?

Mi immagino in particolare il messaggio che può arrivare ai più giovani!

Io credo, che quanto visto in questo nuovo reality, non faccia altro che aumentare la sofferenza di chi già vive una situazione psicofisica ed emotiva particolare, relativamente al proprio corpo.


Ed ancora mi domando: ma non sarebbe più realistico ed educativo, prendere in esame, la possibilità di creare un format televisivo, dove si seguono per diverso tempo le evoluzioni psicofisiche ed emotive di persone che acconsentono di partecipare ad un programma serio di lavoro sull’obesità?

Dove il progetto prevede l’assistenza totale del partecipante, da parte del  medico, dello psicologico, del motivatore (Counselor, Coach, Trainer), dell’estetista, del look maker, e di tutte quelle altre figure che possono contribuire a ridonare, non in una settimana, ma in un arco di tempo più esteso,  un cambiamento conforme alle aspettative psicoemotive della persona che si è sottoposta a questo, che potremmo chiamare così: “Mind and Body  Reality Programme?

    
Capisco che questa mia idea sarebbe molto più costosa e meno produttiva a breve termine. Siamo nell’era dei fast food, del mordi e fuggi, dei take way, dell’usa e getta ed il tempo, è denaro.


Purtroppo sappiamo però, che ciò che si realizza in breve tempo, spesso, non voglio dire che sia una regola, ha vita altrettanto breve, proprio come la soddisfazione prodotta attraverso il Reality di Italia Uno, nelle tre simpatiche signore un po’ in carne.
Sicuramente un prodotto finalizzato a creare uno strumento televisivo veramente educativo, come ad esempio quello che ho indicato, darebbe la possibilità di far conoscere all’utenza ed in particolare ai giovani, l’esistenza di  metodi e tecniche validi per poter realizzare i propri progetti di vita, in conformità del proprio essere.

Concludendo, voglio lasciarvi con due quesiti:

* non sarebbe stato più coerente con il tema trattato, affiancare alle protagoniste del Reality una conduttrice con forme un pò più generose e più vicina alla loro forma fisica?;

* quanto da me affermato, relativamente ad una TV più educativa, non pensate che creerebbe un’informazione più vera offrendo la possibilità di scelte migliori e più vantaggiose per gli utenti che la seguono?

Mi piacerebbe conoscere il parere degli utenti del web in merito all’argomento da me trattato.


Cordialmente
Massimo Catalucci

 
 
 

Forme di Pensiero: Parole che contano

Foto di counselor63

AFORISMI: Qual è il tuo?“Pensieri significativi”

In questi giorni di Feste Natalizie, riceviamo attraverso sms, mail, facebook ed altre applicazioni internet, chi più chi meno, diversi aforismi, frasi che manifestano sentimenti e desideri.

È interessante notare come gli aforismi, nella loro struttura linguistica, sono pieni di cancellature, generalizzazioni e deformazioni.

Probabilmente il successo di queste brevi pillole di saggezza, è proprio nella struttura che le compone.

Potremmo altresì considerare il fatto che attraverso la scelta di un aforisma, di una frase “saggia”, probabilmente si invia anche una propria esperienza di vita, una parte del proprio vissuto personale.

È possibile fare una prova scegliendo una frase di cui ne condividiamo il contenuto. Possiamo scegliere tra uno dei tanti siti internet che elenchino una serie di aforismi, talvolta divisi anche per categoria, “amore, desideri, vita, aforismi antichi, ecc”.

Credo che ognuno scelga la frase che sente più vicina al suo vissuto, una frase nella quale si riconosca e che intende condividere con gli altri.

Soffermandoci sulla struttura delle frasi stesse, possiamo osservare insieme come spesso siano però negative e contengono delle generalizzazioni che ognuno può arricchire con le proprie esperienze di vita.

Citiamone una per fare un esempio (è una frase che ho letto publicata su internet da un utente):

  • Nessuno può farti sentire infelice se tu non glielo consenti

Può capitare che qualcuno ci ferisca, ci faccia sentire male, può essere una parola detta in un certo modo o un gesto particolare, uno sguardo, non ha importanza cosa, è importante come noi stiamo vivendo quel momento.
Siamo delusi e sappiamo che non dovremmo consentirglielo di comportarsi con noi in quel modo specifico, ma questo lo possiamo capire solo dopo che purtroppo è già accaduto il fatto. E così quell’esperienza, nel momento in cui la ripetiamo nella nostra mente, ricordandocela proprio così come è accaduta, riscontrandola nel modo in cui è scritta (Nessuno può farti sentire infelice se tu non glielo consenti), potrebbe innescare dentro di noi un meccanismo di difesa che ci fa perdere fiducia negli altri.

Ripensare al fatto in se per se accaduto tempo fa, riformulandolo sotto forma di un aforisma, crea  continuamente nella nostra mente immagini dove ci vediamo in relazione con qualcuno che fa qualcosa che ci fa provare la sensazione di infelicità (sofferenza), mentre noi gli concediamo quest’opportunità.

Il passo successivo è quello di crearsi scene in cui assumiamo un atteggiamento più cauto nei confronti dell’altro (perché rimasti delusi da una relazione di qualsiasi tipo), avendo sempre come riferimento l’esperienza negativa che abbiamo fatto, provando “infelicità” nel rapporto con un nostro simile.

Ora potremmo puntualizzare sul fatto che in qualche modo ognuno nella sua
vita avrà subito un momento di infelicità causato da qualcuno. E questo è sicuramente riscontrabilissimo, per cui chiunque può riscontrare verità nella frase presa ad esempio.

Ma quello su cui vorrei soffermarmi però in questo post, è che le nostre “antenne sensoriali”, tendono a captare sistematicamente le stesse situazioni, talvolta spingendoci ad utilizzare anche espressioni verbali (le parole sappiamo che sono un ponte di collegamento tra il nostro mondo interiore e la realtà che ci circonda) che ci inducono proprio a creare condizioni interne che ci proiettano continuamente in quello che vorremmo evitare.

Forse la frase su indicata potrebbe assumere il significato che vorrebbe esprimere, con più potenza, se fosse strutturata in quest’altro modo: Ci sono persone che ti fanno sentire felice solo perché rispettano come tu sei.

Il senso letterale della frase (Razionale/Logico) rimane lo stesso, ma la nostra mente segue un processo diverso (Irrazionale/Emotivo):

 

  • quello di crearci immagini di relazione con persone positive;
  • quello di provare sensazioni piacevoli;
  • quello di essere rispettati;
  • quello di sentirci realizzati ed apprezzati;
  • quello di sentirci felici.

In riferimento a questo post, sarebbe interessante interagire con gli utenti del web per fare un gioco, un esperimento. Proviamo a formulare delle frasi e analizziamole insieme per vedere che tipo di struttura hanno. Possono anche essere frasi inventate. Proviamo a scriverne qualcuna.

Cordialmente

Massimo Catalucci

 
 
 

DAP: DISTURBO da ATTACCHI di PANICO

Foto di counselor63

 

Il Disturbo di Attacco di Panico (DAP) è una vera "tempesta a ciel sereno".

 

L’Attacco di Panico arriva quando meno te lo aspetti.

Una volta provato poi, la paura di ritrovarsi in quella spiacevolissima ondata emotiva, fa aumentare l'ansia e lo stress, fino a portare la persona colpita da questo problema, lontano anche dalla vita sociale.

La vita privata si complica, le relazioni, da quelle più intime a quelle più generiche, subiscono delle modifiche. 

L'Attacco di Panico (DAP) non coinvolge purtroppo solo la persona che lo subisce, ma anche il contesto in cui essa vive e questo aumenta lo stress nella persona sofferente di questo fastidiosissimo disturbo psicoemotivo.

 

È difficile far comprendere cosa si prova a chi non ha mai avuto questo problema.

 

A volte chi soffre di DAP prova anche sensi di colpa verso chi gli vive accanto perché razionalmente, pur avendo conforto dagli esami clinici che rivelano la mancanza di una patologia e riconducono quindi la condizione generale della persona solo ad uno stato alterato della sua emotività, la stessa, continua purtroppo a stare male e cosa ancora più complicata, non sa spiegarsi e spiegare  cosa le sta accadendo.

 

Quando l’Attacco di Panico arriva, la persona colpita è presa da un senso di disorientamento totale che le fa perdere il contatto con la realtà che la circonda e con l’oggettività di ciò che sta vivendo. È l’emotività che prende il sopravvento sulla razionalità.

 

Penso che combattere con senso critico e logico l’Attacco di Panico è forse il modo meno indicato, anche se mi è capitato di sentire persone che affermano con decisione, che la razionalità e la forza di volontà possono sconfiggere questo ed altri disturbi.

 

Sono dell’avviso che questo tipo di disturbo, si debba affrontare sia razionalmente che emotivamente. Razionalmente, prendendo coscienza del fatto che è possibile superarlo evitando di opporsi ad esso; emotivamente, intraprendendo un percorso guidato all’ascolto attivo dei segnali che lo stesso inconscio ci invia sotto forma di disturbo emotivo. In quest’ultimo caso, tale percorso è da intraprendere con il sostegno di un operatore qualificato al trattamento di disturbi di questo genere.

    

Se dovessimo andare a ricercare le cause che possono aver dato origine alla manifestazione di un DAP, probabilmente dovremmo ricercarle nella qualità delle relazioni che la persona ha vissuto, in particolare con le figure importanti della sua esistenza, i contesti in cui si è trovata, il peso che ha dovuto sopportare di situazioni conflittuali in cui forse avrebbe preferito evitare di esserci, ascoltare parole che non avrebbe voluto ascoltare, evitare di pronunciare parole che avrebbe voluto esprimere, caricarsi di una eccessiva responsabilità nei contesti in cui ha vissuto. Sono molteplici i motivi per cui può presentarsi il DAP, che forse ancora non sono ben chiari neanche agli specialisti che si occupano della salute psicologica delle persone.

 

Certo è che, laddove in famiglia ci siano stati casi di DAP, forse sarebbe meglio prevenire con i successori diretti, l’insorgere di tale disagio, attraverso il controllo del livello dello stress individuale.

 

Lo stress è un indicatore di vitalità, non è tutto nocivo. Il neuroendocrinologo Hans Selye, nel 1930 diede questa definizione scientifica dello STRESS: “lo stress è la risposta strategica dell’organismo nell’adattarsi a qualunque esigenza, sia fisiologica che psicologica, a cui venga sottoposto. In altre parole è la risposta specifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso”.  C’è da fare quindi una distinzione tra stress buono “EUSTRESS” e cattivo “DISTRESS”.

L’EUSTRESS ha origine  in tutte quelle condizioni in cui percepiamo consciamente e inconsciamente l’ambiente intorno a noi come stimoli positivi;

Il DISTRESS ha origine in tutte quelle condizioni che percepiamo consciamente e inconsciamente come stimoli negativi, conflittuali.

La relazione che abbiamo con l’ambiente a noi circostante (persone, cose, fatti, ecc.) determina una nostra RISPOSTA allo STRESS che lo stesso Hans Selye ha definito “General Adaptation Syndrome” (Sindrome Generale di Adattamento).

   

Credo quindi che sia fondamentale per tutti noi, non solo per chi potrebbe essere esposto al DAP per un fattore genetico, evitare di accumulare troppe tensioni emotive nel nostro sistema inconscio.

 

Potremmo immaginare il nostro sistema psicoemotivo energetico come un contenitore nel quale affluiscono tutte le nostre emozioni buone e cattive, sotto forma di Piaceri e Sofferenze.

 

Il fatto è che se accumuliamo piaceri, questi non creano spessore in quello che abbiamo identificato come un contenitore di emozioni. I piaceri potremmo rappresentarli come qualcosa che evapora, che ha una struttura leggera. Mentre se pensiamo alle sofferenze, non sarà difficile immaginare che queste creino dei residui che difficilmente riusciamo a smaltire. Infatti, anche attraverso le espressioni verbali, ci sarà capitato sicuramente di manifestare una nostra sofferenza, un nostro stato emotivo negativo, come un “peso”. Qualcosa che sentiamo, anche fisicamente in qualche parte del corpo, sia lo stomaco, il ventre, la gola, la testa ecc. ecc.. Ecco quindi che, depositandosi nel contenitore emotivo, le sofferenze, a lungo andare formeranno  uno strato solido che sarà difficile da diluire e smaltire. E questa condizione potrebbe rientrare ancora in una fase gestibile dalla persona della sua emotività. Ma laddove questa pressione dovesse superare il livello di tolleranza individuale, potrebbe diventare ingestibile e dare seguito a disturbi emotivi fino anche, appunto,  ai Disturbi di Attacchi di Panico.

 

L’aspetto conflittuale emotivo, in cui verte la persona colpita dal DAP, tende a farla sentire sempre più sola e incompresa. Spesso le persone che le ruotano intorno, richiamano la stessa a razionalizzare di più sul suo stato, ma essendo di natura emotiva, appunto, le persone stesse non riescono a comprendere che un consiglio di questo genere si ferma esclusivamente alla parte logica del sofferente ma non ha una funzione positiva sulla sua parte emotiva (inconscia) anzi, tutt'altro, ne aumenta gli effetti negativi.

Credo che in questi casi, il primo importante intervento da fare sia quello di ascoltare la persona colpita dal DAP. Aggiungerei anche che potrebbe essere, forse, di aiuto, per chi si trova a vivere un Attacco di Panico, scrivere, nell'esatto momento in cui vive questo stato emotivo forte, tutte le sensazioni che si provano all'istante .

 

Forse con il dialogo e con la scrittura si possono scaricare quelle tensioni emotive che in qualche modo con l'Attacco di Panico cercano di trovare sfogo verso l'esterno della persona che ne è colpita.

Naturalmente il supporto di un professionista in questo campo, sarà necessario per risolvere il DAP, dal quale sono convinto è possibile e necessario uscire, per recuperare in pieno la propria vita privata e sociale.

 

 
 
 
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PILLOLE DI SAGGEZZA

Clicca sull'immagine per vedere il video dove  il  Principe  Antonio  De  Curtis, in arte  Totò,  recita   un   suo    famosissimo testo:     "A' Livella".

 

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