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LETTERA ALLE ISTITUZIONI

Post n°11 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da osservpubblammin

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LETTERA ALLE ISTITUZIONI

Dall’Osservatorio sulla Pubblica Amministrazione

Parte seconda

Tempi oscuri i nostri, se è stata necessaria un legge sulla trasparenza (dell’azione amministrativa), ma ecco che sulla scena amministrativa compare la sorella  “la legge sulla privacy”, che botte da orbi!

Ognuno tira acqua al suo mulino, secondo la propria inclinazione.

La prima avanza con  scollature profonde, spacchi, veli,scelleratamente disponibile a  svelare  anche i suoi difetti più nascosti, ma accorre la sorella privacy, le tira le  gonne fino a coprire non solo le caviglie ma anche le scarpe; la imbacucca in scialli e sciarpe che quasi non si riconosce  chi è nascosto sotto , - e lo spasimante voglioso e geloso accorre e anche lui un po’ copre, un po’ scopre, alla fine a volte il culo è scoperto, ma il viso è nascosto alla vista e non si riesce a dare un nome alla padrona del fondo schiena.

Per la figura completa rimandiamo agli incontri al buio – cioè al di sopra di ogni forma di luci e veli di ipocrisia. Infatti solo attraverso l’effetto mediatico di due sconosciuti che si danno appuntamento per conoscersi in senso biblico (cioè incontro al buio) si svela l’arcano delle rispettive figure. Ma consumato l’incontro – delusi- si separano repentinamente e cercano di guadagnare i propri spazi di provenienza , in quanto contraddittori e incompatibili.

La sorella privacy scivola per la strada come un’ombra sul muro, nessuno deve vedere la sua ombra, il rischio è la fine prematura.

L’uomo delle Istituzioni cammina a fianco di questa ombra e su di essa con la fuligine  può scrivere ciò che più gli piace,svelando talvolta l’indole di romanziere, per le fantasie iperboliche inventate, che risate nei tribunali quando se ne smaschera qualcuno!

Ma che fatica, l’uomo- istituzione contro l’uomo- istituzione, combattono una lotta ridicola e pericolosa.

L’interessato sarà sempre colui che su se  stesso – per la legge sulla privacy – non deve saper ciò che tutti sanno.

Mamma giustizia si barcamena nel caos dando ragione un po’ alla privacy e un po’ alla trasparenza, perché non sempre è chiaro dove finisce l’una e dove comincia l’altra – al servizio della verità.

Paese di gravi depressioni.

E’ depressa la finanza, il mediterraneo, la cultura, le culture, la trasparenza, i trasporti, i sanitari, i malati, la gente, la moralità, la fede.

L’individuo del villaggio globale dove tutto vede e pochissimo in proporzione possiede, senza controlli e autocontrollo è depresso.

Qualcuno è molto depresso, ma per dirla con Erasmo da Rotterdam, nell’ Elogio della Pazzia, appartiene alla categoria dei savi, perché infatti non c’è peggior pazzo di chi vuol fare il saggio in mezzo ai matti.

Magari è matto perché vuole lavorare con continuità e continuando a credere che esista ancora  un’etica del lavoro – forse quella su cui si basa la Repubblica Italiana. Ma non capisce che invece bisogna lavorare in molti e per poco tempo, cambiare spesso lavoro, magari dopo aver frequentato qualche corso professionale fantasma, e trovarsi tre mesi su un ponteggio, altri tre sotto i ponti, e se va bene altri  tre ospite di qualche corsia d’ospedale perché, per caso, il pericolo che al corso fantasma non ti era stato spiegato tu lo hai incontrato di persona.

Ma coraggio, dunque ! Vivere bisogna!

Siamo amati, si punta tutto sulla nostra longevità di lavoratori atipici, disposti a metterci sempre in gioco, a scommettere su noi stessi; peccato che le banche non lo facciano e ci concedono splendidi  sogni  e mutui da incubo, e che nelle città non trovi una casa in affitto se il tuo stipendio è a singhiozzo.

Ma la felicità del contratto di lavoro il singhiozzo  te lo farà passare, peccato che il beneficio duri poco.

In compenso  un giorno avrai la pensione, ma sarà un giorno lontano e te lo faranno vedere sempre più lontano: La triste vecchiaia non esiste più, si vive più a lungo, non sarebbe giusto annoiarsi  troppi anni davanti alla TV: è pericolosa per gli anziani la programmazione televisiva, rischiano di morire di noia o di avere un infarto da inquadrature osè, condite da un turpiloquio banalissimo. E troppe belle donne e bei giovanotti, tutti ridotti in mutande. Forse perché anche il loro contratto di lavoro è  precario, così i costumi diventano striminziti, secondo il gusto del padrone. Il pubblico plaude, ma riconosce chi comanda dall’abito sobrio che indossa, mentre attorno a loro si muovono i fauni e le ninfe, buone anche per un allegro dopocena. Ma è tutto un gioco condiviso.

Fa molto  meno sorridere il dolore delle vittime  di violenze delle quasi bambine e dei ragazzini e delle donne adulte abusati senza pietà. Perché i colpevoli (oltre ad essere carnefici) a loro volta sono vittime della propria ignoranza, per un’esistenza vissuta in una società che non li educa e li fa arrivare alla pseudo -maturità  sessuale  senza averli fatti riflettere sul modo con cui controllare gli impulsi, per conoscere il meraviglioso mondo delle emozioni  nel rispetto degli altri. Senza considerare i fatti che avvengono per motivi patologici e o per degrado  sociale e umano.

Panni sporchi che a volte si lavano in tribunale, ma bisogna leggere il “processo di Kafka”  per capire il mondo della giustizia.

Nell’era della comunicazione globale, i tribunali hanno ancora bisogno del domicilio legale per dialogare con le parti lese, non mandano una raccomandata fuori dall’ambito del territorio di competenza del tribunale. Allora ci vogliono avvocati su avvocati, soldi su soldi.  Ma a parte  Kafka, anche la saggezza popolare conosce la situazione e lo dimostra quando afferma “fabbrica e liti pruvati  ca viditi” ossia fabbriche e litigi provate per vedere.

Non parliamo poi dei tribunali in ufficio – in  piazza- insomma nel sociale. Moda e costumi alterati da bullismi e mobbing, fuori moda invece  il gallismo italico.

L’italiano informatizzato e socialmente analfabeta indossa costumi da halloween e per non farsi paura non si guarda più allo specchio della cultura, e dei principi di umanità universali, e non sa nemmeno che il suo male di vivere è solo una nuova forma di ipocrisia, - nessun confronto con chi non è omologato alla battutaccia, all’uniformità del faccio ciò che mi conviene, e tu taci e cercati un padrone che ti protegga.

Il dialogo è spesso basato sulla coniugazione del verbo deridere: io derido, tu deridi, egli deride ecc.

(continua

 
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