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In balera

Post n°3 pubblicato il 22 Ottobre 2010 da VoglioBallareLaVita

A volte il mio nemico sono io. Non solo a volte. La complessità, il problema sta tutto dentro di me.

A volte invece sono incredibilmente orgoglioso di me. Qualcuno direbbe troppo spesso. Punti di vista.

 

Sono andato in balera. Beh, non proprio in balera. Sono stato in una discoteca talmente grande che dentro ci sta anche una balera. Sono molto orgoglioso di me stesso perché ho saputo andarci da solo. Che coraggio! Vero? lo so, non ho salvato il mondo.

 

Eppure sono orgoglioso. Non sarebbe stato impossibile fare un paio di telefonate per organizzare la serata ed andarci in compagnia. Ma a chi avrei fatto quelle telefonate? Perché non avevo telefonato prima a quelli, giusto per sapere di loro? Gratuitamente e senza secondi fini? il motivo lo so, è la salvaguardia strenua dei miei spazi vitali, la difesa da ogni tipo di incursione e di curiosità. 

 

Quindi forse avrei telefonato solamente per la paura di essere solo. Non la mia paura di essere solo: io sono certo che non mi fa paura essere solo. Allora forse la paura della mia solitudine è negli altri; in coloro che incontro e che non capiscono come si possa godere di essere solo. E ciò che non si capisce spaventa. O forse addirittura la paura è la mia paura di vedere la mia solitudine con gli occhi di chi ha paura della mia solitudine. Un po' ingarbugliato. Quel che è certo è che le telefonate non le ho fatte.

 

Sono andato. Ho preso il coraggio che manca a chi non sa essere solo, ho scelto di non fare le telefonate e mi sono tuffato in una discoteca che è anche una balera. Se ne stava lì a pochi chilometri da casa mia. Enorme. Sconfinata. Ci passavo a fianco di giorno e quasi non la notavo. Di giorno è un'altra cosa una discoteca. Se ne sta addormentata, mimetizzata tra altri edifici, sorniona o semplicemente assonnata. Senza luci e senza distese di automobili in processione e in adorazione. Non attrae e non si distingue. Una discoteca ha un'altra personalità se la osservi di giorno. E' una donna della notte. Che mostra le sue occhiaie e le sue rughe solo di giorno. Ma di notte è solo viva. Si riempie di vita, fervida, calda, esuberante. Forse è Sally, come quella di Vasco. Una di quelle donne che si alzano tardi e che ne hanno già viste tante nella loro vita. Una di quelle che non vanno a messa ma che hanno tanto amato e quindi  piacciono a Dio più di tante donne-da-cero-in-chiesa.

 

Per qualche tempo ci eravamo squadrati. Poi ho deciso che sarei andato. Senza telefonate. Da solo. Ero curioso di vedere, di sentire se qualcuno così vicino a casa, sta ballando la vita.

 

Entro in un macrocosmo. Esploro la Galassia del liscio. È grande, con una pista centrale, circondata da una folla di divani e poltrone. Gli abitanti della galassia del liscio sono giovani, sono vecchi, sono strani.

Mi soffermo a contemplare la grande pista centrale. I ballerini ruotano, ruotano con movimenti precisi. I busti rimangono rigidi e diritti. Le gambe si incrociano con precisione. Eccessiva precisione. Per un attimo mi fa la stessa impressione dell'ora d'aria di "fuga di mezzanotte". Ha un suo fascino e una sua bellezza ma non è quel che cerco. Non mi danno l'impressione di ballare la vita. Non c'è dubbio che stiano ballando, non c'è dubbio che ne stiano godendo. Ma...

 

Mi sposto nella galassia del revival. Musica anni 70 e 80 e 90. Anche qui gli abitanti sono tanti e vari. Sono più stretti e più bui. Anche qui la pista è circondata da divani e sembra che sia suddivisa in base a regole non scritte: il settore più giovane da un lato, il settore medio, il settore mezza età e geriatrico. 

Non c'è uno stile, i movimenti non sono guidati da una specie di remota regia. Nel complesso, se vedessi questa scena togliendo la musica, avrei l'impressione di un grande casino disorganizzato e anarchico. Eppure, avrei anche una strana impressione di unità e di armonia. Non riuscirei a spiegarmela in maniera semplice perché il filo conduttore, che esiste, non avrebbe nulla di esplicito e palpabile. Vedo signore anziane ondeggiare, oscillare, ruotare abbracciate a signori anziani. Poi vedo qualcuno, magari di 30-35 anni che muove la testa come in un tic e si limita a questo e poco più. Poi un gruppo disposto a semicerchio di persone dai movimenti un po' grevi ma spontanei e sensuali.

 

Mi sento bene ma manca qualcosa. Molti gurdano attorno in cerca di qualcosa. E' evidente che cercano qualcosa. Non sono riuniti nelle viscere di un mondo notturno per ballare la vita. Non sono quaggiù per sentirsi liberi. Sono qui per trovare qualcuno o qualcosa. E più gurardano attorno per trovare qualcosa, più stretta diventa la loro gabbia: la costruiscono loro con ogni sguardo. C'è qualcosa che costringe, che rende schiavi in ognuno di quegli sguardi. Non è qualcosa di esterno. Ognuno contribuisce alla creazione di un vincolo, di un cordone ombellicale con il mondo esterno. E a nessuno è concesso di abbandonarsi alla vibrazione di un'altro mondo. Più profondo, più istintivo ed animale. Non necessariamente allusivo e sessuale, ma più vero. Quel vincolo spietato che ci costringe tutti a rimenere quello che siamo è il giudizio.

Ognuno che si guarda attorno non cerca solo qualcosa. Esprime giudizio. E' costretto dal proprio giudizio a essere schiavo di tutto ciò che avrebbe voluto lasciare fuori di Sally. Invece più si guarda attorno e più edifica giudizio; lo si leggerà nei suoi occhi pieni di paura, paura del giudizio che viene dagli altri e quindi occhi  ancora più pieni di giudizio. E più giudica e più è schiavo. Se non fosse così nessuno di quelli che vedo ammazzarsi di alcol ne avrebbe bisogno. 

Un ammasso di schiavi di se stessi. Della paura del giudizio degli altri. Ma ancora peggio del proprio giudizio. Ed alla fine la paura delle paure,  riversata tutta assieme come in mille rivoli che affluiscono sulla pista che diventa uno stagno: la paura del ridicolo. In un mondo in guerra, in guerra ogni giorno, in cui le persone si accontentano di desiderare quello che non li rendrà mai felici e che si realizza solo contro gli altri, il ridicolo è la sconfitta del rispettabile e del per-bene.

Una pista da ballo può essere un terreno di battaglia terribile oppure un'oasi di liberazione. Dipende chi ci sta sopra. Dipende quanto schiavi della stupidità sono quelli che la affollano. Quanto riesco a reagire alla mia stupidità? Purtroppo sempre troppo poco. E quindi rimango sveglio, vigile, attento. Sento il giudizio attorno. E la musica viene dopo, in un secondo piano della percezione. Ballo e so. Non sono libero. 

Non sono certo un pezzo di legno. Son un metro e novanta. Non passo inosservato. In un modo o in un'altro non passo inosservato. "Non dovresti essere tu a dirlo". Ma va a cagare!  Chi dovrebbe dirlo? Una paio di donne o ex-ragazze ammiccano. Invitano più o meno esplicitamente. Ma non mi va. E questo non mi libera dal giudizio. Anzi accresce una consapevolezza narcisistica che se possibile mi rende ancora più schiavo del giudizio.

 

Una volta una ragazza con cui non ero nemmeno troppo in confidenza mi ha detto: "tu devi avere sangue nero nelle vene". Me l'ha detto una decina di anni fa mentre stavamo ballando. Non c'eravamo per niente simpatici, ma lei si è avvicinata e nel casino della discoteca mi ha detto questo. Senza incertezze. Senza secondi fini. Per uno che gioca a pallacanestro, ama il blues e che non ha certo un ego atrofico, sentirsi dire una cosa del genere è come un biglietto espresso verso un ego ipertrofico. Ovviamente un ego grande è una grande schiavitù.

 

Però vedo una via di uscita da tutto questo. Ha una camicia bianca lunga, che arriva fino a metà coscia. Porta un paio di jeans che coprono gambe lunghe e troppo sottili. Capelli a caschetto rossi. Balla con un'eleganza che la rende lontana. Non è quell'eleganza che si infligge. È un'eleganza tutta compresa in se stessa, un'eleganza che non ha bisogno di affermarsi, che non sembra cercare alcun giudizio. I suoi movimenti sono belli, non sono misurati ma non hanno nulla di eccessivo. È buio non vedo se è realmente bella. Eppure è bella. Non sembra guardare intorno. Non sembra guardare nulla. Sembra libera. Sembra del tutto disinteressata del giudizio proprio e altrui. Forse non è vero ma a me non importa della verità: a me importa di quello che questa creatura con i capelli a caschetto rossi mi trasmette. Ora. Mi interessa. Mi siedo su uno dei divanetti e la osservo. Balla ma non sembra essere qui. Non sembra guardare proprio nessuno. Sembra essere totalmente dentro i meandri del mondo Sally. È difficile da interpretare; mi piace quel che vedo ma non so cosa mi piace di quello che vedo. Non credo mi piaccia lei: è alta ma troppo esile. Non credo sia la varietà, la vastità, la precisione, la profondità dei suoi movimenti. Anzi di certo non le frega niente della qualità dei suoi movimenti. Quel che mi affascina è l'impressione di libertà che mi dà. A volte appare, si mette su una specie di piccolo palco e lì rimane fino a che la musica le piace. È su un palchetto rialzato ma non sembra sia là sopra per mettersi in mostra. piuttosto potrebbe stare la sopra per avere attorno a sé lo spazio necessario per muoversi libera, senza collisioni, senza spinte e sgomitate. E quindi la osservo. Fino a che la musica che le piace finisce e scompare. Allora anche lei scompare. Libera. 

 

Forse qualcuno in questa sala, almeno per qualche canzone, ha ballato la vita.

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Commenti al Post:
pamela.risica
pamela.risica il 23/10/10 alle 09:51 via WEB
e' bellissimo questo racconto....ciao
 
 
VoglioBallareLaVita
VoglioBallareLaVita il 23/10/10 alle 21:04 via WEB
Ti ringrazio, e non poco!
 
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