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The Road è un film senza speranza, cupo grigio, senza via d'uscita. John Hillcoat mette degnamente in pellicola il romanzo di Cormac McCarthy (autore, tra gli altri, di "non è un paese per vecchi"), grazie ad un sapiente uso della telecamera, scenografie e location molto adatte (che neppure nei migliori Survival Zombie) una buona post produzione per i toni di colore e attori capaci (anche se il film si può dire giri intorno quasi totalmente a Viggo Mortensen).
Il mondo è sconvolto da terremoto e calamità naturali di vario genere, tanto che la temperatura mondiale sembra essersi notevolmente abbassata, il sole sembra solo un lontano ricordo, le piante sono morte nella loro quasi totalità, così come le altre forme di vita animale che non siano l'uomo. Gli uomini, senza le loro fonti di cibo primarie, si attaccano a tutto ciò che c'è di commestibile, e dopo aver esaurito le riserve alimentari ed aver depredato il depredabile, sorge il fenomeno del cannibalismo, dove i bambini (rari) sono la preda più ambita.
In questo clima di disperazione totale, senza via di uscita, un padre ed un figlio, rimasti soli, tentano un improbabile viaggio verso sud, dove forse il clima non sarà così rigido, e forse ci potrà essere un futuro, non potendo più resistere ai rigori dell'inverno e senza cibo. In questa odissea della malnutrizione, della fame, del suicidio che pende su di loro come una spada di Damocle e dell'efferatezza dell'uomo, c'è la tenace volontà di un uomo che vuole sopravvivere a tutti i costi, anche con un terribile bagaglio di sofferenza per se' e per suo figlio, in un egoismo/altruismo che và al di fuori della ragione, quasi suggerendo , senza mai dirlo esplicitamente, un risvolto religioso del rispetto della vita (ma questa è una interpretazione, non ci sono elementi che lo suggeriscano davvero).
Insomma, il film è bello, piacevole alla vista, con una sceneggiatura notevolissima, nella quale ogni sentimento, ogni vicenda importante dal punto di vista narrativo ha un richiamo, un percorso, che te ne fà intuire pienamente la forza, tramite l'uso di flashback sapientemente dosati lungo tutto lo svolgersi della storia.
L'unico appunto lo si potrebbe fare alla storia in sè, che peraltro aderisce molto bene all'originale di McCarthy, dove non ci vengono fornite spiegazioni avvincenti, e neppure un finale degno di nota (anche se, a mio avviso, lo stesso finale può essere intrepretato in più di un modo).
Nel complesso un buon film, magari da non vedere quando si è depressi.... :-)====€
T.
Hank
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HAGAKURE
Quando un acquazzone ci sorprende, cerchiamo di non bagnarci affrettando il passo, ma anche tentando di ripararci sotto i cornicioni ci inzuppiamo ugualmente.
Se invece, fin dal principio, accettiamo di bagnarci eviteremo ogni incertezza e non per questo ci bagneremo di più. Tale consapevolezza si applica a tutte le cose.
Yamamoto Tsunetomo(1 - 79)
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LA MORTE E IL BUSHIDO
Quando sopraggiunge una crisi, davanti al dilemma fra vita e morte,è necessario scegliere subito la seconda. Non è difficile: basta armarsi di coraggio e agire. Alcuni dicono che morire senza aver portato a termine la propria missione equivale a una morire invano. Questa è la logica dei mercanti gonfi di orgoglio che tiranneggiano Osaka ed è solo un calcolo fallace, un'imitazione grottesca dell'etica del samurai.
E' quasi impossibile compiere una scelta ponderata in una situazione in cui le possibilità di vita e di morte si equivalgono. Noi tutti amiamo la vita ed è naturale che troviamo sempre delle buone ragioni per continuare a vivere. Colui che sceglie di farlo pur avendo fallito nel suo scopo, incorre nel disprezzo ed al tempo stesso è un vigliacco e un perdente.
Chi muore senza aver portato a termine la propria missione muore da fanatico, in modo vano, ma non disonorevole. Questa è infatti la Via del samurai.
L'essenza del Bushido è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata.
Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la Via.