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Tra le foglie

Racconti e ali di gabbiano segate a metà

 

 

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 Due: il tempio deserto

Post n°67 pubblicato il 01 Novembre 2008 da stratagemmo

 Un vecchio monaco stava spazzando i gradini del tempio. Erano passati quattro anni dalla fine delle razzie che alcune formazioni armate, fuoriuscite dall’esercito, avevano compiuto nei villaggi dei contadini della provincia. Egli aveva pregato molto, all’epoca, affinché quei fatti orribili finissero presto, perché aveva intuito che quei disordini avrebbero danneggiato il sentimento religioso delle persone. E gli pregava tutte le sere, nella sala centrale del tempio, il grande, compassionevole Amida. In verità, recitava le sue preghiere con un sentimento forte, ma il pensiero confuso. Non sapeva cosa desiderare, in fondo. Quegli uomini malvagi portavano sulle loro bocche il nome del compassionevole bodshivatta1, e nessuno aveva il diritto di impedirglielo, nemmeno Amida stesso. Non poteva chiedere la loro morte, perché non era certo una cosa compassionevole, e non poteva volere che la situazione continuasse in quel modo. I contadini avevano ormai associato quel nome alle violenze e ai soprusi, e in molti avevano iniziato a pensare che Amida non fosse altro che un Kami protettore dei malvagi. O, nel migliore dei casi, un inutile ciccione che non sapeva far altro che starsene con le mani in mano mentre il mondo andava a rotoli. I suoi sforzi per cercare di spiegare che non bisogna confondere un Budda con un Kami scintoista erano stati completamente inutili. I Kami sono moltissimi, forse infiniti, e spesso se ne ritrovano di dimenticati o se ne scoprono di nuovi. Un Budda, cos’altro poteva essere?
Nonostante tutto, in un modo un po’ brutale le razzie erano terminate, ed egli non poté trattenersi da un moto di gioia riconoscente, nonostante sapesse che la retta via consisteva nel provare, al contrario, compassione per quelle vite che finivano così improvvisamente e dolorosamente.
Proprio mentre era perso in quei ricordi, apparve sul fondo della strada un drappello di soldati, come evocato da quei pensieri. Cavalcavano cavalli riccamente bardati, e nonostante fossero armati di tutto punto, le loro splendide armi erano più da parata che da guerra. Passarono attraverso la porta aperta ed entrarono nel giardino interno senza esitazione. Il monaco attraversò lo spiazzo per prendersi cura dei cavalli sudati e coperti di polvere, e rivolse a loro un sorriso e accoglienti parole di benvenuto.
“Dov’è il venerabile Raioga?” chiese il più anziano dei soldati, saltando i convenevoli.
“È nella sua cella, in questo momento, e forse vi stava aspettando. Ma temo che oggi non ve ne andrete più felici di quando siete arrivati” I soldati parvero non far caso alle parole del monaco. Il più giovane scosse la testa, e dal suo volto si vedeva chiaramente che stava pensando: “Questi monaci! Devono sempre parlare in modo torbido e misterioso!”

Il venerabile Raioga, ultima guida spirituale del tempio di Amida, nonché sventurato gestore delle relative finanze, a causa del calore di quel pomeriggio e della sua veneranda età, stava riposando nella sua cella, disteso su un umile pagliericcio.
Quando i soldati entrarono rumorosamente nella cella angusta, si alzò subito, stropicciandosi gli occhi.
“Non vorrei disturbarla troppo, maestro” mentì il soldato più anziano.
“Yoshimasa in persona… quale grande onore ci fate!” disse il venerabile Raioga “perché non andiamo a passeggiare sotto il portico?”
Lì, ad eccezione del monaco che, dopo aver sistemato i cavalli, era tornato a spazzare gli scalini, non c’era nessun altro. Il calore si stava facendo insopportabile, e i sorrisi tesi.
“Saltiamo i convenevoli. Quest’ anno sono venuto io in persona, per sincerarmi che non accadesse qualche pasticcio come l’anno scorso. Ho commesso un errore, lo ammetto, a mandare un funzionario giovane e inesperto da voi scaltri monaci a riscuotere ciò che ci dovevate, ed ecco, con i vostri piagnistei l’avete convinto. È tornato con poco più della metà di quanto vi avevamo chiesto. Quest’anno però, non ci saranno sbagli.”
“Non ci saranno sbagli? Questo è sicuro! Sono passati quattro anni dall’ultima volta che vi ho visto – prego, da questa parte -” continuò il monaco conducendoli verso la sala centrale del tempio “e di certo mi avrebbe fatto piacere rivederti prima, in occasioni più distese. A proposito, non noti niente di diverso in questo umile tempio, da allora?”
Yoshimasa si guardò attorno con attenzione. In passato aveva avuto occasione di dover indagare per scoprire qualche ladro o qualche assassino, ed aveva affinato il suo spirito di osservazione. Nonostante i quattro anni si ricordava la struttura del tempio a memoria. Ripassò, mentre lo attraversava, la sua mappa mentale. Ricordò la posizione esatta di ogni statua, di ogni porta, persino le dimensioni delle pareti. Ma non vi trovò nulla.
“Tutto sembra essere al suo posto.” Rispose, con riluttanza.
“Proprio così. Eccetto un paio di cose.” Affermò il venerabile Raioga. “Le persone, innanzitutto. Nessuno fa più visita al tempio, da molto tempo ormai.” Fece una pausa per far scorrere la porta che permetteva l’accesso alla sala centrale. Qui, vi dimorava una grande statua del Budda. “Ed in secondo luogo questa statua. Non v’è più nemmeno una lamina d’oro, e i fumi profumati non la circondano più. Semplicemente non possiamo permettercelo. I fedeli non ci sono più. Abbiamo dovuto vendere le lamine dorate per riparare il tempio, dopo la grandine e il terremoto, e per pagare voi, con la fiducia che i fedeli sarebbero tornati. Ma non è successo. Non ci sono più pellegrini, ormai. Beh, forse un paio, ogni due o tre mesi. Le nostre antiche ricchezze si sono esaurite. Ormai non ci rimane che l’orto che abbiamo qua dietro, un maialino, e le nostre vite ormai stanche. Potete prendere quelle, se credete che possa servire a qualcosa”
Yoshimasa perse il controllo: “Vecchio! Non credere che mi farò ingannare! Avrai nascosto il malloppo da qualche parte! magari l’hai anche seppellito pur di non pagare la nostra protezione…! Non più tardi di ieri ho visto una carovana di pellegrini con delle statuette alte così!”
“Oh, non ne dubito… ma non venivano certo dal nostro tempio.”
“E da dove allora?”
“Quelli che sono venuti dal sud… Quelli di Nichiren… erano dei poveri straccioni quando si stabilirono alle pendici del monte Meji, otto o nove anni fa. Ma la gente ha iniziato ad ascoltarli. Adesso sono in molti, hanno costruito un sacco di piccoli tempietti e di locande, oppure le hanno comprate, loro o dei loro amici. Persino i giovani monaci di questo tempio li hanno seguiti. Quaggiù restiamo solo noi vecchietti…”
“Stai mentendo! Anch’io sapevo che questa moda stava prendendo piede… ma al punto da rubarvi i fedeli! Suvvia! Questo tempio esiste da decine di generazioni! E tu vuoi forse farmi credere che sta svanendo nel nulla?”
“Un monaco non mente mai, dovresti saperlo. Ma tu sei libero di credere o non credere a quello che vuoi. Metti sottosopra l’edificio, porta i tuoi soldati a scavare dove ti pare… purtroppo non troverai quello che cerchi. In passato hai fatto ottimi affari con noi, e spero che ti sarai messo da parte un bel gruzzoletto per i momenti come questo. Tuttavia, se vuoi fermarti per cena, avrò il piacere di condividere con voi le verdure del nostro orto, che sono le migliori che possiate trovare in tutta la regione.”
“Idiota! Tienila per te la tua erba! Anche i contadini sono capaci di pagarci con riso e sakè, e non è la sola cosa che serve per mantenere un esercito! Credi che le nostre spade, le nostre armature, siano fatte di riso? Di maiali?”
Uscì camminando furiosamente, mentre i suoi lo seguivano senza fiatare.
Il venerabile Raioga uscì dopo pochi minuti e guardò il cielo terso. Non c’era un alito di vento. A nord si stagliavano cupe nubi, pronte per il temporale.

 
 
 
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