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LA CULTURA DEL SUPERFLUO

Post n°22 pubblicato il 26 Gennaio 2010 da Antonio.Bianchessi
 

 

    Tra le ultime novità della stagione ecco finalmente il cinema restaurant, pubblicizzato ormai da giornali e televisioni di mezzo mondo. Un ambientino confortevole, con poltrone reclinabili e pulsanti sui braccioli: basta premere quello giusto e un cameriere silenzioso si avvicina chiedendo: “Champagne?”

   L’iniziativa, diffusa già da tempo in Australia, è sbarcata negli States e pare che la crisi le sia indifferente. Il prezzo non è poi così elevato e si tratta di un lusso che se non sei un  precario errante o peggio ancora un genitore con un figlio eternamente a carico, ti puoi ancora permettere: una serata diversa, da godere ogni tanto. Non so come si consoli il precario, ma certo più e meglio di quel genitore inviperito nel vedere che suo figlio, lui sì beatamente prodigo, un posto di quel genere, già da prima che l’evento si annunciasse, l’aveva prenotato.

   I vantaggi? Non hai i mocciosi che frignano, i ragazzacci che urlano come un tempo all’oratorio, gli specialisti della mano morta, il vicino muscoloso cui contendere l’occupazione del bracciolo. Si può persino fingere di essere un uomo della city, tanto occupato da non poter vedere un film e mangiare in tempi diversi. Insomma tutti quei motivi che, insieme alla qualità sempre più bassa di ciò che passa il convento, hanno spinto la popolazione adulta ad abbandonare le sale cinematografiche.

   Forse ha ragione Eco nel sostenere che l’attuale civiltà procede come il gambero. Il mio dubbio riguarda il fatto che un po’ di questo moto ricorra quasi sempre nell’andatura di ogni uomo.

   Quando ero giovane e si bigiava a scuola c’erano le matinées. Si passava da Totuccio, un pizzicagnolo di Messina, che ti faceva certi panini che oggi si direbbero da sballo. Lunghi mezzo braccio, con fette giganti di provolone, ondate di mortadella e fette di melanzana gocciolanti. A saperci fare ti durava quasi un tempo. Era un'altra cultura.

   A Milano la musica suonava già diversa. Dovevi contentarti delle castagne. Quelle secche c’era ancora qualcuno che le chiamava caramelle degli studenti. Ma davano poca soddisfazione. Erano durissime e le ciucciavi a lungo senza gusto. Preferivamo quelle arrosto. A quei tempi potevi ancora riempirti le saccocce senza svenarti e ricordo certi cinema nei quali, se arrivavi in ritardo, era tutto un cric crac delle bucce per terra. Cercavi di non far rumore ma era come camminare sui rami secchi di un bosco.

   Dopotutto, a parte qualche oscurantista, chi l’ha mai detto che i piaceri debbano essere disgiunti, con un taglio netto tra spirituali e materiali? Certo, fumare sembrava più fine, persino più adatto alla qualità della pellicola, e quando lo si faceva già adulti e tutti insieme si usciva più storditi di un drogato. Modello Humphrey Bogart, per intenderci.

   E poi, mica ci possiamo dimenticare dell’Opera e di ciò che in quei palchi così distinti un tempo si faceva. Lì si andava a forza di timballi e polli arrosto, altro che panini, mentre il pubblico giù in piedi al massimo si sbucciava tristemente poche uova. Con buona pace dei musici dei cantori e di tutte le loro pene, genìa senza pace e quasi sempre di affamati precari.

   Del resto, che cosa combina ognuno di noi tra i segreti di un divano? Una volta ci si ambientavano les liaisons dangereuses. Ma era cosa di nobili corrotti. Oggi, più democratici e salutari, vi  abbiniamo lacrime salate ai maccheroni insipidi, il che, cosa che non guasta, dovrebbe fare bene anche alla pressione. Per non dire di altri modi di sollazzo: nei segreti delle nostre case la cultura dello schermo si accoppia volentieri con quanto di più indecente si possa immaginare. Fantozzi ne sa qualcosa e ha fatto da maestro a intere generazioni di buongustai.

   Dunque, niente di nuovo sotto il sole. La differenza se c’è sta tutta nella forma dei consumi: gira e rigira è solo una questione di etichetta. Il cosa mangi e il come mangi sono solo gli aspetti  secondari di una sola e identica banalità.

   Le bollicine, se proprio ci tieni, te le puoi gustare anche in casa, davanti al maxitelevisore, con qualità di immagine e effetti sonori che han ben poco da invidiare al grande schermo. Calma, lusso e voluttà, magari con il gusto di allungare i tuoi piedini accanto a un’edizione economica dei fleurs du mal che fanno bella mostra, dimenticati da sempre, sul tavoluccio salottiero.

   E invece no. In mutande a casa. Ma fuori: semel in anno, licet insanire. In fondo il bello è proprio in questo: nell’eccezione, nel gusto del superfluo e nel pagare come sopraffino un piacere che il supermercato sotto casa ogni giorno ti può dare. E’ inutile negarlo, l’offerta è suggestiva: per qualche istante ti puoi cullare nell’idea di essere un piccolo vip. Dimenticando che quelli veri, se hanno lo stomaco in ordine, se la fanno ancora a pane e salame. Ma che importa? Tu premi il bottoncino ed ecco il maggiordomo che s’inchina. Puoi persino chiedere, se senti un po’ di arietta, il conforto di una copertina. C’è anche quella. Non sarà cachemir, ma è senza dubbio migliore dello straccio che ti danno sull’aereo. Ecco, sei finalmente in prima classe. Rilassati e godi.

   Se poi nell’addormentarti senti una vocina che sussurra: “Buona notte, cretino” non spaventarti. Deve essere stata quella diva dallo schermo. Dormi tranquillo. Il film te lo rivedrai con calma. A casa, sul tuo divano. Con una fetta di pizza ormai inacidita e l’immancabile coca sgasata.

 

 
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