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Post N° 150

Post n°150 pubblicato il 10 Agosto 2006 da Moltke
 

IL GENIO PERFIDO DI SIR WINSTON, MAESTRO DI VITA E DI POLITICA – “MR CHURCHILL, QUAL È IL SEGRETO NEL SUCCESSO NELLA VITA?” – “MAI RESTARE IN PIEDI QUANDO SI PUÒ STARE SEDUTI. E MAI, MAI STARE SEDUTI QUANDO SI PUÒ RIMANERE SDRAIATI”…

Livia Manera per il Corriere della Sera

Al numero 187 di Piccadilly, più o meno di fronte all’arcata della Royal Academy e di fianco alle vetrine di Fortnum & Mason, c’è da oltre due secoli una delle più belle librerie di Londra: tre piani di libri attraversati da un’ampia scala di mogano, un’ottima scelta di novità sui tavoli all’ingresso e nelle retrovie una preferenza molto inglese per biografie, saggi storici e travel books . C’è anche, naturalmente, una vetrina dei bestseller del momento. Ma Hatchards, «librai dal 1797», come recita la scritta in oro sull’insegna verde scuro, ha tanta personalità da permettersi di avere da anni un bestseller tutto suo. Sta in una piccola pila accanto alla cassa ed è intitolato The Wicked Wit of Winston Churchill (Michael O’Mara Books): una raccolta di aforismi e battute dell’inglese più geniale, egocentrico, infantile e maschilista che abbia attraversato il XX secolo. L’unico a cui sarebbe mai venuto in mente, arrivando sulla spiaggia della Normandia sei giorni dopo il D-Day, di mandare all’amico Roosevelt una cartolina con scritto: «Wish you were here» («Vorrei che fossi qui»). Come i fidanzatini che si scrivono «mi manchi» dai posti di vacanza dove ci si diverte.

Sir Winston Leonard Spencer Churchill era, si sa, un oratore formidabile che preparava i suoi discorsi a letto. Era anche un uomo esuberante e viziato, gentile e crudele, e spudorato nel mostrare i propri sentimenti («Guardi che singhiozzo spesso e volentieri - disse a un nuovo segretario privato -. Dovrà farci l’abitudine»). Ma soprattutto aveva senso del teatro. Lo storico Paul Johnson raccontava qualche tempo fa, in un’intervista al Corriere , di averlo avvistato quando era all’apice della sua gloria, mentre usciva da un portone a Londra. Johnson, che all’epoca aveva 17 anni, si precipitò a chiedergli: «Mr Churchill, sir, qual è il segreto nel successo nella vita?». Churchill si girò serissimo verso il ragazzo: «Moderare lo sforzo!». E poi, con l’aria solenne di chi impartisce una lezione: «Mai restare in piedi quando si può stare seduti. E mai, mai stare seduti quando si può rimanere sdraiati». Dopodiché si infilò nella Bentley che lo aspettava col motore acceso.

In questa antologia, curata da Dominique Enright, Churchill sembra interpretare la politica come l’arte della duttilità (ciò che occorre al politico, dice, è «la capacità di prevedere cosa accadrà domani, la settimana prossima, il mese prossimo e l’anno prossimo. E l’abilità di spiegare a posteriori perché non è accaduto nulla di tutto ciò»), posizione che difendeva dichiarando: «Migliorarsi è cambiare; cambiare spesso è essere perfetti». Ma ciò che più emerge da queste pagine è la sua sensibilità per la lingua, a dispetto del fatto che a scuola era stato un somaro.

Con una bella immagine marziale, Kennedy disse di lui: «Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha mandata in battaglia». Churchill era davvero convinto che «un uomo può perdonare a un altro uomo qualunque cosa, eccetto una cattiva prosa». E quando un generale americano gli chiese il suo parere circa un piano che aveva redatto, glielo restituì con annotato sopra: «Troppi verbi al passivo e troppe zeta», lasciandolo basito. Erano battute che gli guadagnavano simpatie e antipatie in eguale misura. Uno dei suoi bersagli preferiti era il maresciallo Montgomery, di cui si divertiva a dire: «Imbattibile nella sconfitta, insopportabile nella vittoria». E quando l’altro gli rimproverò indirettamente i suoi vizi, dicendo: «Non bevo, non fumo e sono in forma al 100 per cento», Churchill gli rispose: «Io bevo, fumo e sono in forma al 200 per cento».

Un’altra vittima sacrificale del suo umorismo era il rivale laburista Clement Attlee, che Churchill si divertiva a chiamare «un agnello travestito da agnello» e a sfottere con la famosa battuta: «Un taxi è arrivato vuoto a Downing Street e ne è sceso Attlee». Chiamò il duca di Windsor «un ometto col vestito della festa». E disse del tormentato eroe nazionale Lawrence d’Arabia: «Ha un modo tutto suo di ritirarsi nella luce della ribalta».

Qualcuno rispondeva ai suoi insulti. Attlee chiamò Churchill «per metà genio e per metà pazzo furioso», mentre Roosevelt, che pure gli voleva bene, diceva di lui: «Ha un centinaio di idee al giorno e quattro sono buone». Ma la sua vera nemica, dentro e fuori il Parlamento dove Churchill non riusciva a capire perché mai dovessero entrare le donne (e perché mai dovessero votare essendo non tanto inferiori, ma diverse), era Nancy Astor, che un giorno sbottando gli disse: «Winston, se fossi tua moglie ti metterei il veleno nel caffè». Lui rispose furioso: «Nancy, se fossi tuo marito lo berrei». In un’altra occasione, quando al bar della Camera dei Comuni la deputata Bessie Braddock lo apostrofò gelida: «Winston, sei ubriaco», lui si alzò e le rispose: «Signora, lei è brutta. Ma io domani sarò sobrio».

«Ricordati sempre che l’alcol mi ha dato più di quello che mi ha tolto» diceva all’adorata moglie Clementine e, tanto perché fosse chiaro come la vedeva, non si stancava di ripetere: «Non fidarti mai di un uomo che non abbia almeno un vizio che lo redima».
Lui ne aveva certamente molti, che col senno di poi appaiono minori e irresistibili. Ma non tutti la pensavano a questo modo e a un certo punto, in modo per lui sorprendente e crudele, gli inglesi lo misero da parte. Non Montgomery, però, che malgrado le frecciate ricevute continuò ad andarlo a trovare nella casa di Chartwell fino alla fine. «Sono pronto a incontrare il Creatore - gli disse un giorno Churchill, mentre prendevano il tè scambiandosi ricordi -. Se poi il Creatore sia pronto per l’ardua prova di incontrare me, questa è un’altra questione».

 
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