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« STORIA DI LAIKA che dive...VITE A PERDERE »

storia DI LAIKA che diventò una stella

Post n°227 pubblicato il 01 Marzo 2016 da bonicaM

Da marzo 2016 in tutte le librerie, e on-line su Amazon, Ibs e sul sito www.algra.it

 

 CAP.I

 

Mi chiamo Natasha Drubeskoj.

No. Non sono la protagonista di questa storia… e nemmeno la voce narrante. Sono un personaggio, questo almeno è abbastanza evidente. Sono venuta fuori così, quasi alla fine della narrazione… Mi sono intrufolata in questo primo capitolo, ma non vi farò il mio ritratto. Anzi, diciamo che non vi dirò quasi nulla di me. Che sono russa l’avrete già capito dal nome, ovviamente per esigenze di ambientazione del racconto.

Natasha: fu mia madre a volermi chiamare così, in omaggio a Lev Tolstoj, il suo autore prediletto. Lei aveva già un nome tolstoiano, Anna, ovvero Annina o Annuska…

Sulla base della cronologia del racconto, io sarei nata nella primavera del novantudue. Tre anni prima mia madre era stata fotografata sul muro di Berlino durante i festeggiamenti per il crollo del gigante dai piedi d’argilla, l’impero sovietico. Annina e mio padre avevano in comune l’odio per un regime che aveva tradito gli ideali della rivoluzione per dar vita a un grigio sistema di potere basato su un capitalismo di stato e sulla corsa agli armamenti in competizione con l’imperialismo americano.

C’è una foto nell’album degli orrori di Annina (questo su cui sto incollando adesso la foto della piccola Laika mentre viene rinchiusa nella capsula dello Sputnik) – una foto di Kruscev, il segretario generale del partito comunista sovietico in visita negli Stati Uniti d’America nel 1959. Album degli orrori: così l’ha intitolato Annina, non perché contenga immagini horror, ma semplicemente scatti di quell’orrore che noi chiamiamo “normalità”, la storia quotidiana dello sfruttamento e dello sterminio degli innocenti sotto qualsiasi forma di potere.

Qui Kruscev, al centro della foto e a mezza figura ride in maniera quasi sguaiata mentre dal margine inferiore un microfono di un intervistatore si protende verso di lui e, alla sua sinistra un altro grigio burocrate (il volto del quale è quasi coperto dalle zampe della vittima) porge a Kruscev un’oca a testa in giù da poco sgozzata… e tutti ridono in sintonia col grande capo mentre fissano gli occhi sulla povera vittima nei confronti della quale una qualche salace battuta di spirito sarà stata appena pronunciata.

Per la quasi totalità dei miei simili in questa foto non c’è nulla di così orribile e disgustoso, lo so bene. Anzi, in tanti diranno che sono affetta da una vera e propria “patologia animalista” che mi spinge a vedere in maniera distorta la quotidianità del vivere… insomma, alla fin fine si tratta solo di un’oca nata e cresciuta proprio allo scopo di divenire cibo per noi umani, è del tutto normale, è un omaggio culinario, magari ridono per la fama di buontempone di Kruscev, non si può certo piangere per la morte di un’oca, vedi che sei tu a non essere normale

E’ vero: il nodo della questione è proprio in quella parolina così tremenda, nel concetto giustificazionista della “normalità”. Tutto ciò che accade in quella foto è perfettamente normale! Normali le discriminazioni e i massacri della storia dell’umanità nel corso dei millenni, normali le leggi del dominio, normali le stragi degli innocenti e la macellazione quotidiana di milioni di animali d’allevamento. E’ stato detto, ripetuto che la normalità non esiste, magari allo scopo di mettere in guardia dal rischio connesso all’uso di una certa terminologia. Invece sarebbe più giusto riconoscere, ufficializzare che la normalità esiste e coincide con la prassi diffusa della violenza sugli indifesi intesa come legge di natura o tradizione millenaria, come qualcosa ch’è sempre stata e sempre sarà.

Sì, è vero. Io non sono normale. E infatti non esisto in quanto persona in carne ed ossa. Purtroppo la maggioranza delle persone reali è tremendamente normale, ovvero mostruosa nella sua quotidiana assenza di percezione empatica dell’altro da se. Se fossi una persona reale sarei una creatura profondamente infelice, del tutto inadatta a un mondo di arrampicatori e procacciatori di ricchezza. Sarei una “perdente”… Proprio per ciò che rappresento nell’economia di questo racconto, sono davvero felice di non esistere se non in quanto personaggio di pura fantasia.

Ma non per questo sono meno vera e reale di qualsiasi altra donna che provi i miei stessi sentimenti e condivida le mie stesse idee. Che poi sono i sentimenti e le idee di chi sta scrivendo questa narrazione…

 

 

 

Paradossale…

 

Pirandellianamente ecco il personaggio che “prende di petto” il proprio autore.

No, Natasha. Diranno che tutto ciò è banale, quasi stucchevole… A scuola ti avrebbero messo un brutto voto. Avrebbero segnato in blu il tuo essere andata “fuori tema”.

 

Piuttosto mi pare che tu, in qualità di autore, stai scegliendo di uscire “fuori racconto”. Magari perché non vorresti raccontare davvero questa storia, ma incontrare attraverso il racconto una creatura reale simile alla persona che tu stai ipotizzando parlando di me. Attento però a non forzare gli accadimenti della mia vita nella direzione da te voluta, quasi una costante verifica della giustezza di certe tue idee. Io intanto sono qui a descrivermi da me… a parlare del mio amore per quella creatura chiamata Laika, a interrogarmi sul perché di questo amore in assenza, sul perché di questa profonda tristezza, di questa percezione dolente di una ferita mai rimarginata. Ciò che vorrei che tu mi aiutassi a capire, anche parlandomi del perché di questa tua scrittura.

 

E’ quello che mi sto chiedendo da mesi, da quando ho messo da parte questo testo incompiuto… forse ho dubitato della reale motivazione per cui mi ero deciso a raccontare la storia di Laika, già raccontata e illustrata in più edizioni e da diversi autori negli anni passati. Come sempre raccontare una storia in fondo vuol dire narrare un caso esemplare, ma perché proprio quello e non un altro fra milioni di casi possibili?

 

Questa è proprio la domanda che ho in mente: perché proprio Laika e non magari la storia mai narrata di un’altra qualsiasi vittima della crudeltà umana. E perché hai avuto bisogno di inventare me? Perché hai sentito la necessità di “usare” me come personaggio-chiave del racconto e perché un personaggio di sesso femminile.

 

Sono nato e cresciuto fra donne. Le mie amicizie sono state sempre in gran parte femminili. Nel mio vecchio album d’infanzia ci sono varie foto di me bambino vestito da fanciulla fiabesca… avrei quasi difficoltà a immaginare l’equivalente maschile di te, Natasha, come personaggio-chiave di questo racconto.

 

Lo so. E so bene che in questi anni di attivismo antispecista hai condiviso idee e campagne soprattutto a fianco di donne. Forse un problema di sensibilità… Ma resta comunque senza risposta la domanda essenziale, quella per cui hai avuto bisogno anche di me. Perché proprio Laika?

 

Un giorno mi capitò fra le mani un volumetto di un’autrice così poco considerata in vita e dopo. Fu il titolo del libro ad attrarre la mia voglia di lettore, Corpo Celeste. E’, per così dire, il libro segreto di Anna Maria Ortese. A pagina 161 lessi:

 

       Sogno la resurrezione dei Padri morti, di tutti i morti nell’ingiustizia. Penso talora, è strano, anche a Laika, la cagnetta che fu mandata, dicono, nello Spazio Esterno (definizione di Milton per gli abissi senza speranza che circondano l’Universo), e che forse avrà chiamato infinitamente gli umani. Vorrei gridare: Laika! Siamo qui! Ti amiamo! Torna indietro, Laika!...

 

Dopo anni, decenni, di quasi totale oblio, mi ricordai improvvisamente di lei, e provai una gran voglia di unirmi al grido di Anna Maria Ortese, Noi ti amiamo! E quel grido attraversa gli spazi infiniti per richiamare al mondo tutti gli innocenti morti nell’ingiustizia, tutti Laika dagli occhi smarriti dentro la navicella che la porterà in quel buco nero creato dall’uomo nel cuore dell’universo. Sì, torna indietro, Laika! E con te tutti i tuoi simili e tutti gli animali di tutte le specie torturati e straziati dalla crudeltà umana, e insieme a te tutti gli animali umani offesi e massacrati perché ritenuti poco più che “bestie”, bambini, donne, uomini dei mille genocidi praticati regolarmente dalla legge del dominio. Tornate indietro! Noi vi amiamo! Noi vogliamo colmare quell’ingiustizia senza fondo di cui siete stati vittime e di cui noi siamo comunque colpevoli… colmare con un vuoto d’amore.

 

Io penso che quel grido dal corpo celeste sia arrivato davvero sino alla vita spezzata di Laika… Io stessa sono stata evocata da quel grido d’amore…

 

Sì. Lo penso anch’io. Non può essere un caso che da quel giorno, dopo decenni di silenzio, tornai a ritrovarmi continuamente a leggere di Laika, da riviste e libri, da convegni e seminari antispecisti… E ogni volta, senza capire perché, provavo quel nodo alla gola e una gran voglia di piangere e di gridare quella promessa d’amore… che ormai era un debito d’amore che dovevo colmare, che sentivo il bisogno di colmare.

 

E’ lo stesso sentimento che sto per provare anch’io alla fine del racconto, davanti al monumento a Laika… a quella fredda pietra falsamente riparatrice di una violenza gratuita nei confronti di una creatura innocente.

 

Poi un giorno d’aprile di quest’anno… lei è davvero tornata dallo Spazio Esterno a chiedermi di colmare il debito d’amore?... Ho dato un passaggio in auto a mia moglie invitata a pranzo da una signora con la quale aveva condiviso un laboratorio con disabili. Era la prima volta che lei si recava a casa di questa donna. Il numero civico corrispondeva al cancello automatico di una villetta. Suoniamo: il cancello si apre per lasciare entrare la macchina. Da una scala ci viene incontro questa giovane signora e, dietro di lei, una cagnetta di taglia media, una bastardina, che mi viene incontro scodinzolando come mi conoscesse da sempre e, appena scendo dall’auto quasi mi salta addosso e mi lecca le mani… Bellissima!...Come si chiama? La signora mi risponde con un tono che sembra voler dire è ovvio… si chiama Laika!... Ah! Come la cagnetta dello Sputnick… La signora mi guarda con aria perplessa… Veramente è stata mia figlia a scegliere il nome di Laika, semplicemente perché le è piaciuto… La cagnetta intanto non mi mollava un istante e la stessa padrona sembrò stupirsi del comportamento insolito di Laika “come se già mi conoscesse da tempo”.

 

Tutto ciò non è casuale. Il grido d’amore ha varcato il cuore dell’universo per giungere sino a Laika e lei ha risposto al tuo grido d’amore… Io sono qui per aiutarti a colmare finalmente l’antico debito. Nell’unico modo che sai e puoi fare: scrivendo questa storia che inizia proprio da un dialogo impossibile tra me personaggio e te autore nel nome di Kudrjavka, la cagnetta che diventò una stella.

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