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SOCIAL CARD, OVVERO LA NUOVA CARITA'

Post n°2 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da siamo_vivinord
 

 

La social card che il governo Berlusconi ha proposto per venire incontro ai poveri, con 40 euro al mese, ossia 1 euro e venti al giorno, a ben pensarci non è altro che una forma di elemosina, pure sfacciata. In pratica, non puoi comprarci nemmeno un mezzo litro di latte…

A ottobre 2008 ha fatto ingresso nelle case degli italiani questa come meglio ama definirla il ministro Tremonti, carta acquisti. Ma cosa è la social card? Beh, l’aspetto è carino, una bella carta di credito di colore azzurro, con il logo giallo e rosso della Mastercard, e in mezzo delle frecce tricolori (fa tanto patriottico).

Una carta di pagamento elettronica, uguale a quelle che sono già in circolazione e ampiamente diffuse in Italia, ma la principale differenza è che le spese effettuate con la social card, invece di essere addebitate al titolare della carta, vengono addebitate e saldate direttamente dallo Stato. Ha validità di un anno, si può usare per spese alimentari e pagare bollette di enti pubblici; è ancora in fase di valutazione da parte di alcuni organismi come Andi (Associazione dentisti), Federfarma e Assofarm, se è possibile allargare la possibilità di agevolazioni anche in questi settori. Le domande per ottenerla si ritirano all’ufficio postale o si scaricano dal sito www.mef.gov.it/carta acquisti del Ministero dell’Economia.

La social card spetta ai cittadini ultra-sessantacinquenni e alle famiglie con figli piccoli (fino a tre anni) che abbiano un reddito fino a 6.000 euro; per chi ha più di 70 anni la soglia di reddito che dà accesso alla carta acquisti è fino a 8.000 euro. Queste categorie devono provare, tramite modello Isee (indicatore di stato economico equivalente o riccometro), le proprie condizioni reddituali, di possedere una sola automobile e una sola casa, di avere intestata una sola utenza di elettricità e gas, di non avere a proprio nome oltre il 25% di un secondo immobile e un patrimonio mobiliare non superiore a 15 mila euro. Naturalmente occorre farsi fare il calcolo Isee da un CAF competente con il quale si presenterà la domanda in questione.

Tremonti ha spiegato quanto la social card, a regime, costerà allo Stato: 450 milioni di euro. Quindi i requisiti per avere accesso ai benefici della social card non solo sono troppo restrittivi, ma generano costi non indifferenti per lo Stato al punto che sarebbe stato meglio, al posto dell’emissione della tessera magnetica, effettuare nei confronti dei beneficiari un trasferimento diretto dei 40 euro al mese in busta paga o con la pensione. Non potevano mandargli 40 euro al mese direttamente a casa sua invece che mandargli la tessera? Costa pure meno, e lasci decidere a lui cosa vuole farne, se comprare medicine o il pane piuttosto che il burro. Avremmo avuto costi di gestione inferiori e la possibilità da parte di tutti gli aventi diritto di usufruirne, ma forse è proprio questo che si è voluto evitare.

Le cifre però parlano chiaro. L’esordio della social card è stato abbastanza deludente, stando ai bilanci dei patronati presi d’assalto a dicembre e anche nei primi giorni dell’anno. Finora di tessere destinate alle persone con basso reddito per fare la spesa ai supermercati o pagare le bollette, ne sono state erogate poche. Sono circa 330 mila, su un milione e trecentomila italiani aventi diritto. In realtà risulta che le Poste abbiano ricevuto a oggi circa 600 mila domande e che ben un terzo di queste, 180mila, siano state respinte perché, pur disponendo dei requisiti fiscali di partenza, l’Inps ha successivamente accertato la presenza di altre rendite fiscalmente esenti come una pensione da orfano di guerra o un assegno di accompagnamento.

Alla fine abbiamo pure scoperto che le social card non sono sempre cariche. Perché non ce lo dicono? State certi che Berlusconi nella prossima campagna elettorale affermerà qualcosa del tipo «noi aiutiamo anche le classi più disagiate» e molti, non avendo sentito riscontri negativi, gli crederanno pure.

Invece, in realtà, l’erogazione è stata finora problematica: circa un terzo delle tessere era a credito zero nonostante la scheda fosse stata attivata, per non parlare delle difficoltà dovute alla burocrazia, all’assistenza inesistente affidata ad alcuni call center sovraccarichi di richieste, all’inefficienza assoluta delle Poste italiane e dell’Inps. Anche se il Ministero ha pubblicizzato l'iniziativa, alcune tessere sono state bloccate perché le domande per ottenerle erano incomplete.

Purtroppo nell'impossibilità di sapere l'ammontare a disposizione, si rischia di sentirsi rifiutata la transazione anche solo per pochi spiccioli. Alla Unicoop Tirreno (Toscana, Lazio, Campania) su un numero di 16.858 transazioni, solo 9.125 sono andate a buon fine. Questo vuol dire umiliazioni per chi la usa e aspettative disilluse per chi non ha più soldi per mangiare.

Si è pensato alla sostituzione della card con ticket, i quali avranno una commissione dell'8% contro quella attuale del 1,2%, perdendo anche lo sconto del 5% sui prodotti concordati con la grande distribuzione… Un affare da non perdere: ma per chi? e perché il circuito Mastercard, scelto senza gara pubblica?

Il paradosso è che non tutte le famiglie povere ottengono la social card. L’incidenza della povertà è altrettanto grave, se non maggiore, tra le famiglie con un solo genitore o con molti figli. Perché è il numero, non l’età dei bambini a esporre i nuclei familiari al rischio povertà. Così il requisito finisce per escludere dalla misura la maggior parte delle famiglie con redditi nulli o molto bassi.

Quante famiglie superano la soglia di povertà grazie alla social card? Poche. Dal momento che il trasferimento è esiguo e a cifra fissa, soltanto un limitato numero di famiglie – peraltro già in prossimità della soglia di povertà – la superano grazie al trasferimento. Per i nuclei familiari con un Isee nullo o inferiore a 5mila euro, il tasso di permanenza in situazione di povertà è del 100 per cento. Risulta così evidente l’inadeguatezza dello strumento nell’alleviare situazioni di grave disagio economico.

Qualcuno in tempi non sospetti disse che era una perfetta bufala. Una delle tante fatte per buttare fumo negli occhi degli italiani da usare poi come slogan.

 

BONUS FAMILIARE

Per aiutare le famiglie si è pensato anche a un bonus sulla base del reddito percepito, ottenibile compilando un apposito modulo messo a disposizione dall'Agenzia delle Entrate.

Gli aventi diritto saranno in riferimento al reddito del 2007 per la somma di:

  • 200 euro per pensionati soli con reddito non superiore ai 15.000 euro.
  • 300 euro per due componenti il cui reddito non sia superiore ai 17.000 euro.
  • 450 euro per tre componenti il cui reddito non sia superiore ai 17.000 euro.
  • 500 euro per quattro componenti il cui reddito non sia superiore ai 20.000 euro.
  • 600 euro per cinque componenti il cui reddito non sia superiore ai 20.000 euro.
  • 1.000 euro per più di cinque componenti il cui reddito non sia superiore ai 22.000 euro.
  • 1.000 euro se ci sono portatori di handicap con reddito complessivo non superiore ai 35.000 euro.

È un beneficio dato a un solo componente della famiglia e non costituisce reddito ai fini fiscali, né contributivi, né assistenziali, né per il rilascio della carta acquisti.

La richiesta deve essere presentata entro il 31/01/2009 sulla base del numero dei componenti del nucleo familiare, per il periodo d'imposta relativo al 2007, ed entro il 28/02/2009 sulla base del numero dei componenti del nucleo familiare, per il periodo d'imposta relativo al 2008. Il modello e le istruzioni sono disponibili presso il sito internet dell'Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it o dal sito del Ministro dell’Economia delle Finanze www.finanze.gov.it 

La domanda viene presentata ai sostituti d'imposta presso cui il richiedente lavora o all'ente pensionistico di cui si fa parte o all'Agenzia delle Entrate.

Pare evidente che il bonus non andrà alla maggior parte delle famiglie essendo i limiti di reddito troppo bassi per potervi accedere. È l’ennesima presa in giro, L’ennesima occasione per farsi pubblicità, l’ennesima volontà di mantenere i ceti sempre più ben distinti.

 

 
 
 
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