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ROSE

Post n°48 pubblicato il 24 Agosto 2008 da maryrose.ms
 

ROSE:LA DONNA CHE COMMOSSE BUSH, AL MEETING DI RIMINI



 Anche

l'uomo più potente della terra-detto in termini politici- ha avuto un

intenso momento di commozione, durante l'annuale conferenza alla Casa

Bianca sulle iniziative caritatevoli di ispirazione religiosa dello

scorso 26 giugno, si è inchinato ed ha detto "Grazie".



Così

anche George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti d'America è stato

conquistato dal cuore semplice e tenace delle donne del Meeting Point

International di Kampala, guidate da quella "miniera" umana fatta di

fede, di carità e di grande speranza, che si chiama Rose Busingye,

infermiera ugandese. Bush mostra la sua immensa gratitudine perchè la

loro semplicità d'animo fece si che dopo il disastro dell'uragano

Katrina "fecero di tutto per raccogliere mille dollari per le
vittime.

E una donna orgogliosamente disse: "ora siamo noi a donare". La
platea

americana altrettanto conquistata fece partire un lunghissimo applauso

alle parole del Presidente.



Martedì

26 agosto Rose,insieme a Vicky sempre del Meeting Point, terrà

l'incontro al Meeting di Rimini sul tema "Si può vivere così".



Di seguito propongo un articolo apparso su www.ilSussidiario.net lo scorso mese
di maggio sull'esperienza di Rose e le donne del Meeting Point di Kampala.



LA DIFFICILE MISSIONE DI
ROSE TRA I POVERI DI KAMPALA
 



 



Alfred Memo è un ragazzino
ugandese che ha visto davanti a sé i propri

genitori uccisi e i loro corpi tagliati come carne da macello. Che idea della

vita può farsi un bambino come lui? Che cosa può aspettarsi dal futuro? «Le

prime volte che gli abbiamo chiesto che cosa avrebbe voluto fare da grande, ci

ha detto che voleva fare il soldato, per ammazzare, come era stato ammazzato

suo padre». A raccontare la storia di Memo è Rose Busingye, direttrice del

Meeting Point International di Kampala, un centro dove vengono accolti e curati


oltre duemila orfani per guerra o malattia, e altrettanti adulti, per lo più

donne, molte delle quali malate di Aids. 
 



 "Il nostro
primo lavoro è far capire a ciascuno di questi

ragazzi che la vita ha un valore, che c`è qualcuno che li ama, e, banalmente,

che vivere è meglio che farsi ammazzare». Non vale infatti, di fronte a Memo,

l`obiezione che andando a fare il soldato rischia di essere ucciso per primo; a


questo risponde dicendo «e allora?». «Quello di Memo sembrava veramente un caso


disperato, e io stessa ero convinta di averlo perso. Invece sono andata avanti,


continuavo ad andare a trovarlo, a scuola, a casa, per fargli vedere che c`ero,


che veramente mi stava a cuore. Non si può dire una volta sola che la vita ha

un valore, se poi non si affronta la fatica e il lavoro di continuare a far

vedere che questo è vero. E io insistevo, ripetevo a Memo che adesso aveva una
nuova

famiglia, in cui era voluto bene». Ora Memo non parla più di fare il soldato;

poco tempo fa in un disegno ha espresso quello che vuole fare in futuro: ha

disegnato una casa grande, per i bambini che hanno perso i genitori come lui.

«Un giorno - racconta ancora Rose - ho organizzato una gita al Nilo per i

bambini, e avevo portato delle pentole per cucinare. Quando siamo arrivati, i

ragazzi si sono buttati tutti in acqua: continuavano a giocare e divertirsi, e

non volevano mangiare. Alla fine ho chiesto loro: “e adesso cosa facciamo con

tutto questo cibo?”. È stato Memo a rispondere: “non sprechiamolo. Adesso

telefono a casa e ci organizziamo per portarlo ai bambini che non hanno da

mangiare”. Questo è Memo, quello che diceva di volerne ammazzare almeno dieci,

come era stato ammazzato suo padre».
 



Anche
la vita di molte donne malate di Aids è cambiata al Meeting Point

International. Tra di esse c`è Vicky, autrice di una lettera bellissima, che

l`associazione Avsi, di cui il Meeting Point è partner per l`Uganda, ha scelto

come testo per lanciare lo scorso anno la campagna “Tende di Natale”, una

raccolta di fondi che l`Avsi organizza ogni anno per sostenere le proprie opere


nel mondo. In questa lettera racconta la propria storia di malata di Aids,

abbandonata dal marito, sola e con i figli che non potevano più andare a

scuola: «Non avevamo amore da nessuna parte del mondo. Non sapevo più se Dio

esisteva davvero» racconta Vicky. «Nel 2001 qualcuno mi ha indirizzato al

Meeting Point, dove ho trovate donne che facevo fatica a credere potessero

vivere in quel modo pur essendo malate di Aids, tale era la gioia che portavano


sul viso». Ora Vicky sta meglio, è volontaria al Meeting Point, e i suoi figli

hanno ripreso ad andare a scuola.
 



«Di
storie come quella di Vicky cene sono molte altre», racconta ancora

Rose. «Sono storie di donne rinate, e anche di donne coraggiose. Come ad

esempio Jovine, una donna di quarantasei anni. Una volta c`era qui un gruppo di


giornalisti, che dopo avere visto queste donne rimasero molto colpiti e

commossi, e pensarono di fare un gesto per aiutarle: comprarono cinque scatole

di preservativi. Jovine prese in mano quelle scatole e disse: “c`è a casa mio

marito che sta morendo, cosa me ne faccio di queste? I miei figli non hanno da

mangiare, a cosa mi servono queste scatole?”. Li affrontò con un coraggio che

nemmeno io avrei avuto». E qui c`è il segreto del “metodo” di Rose: non c`è

nessuna risposta preconfezionata al dramma di queste persone. L`unica strada è

quella di voler bene, di educare al valore della vita, e di responsabilizzare.

Senza questa educazione, non c`è nulla che valga. «Anche il discorso della

prevenzione» spiega Rose «non ha senso, se non li aiuti a scoprire il valore

della vita. Altrimenti i nostri ragazzi - che hanno storie simili a quella di

Memo - quando parliamo loro di prevenzione ci dicono: “e perché? Come noi siamo


stati infettati, così anche noi infettiamo gli altri”. Partono da una

considerazione della vita che è assolutamente pari a zero, sia la loro che

quella degli altri». 
 



Il
metodo di Rose è vincente, anche dal punto di vista medico. Se ne sono

accorti anche negli ospedali di Kampala. «Un po` di tempo fa - racconta Rose -

l`ospedale di Stato sperimentò gratuitamente alcuni farmaci contro l`Aids, e

presero un po` di persone da vari centri. Da me presero solo cinque persone,

tra cui anche Jovine. Ebbene, le mie cinque persone furono le uniche a guarire.


Allora dall`ospedale mi chiesero altre persone, e anche queste miglioravano.

Non capivano il perché, e pensavano che, essendo io amica degli italiani, mi

arrivassero alcune cure speciali dall`Italia. Io ho provato a spiegare che il

punto è dare un motivo per cui valga la pena lottare contro la malattia. Loro

mi dicevano: “sì, è molto bello”, ma come se fosse qualcosa di marginale.

Volevano numeri per fare uno schema da applicare: tanti medicinali, tanti

preservativi etc. Ma da noi non c`è uno schema». 
 



I malati al

Meeting Point, dunque, trovano un motivo per cui valga la pena guarire. Perché

questo accada vengono organizzati gruppi di dieci pazienti, che si ritrovano

per affrontare insieme le cure. Se una volta ce n`è uno stanco, che non

vorrebbe andare avanti col trattamento, gli altri lo sostengono e lo

incoraggiano. Oppure c`è chi inizia la cura e ha effetti collaterali pesanti:

altri lo aiutano, anche semplicemente dicendo «è successo anche a me, poi è

passato». «E una catena di aiuto, in cui sono i malati stessi ad essere

responsabilizzati - spiega Rose - non puoi dar loro solo le medicine, anche

perché spesso non le prendono».



E la responsabilità che matura in queste persone può raggiungere punte

veramente commoventi. Come per Memo, che vuol dar da mangiare agli altri

bambini e costruire una casa per gli orfani. 
 



O
come accadde ai tempi dell`uragano Katrina. Allora Rose parlò di questo

evento con i malati del Meeting Point, leggendo un testo e facendo con loro un

minuto di silenzio. «Ma un malato, che pesava circa trenta chili, si alzò dal

fondo e mi disse: "con me non avete fatto solo un minuto di silenzio, mi

avete anche aiutato concretamente". Allora decisero di raccogliere un po`

di soldi, e in quattro settimane misero da parte circa mille euro. C`era un

giornalista scandalizzato che disse di non mandare negli Usa quei soldi, che

servivano più a loro. Gli rispose una delle nostre donne, dicendo: “noi

vogliamo amare come siamo stati amati, e il cuore è internazionale”. E da

questa frase, tra l`altro, che è nata l`idea di chiamare il nostro centro

Meeting Point International». Un punto d`incontro nel centro dell`Africa, dove

si rinasce, e da dove si può addirittura decidere di mandare un po` di soldi

negli Stati Uniti d`America. 
 



  



Grazie all'amico POLITICUS

 
 
 
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VERGINE MADRE

«Vergine madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore per lo cui caldo ne l'eterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate».
 

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"Cari amici,
Ciò che mi preoccupa principalmente della vicenda del sito islamico legato ad Al Qaeda in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed io siamo stati minacciati di morte, indicati come "due morti che camminano, proprio come si autodefiniva Falcone", è la sottovalutazione del fatto che si tratta di un testo in lingua italiana e che l’autore è verosilmente un italiano convertito all’islam terroristico di Osama bin Laden.
La mia impressione è che in generale, a livello di potere esecutivo, legislativo e giudiziario, immaginando che questo terrorismo islamico "Made in Italy" potrebbe essere l’opera di una testa calda e magari di un cane sciolto, nel senso di un fanatico non organico a un gruppo terroristico noto, il pericolo viene valutato al ribasso e si ritiene quindi che non ci si debba preoccupare più di tanto. Questo è un errore gravissimo. Non si comprende che anche se fosse presente un solo aspirante terrorista e magari un terrorista suicida, sarebbe di per sé sufficiente per avere la certezza che si tratta della punta di un iceberg, dove l’iceberg è una realtà ben radicata territorialmente e ideologicamente che dovrebbe preoccuparci." Magdi Cristiano Allam
 
 

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