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VIA CRUCIS

Post n°57 pubblicato il 04 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: martiri

La Via crucis di p. Thomas in Orissa: Sono pronto a tornare e servire chi mi ha colpito

Vi preghiamo di diffondere il più possibile e nel più ampio raggio possibile (=anche all'estero!) queste notizie. Grazie.
Questo articolo di AsiaNews, che ringraziamo, è la viva voce del protagonista, padre Thomas Chellan.


di Thomas Chellan
È
stato fra i primi ad essere colpito dalla furia dei radicali indù nei
giorni scorsi. Per la prima volta parla del suo calvario. Catturato,
picchiato, ferito, denudato, ha rischiato di essere arso vivo. Solo
dopo due giorni la polizia lo ha liberato. Il suo racconto è stato
raccolto da Nirmala Carvalho, corrispondente di AsiaNews a Mumbai.


Mumbai
(AsiaNews) - Padre Thomas Chellan, 57 anni, è una delle prime vittime
del pogrom contro i cristiani lanciato dal Vishva Hindu Parishad dopo
l’assassinio di Swami Laxamananda Saraswati, il 23 agosto scorso.
Picchiato, malmenato, ferito, denudato egli è stato soccorso dalla
polizia solo alla fine della sua Via crucis. Con lui, anche una suora
ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Il loro Centro
pastorale a Kandhamal è stato fra le prime costruzioni cristiane ad
essere distrutte e bruciate. P. Thomas, ora ricoverato in ospedale ha
accettato per la prima volta di raccontare quanto gli è successo.
Mentre si fa forza a parlare, annaspa nel definire “selvaggia” la furia
che lo ha colpito. “Selvaggia è troppo poco” dice. “Il modo con cui ci
hanno picchiato con bastoni, piedi di porco, asce, lance, mostra che
non ci consideravano neppure degli esseri umani… Erano come dei sicari,
pagati da qualcuno per torturarci e picchiarci”.
P.
Thomas ha ora un’unica preoccupazione: quella per le migliaia (forse 50
mila) di fuggitivi nascosti nella foresta. “A tutt’oggi non c’è nemmeno
un prete o una suora a Kadhamal. Tutti sono fuggiti, mentre dilagano le
razzie e la caccia all’uomo. Nella mia agonia prego per i cristiani
nella foresta. Nemmeno quello è un rifugio sicuro”. E aggiunge: "Se il
mio vescovo mi manda, sono pronto a ritornare in Orissa. Insieme alle
mie ferite, Cristo sta guarendo anche i miei sentimenti: non ho odio o
amarezza. Sono pronto a servire anche coloro che mi hanno colpito… Sono
felice di essere parte della ricca storia di persecuzione della Chiesa
cattolica qui in India”. (NC).
Da
sette anni sono il direttore del Centro pastorale Divyajyoti [della
diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar]. La polizia (Orissa state armed
police, Osap) era accampata davanti al nostro Centro da oltre un mese,
da quando, a causa dell’uccisione di una mucca, vi sono stati alcuni
incidenti a Tumbudhibandth. Quando, guardando la televisione, ho saputo
della crudele uccisione di Swami Laxamananda Saraswati, ho contattato
subito l’Osap chiedendo la loro protezione. Mi hanno risposto: “Nessuna
preoccupazione, noi siamo qui”. Allora mi sono calmato.
Il
24 agosto, verso le 4.30 del pomeriggio, una folla enorme è giunta al
nostro cancello gridando slogan. Temendo per la nostra vita, io, un
altro mio confratello prete e una suora abbiamo cominciato a scappare
oltre il recinto del centro, dal retro dell’edificio. Sentivamo urla,
rumori di porte e finestre infrante, ecc. Poi, dopo pochissimo tempo,
abbiamo visto le fiamme e il fumo. Non sentendoci al sicuro, siamo
fuggiti oltre, nella foresta e siamo rimasti là alcune ore, fino alle 8
di sera. Abbiamo raggiunto la casa di Prahlad Pradhan del villaggio di
K. Nuagaon e lui è stato così buono da ospitarci e darci da mangiare.
Il
25 agosto, verso le 9 di mattina, dall’interno della mia stanza ho
potuto vedere ancora una folla distruggere una piccola chiesetta.
Intuendo il pericolo, Prahlad mi ha nascosto in una stanza fuori
dell’edificio principale e ha chiuso la serratura dall’esterno. Alle
13.30 un gruppo di 40-50 persone è arrivato e ha rotto la porta
tirandomi fuori. In mezzo al gruppo vi era la suora, catturata prima di
me. Hanno cominciato a picchiarmi da tutte le parti e mi hanno
strappato a forza la camicia e il banyan [una giacca da camera – ndr].
Domandavano: “Perché avete ucciso lo Swamiji? Quanti soldi avete dato
agli uccisori? Perché fate sempre così tante riunioni e incontri nel
centro pastorale?”.
Poi,
spingendoci e tirando da tutte le parti ci hanno condotto fino al
Janavikas building, dall’altro lato della strada. In mano avevano lathi
[bastoni con punta di ferro, usati nelle arti marziali – ndr] asce,
lance, piedi di porco, bastoni di ferro, falci, …Hanno continuato a
picchiarci anche dentro l’edificio. Poi hanno strappato la camicia alla
suora e l’hanno assalita. Ho detto qualcosa per fermarli, e con una
mazza di ferro mi hanno colpito alla spalla destra. Poi mi hanno
versato addosso del kerosene, mi hanno portato fuori e hanno preso dei
fiammiferi per bruciarci. Uno ha suggerito di portarmi in strada e
bruciarmi là. Mi hanno trascinato in strada mi hanno messo in ginocchio
per 10 minuti, mentre portavano all’esterno anche la suora. Qualcuno
intanto cercava una corda per legarci insieme e arderci vivi. Quindi
hanno deciso di esporci mezzi nudi a Nuagaon, a mezzo chilometro da
dove eravamo. Ci hanno legato le mani e ci hanno trascinato. Hanno
anche cercato di strapparci via i resti dei nostri indumenti, ma
abbiamo resistito. Mentre camminavamo piovevano colpi all’impazzata sui
nostri corpi. Qualcuno nella folla gridava offese in Malayalam.
Alle
14.30 abbiamo raggiunto Nuagaon, dove vi erano una dozzina di
poliziotti dell’Osap, in piedi ai lati della strada. Domando a uno di
loro: “Signore, la prego, ci aiuti!”. Ma per questa domanda uno della
folla mi ha colpito. La polizia stava solo a guardare; nessun
poliziotto nella sede di Nuagaon. La folla ci ha costretto a sederci
sul bordo della strada e uno mi ha colpito in faccia. Intanto, uno che
conoscevo bene – un venditore di Nuagaon – stava raccogliendo
pneumatici usati perché volevano usarli per bruciarci.
A
un certo punto la folla ci ha detto di andare a K. Nuagaon, insieme a
uno degli ufficiali, che ci ha accompagnato alla sede della polizia. Lì
mi hanno messo qualche punto alle ferite, fasce e unguenti. Alle 9 di
sera, l’ispettore di Balliguda, con un gruppo di poliziotti, ci ha
portato a Balliguda. Uno della folla che ci aveva attaccato è rimasto a
guardare tutti i nostri movimenti fino al nostro partire per Balliguda.
Lì la polizia ci ha dato ospitalità e tutti ci hanno aiutato molto. Il
26 agosto alle 9 di mattina, ci hanno ancora portato alla stazione di
polizia di Balliguda, dove l’ispettore capo ci ha chiesto se eravamo
interessati ad esporre denuncia. Al nostro sì, ci ha detto di farlo
subito, perché stava preparando il nostro trasferimento a Bhubaneshwar
(280 km da Nuagaon). Abbiamo depositato 3 denunce: una per l’attacco
contro il Centro pastorale; una per l’attacco contro di me; una per
l’attacco contro la suora.
Alle
16 siamo stati messi su un autobus molto confortevole, insieme ad
alcuni altri passeggeri e ci hanno portato a Bhubaneshwar. Siamo scesi
pochi km dopo Nayagarh, un po’ dopo la mezzanotte, il 27 agosto. Alcuni
miei amici mi aspettavano per accogliermi e caricarmi nella loro auto.
Alle 2 di notte siamo arrivati in uno dei nostri centri di Bhubaneshwar.
Grazie all'amico Uomo Vivo

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«Vergine madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore per lo cui caldo ne l'eterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate».
 

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Ciò che mi preoccupa principalmente della vicenda del sito islamico legato ad Al Qaeda in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed io siamo stati minacciati di morte, indicati come "due morti che camminano, proprio come si autodefiniva Falcone", è la sottovalutazione del fatto che si tratta di un testo in lingua italiana e che l’autore è verosilmente un italiano convertito all’islam terroristico di Osama bin Laden.
La mia impressione è che in generale, a livello di potere esecutivo, legislativo e giudiziario, immaginando che questo terrorismo islamico "Made in Italy" potrebbe essere l’opera di una testa calda e magari di un cane sciolto, nel senso di un fanatico non organico a un gruppo terroristico noto, il pericolo viene valutato al ribasso e si ritiene quindi che non ci si debba preoccupare più di tanto. Questo è un errore gravissimo. Non si comprende che anche se fosse presente un solo aspirante terrorista e magari un terrorista suicida, sarebbe di per sé sufficiente per avere la certezza che si tratta della punta di un iceberg, dove l’iceberg è una realtà ben radicata territorialmente e ideologicamente che dovrebbe preoccuparci." Magdi Cristiano Allam
 
 

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