QUANTE ANIME IN PENA CHE BRANCOLANO CIECHE NELLA RETE
Il mistero fascinoso dei rapporti veri. Rischiosa perdita dei giovani d'oggi
GIULIA GALEOTTI
Qualche
settimana fa, una mia coetanea trentenne che lavora in Libano, si è
resa conto con stupore che Facebook, moda dilagante tra i giovani
locali,è in realtà popolarissima anche in Italia ( e non solo). Le si
è aperto un mondo: anche lei racconta entusiasta degli amichetti
d'asilo ritrovati, del compagno di banco riemerso, di conoscenti
lontani che ora, grazie ad un semplice clic, sono nuovamente presenti.
Nemmeno questo ennesimo spot, però,è riuscito a commuovermi: proprio
non mi attira questo Facebook ( sul sito si legge:Ti permette di
aprire e condividere il tuo mondo con gli altri) . Non
sono – o almeno credo – una persona che rifiuta la modernità, ancorata
ad un mondo che non c'è più: ho il telefonino, uso la fotocamera
digitale, passo molta parte del mio tempo connessa al computer, e,
soprattutto, sono entusiasta di tanti ritrovati tecnologici. Trovo,
però, che vi sia qualcosa di un po' singolare nel fatto che tante
persone passino il loro tempo investendo nella presentazione sociale di
sè tramite una pagina web, e che questo venga fatto fuori dal contesto
di lavoro ma nell'ambito del tempo libero, del tempo dedicato a se
stessi.
Scambiarsi foto, racconti e commenti, aggiornarsi sulla propria vita, condividere gioie e paure,dolori
e sogni, credo, l'essenza dell'amicizia. Davvero può aver senso
trasporre tutto questo ( o anche solo una buona parte di esso) sullo
schermo di un computer? Qual è il significato della scelta di mettersi
in relazione con i propri amici in una vetrina mediatica, mentre li
potresti – che so – semplicemente vedere di persona, magari davanti a
un'obsoleta birra?
D'altro canto, non comprendo bene nemmeno la
smania di ritrovare persone del passato: la vita va avanti, si evolve
anche nei rapporti umani, con alcune relazioni che si chiudono, altri
legami che persistono, certi volti che – semplicemente – si perdono...
Questa smania di cliccare per riaprire pagine della propria vita ha
un che di eccessivo, una sorta di smania bulimica di tenere tutti
sempre con sè, finendo per azzerare tempo e sentimenti. Come non vedere
il ridicolo di tanti trentenni ( ma anche quarantenni, e oltre) che
comunicano entusiasti in un linguaggio e con discorsi da sedicenni?
Tutto questo fa riflettere nella misura in cui, trovo, sta rischiando
di slittare il significato dei gesti in sè. Non sembra nè
lontano nè difficile ( sempre che non sia già accaduto) che le persone
finiscano con l'auto- percepirsi come il risultato di ciò che mettono
on- line, del falsato modo in cui scelgono di presentarsi ( e,
specularmente, che percepiscano gli altri nello stesso modo).
Certo,una scelta più comoda:è faticoso vivere e, prima ancora,
autopercepirsi come il frutto di una complessa rete di relazioni
sociali che si intersecano con la nostra individualità. Fatto sta che,
inizialmente, la mia era solo una repulsione istintiva. Quando, però,è
scattata la soglia del decimo amico che mi ha detto di aver cercato di
mettersi in contatto con me su Facebook, finendo poi con l'accorgersi
che non ero io ma un'omonima, mi sono rammaricata davvero. Mi turba un
po' l'immagine di tutte queste anime in pena che brancolano cieche
nella Rete. Ed è un po' triste avvertire un rischio che la mia
generazioni pare non vedere, quello cioè di stare avviandoci lentamente
verso l'abdicazione del mistero affascinante dei rapporti che, lontani
dalle immagini e da una tastiera, nascono, si sviluppano e, perchè no,
a volte naufragano.
Fonte Avvenire