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Le violenze di Bolzaneto durante il G8 di Genova. "Per non dimenticare"!

Post n°2 pubblicato il 28 Marzo 2008 da ilmassacratore27
 

GENOVA - "Le due molotov nella scuola Diaz le ho portate io. Ho obbedito all'ordine di un mio superiore". La confessione-choc di A.B., 25 anni, autista della Polizia di Stato aggregato a Genova nei giorni del G8, è stata raccolta in gran segreto dalla Procura nei giorni scorsi. C'è voluto un anno intero, perché qualcuno si decidesse finalmente a dire la verità: il primo "pentito" delle forze dell'ordine ha vuotato il sacco, facendo nome e cognome dell'ufficiale che gli avrebbe imposto di trafugare le bottiglie incendiarie per "giustificare" i pestaggi e i 93 arresti nell'istituto di via Battisti.

Dopo qualche istante di comprensibile emozione, A.B. avrebbe risposto all'ultima domanda dei pm indicando il vice-questore Pietro Troiani del Reparto Mobile di Roma, l'ex delfino di Canterini già indagato per falso e calunnia dopo essere stato tirato in ballo da un collega, Massimiliano Di Bernardini, accusato di aver cucinato alla buona le informazioni che innescarono la famigerata irruzione del 21 luglio 2001. In poche pagine di verbale c'è l'intero racconto - preciso, dettagliato e sconvolgente - di quel sabato maledetto.

Il vergognoso "giallo" della Diaz si chiude così? No, troppo semplice. Se questo è uno dei capitoli più emozionanti, la verità è purtroppo un'altra ancora, almeno per chi indaga. Manca il finale, ormai neppure troppo a sorpresa, un finale che verrà forse scritto martedì dai super-poliziotti convocati in tribunale per un drammatico confronto all'americana.

Tutto ha ricordato l' agente nel corso dell'interrogatorio, cominciò in corso Italia, mentre la televisione trasmetteva le immagini dei black bloc che devastavano i negozi sul lungomare genovese e il questore ordinava le prime cariche, quelle di cui avrebbero fatto le spese i trecentomila del corteo pacifista. La testimonianza di A.B. si incastra perfettamente con quella del vice-questore Pasquale Guaglione, che il 10 giugno scorso davanti ad un giudice di Bari parlò per la prima volta delle molotov "fasulle". I due sabato pomeriggio sono insieme, il ragazzo - ufficialmente a disposizione di Valerio Donnini, lo "stratega" dei nuclei anti-sommossa - in quelle ore fa da autista al funzionario. In un'aiuola di corso Italia, al termine di una carica, recuperano due bottiglie di vino (Merlot e Colli Piacentini) piene di liquido infiammabile e con lo stoppino. Le consegnano ad alcuni poliziotti che viaggiano a bordo di un fuoristrada Magnum del reparto Mobile, destinato a raccogliere tutte le armi abbandonate sul campo di battaglia. Al termine della giornata di scontri il Magnum finisce nel cortile interno della questura. E le due molotov restano a bordo.

In serata, dopo una riunione tra i vertici della Polizia di Stato presenti a Genova per il G8, Valerio Donnini telefona a Vincenzo Canterini: c'è da fare irruzione in quella scuola di via Battisti, presunto covo di black bloc. Dalla questura esce il Magnum, ed al volante c'è proprio A.B.: che arrivato davanti alla Diaz obbedisce agli ordini del vicequestore Troiani, uno che ufficialmente non avrebbe neppure dovuto essere lì.

"Un ragazzo esuberante, uno sempre pronto all'azione e disposto a tutto pur di farla da protagonista: una 'testa calda', insomma". Così i super-poliziotti cominciano a descrivere Troiani appena salta fuori il nome del funzionario, e qualcuno può tradurla in questo modo: mettere le molotov nella scuola è stato un gesto di follia attribuibile a qualcuno che aveva improvvisamente perso il controllo. Invece no: Troiani - e l'autista A.B. - potrebbero essere solo pedine di un gioco più grande, condotto da altri. Altri che, convocati nella Procura del capoluogo ligure, avrebbero davvero cominciato a perdere la testa: fornendo resoconti sempre meno credibili e sempre più contraddittori, oppure rifiutandosi - chissà mai perché, se non c'è nulla da nascondere - di rispondere alle domande dei pm.

Si parla di pressioni sui testimoni, di tentativi di inquinare le prove. Nel corso degli interrogatori uno dei super-poliziotti avrebbe addirittura fornito una spiegazione sbalorditiva, tirando in ballo altri investigatori ancora, salvo poi ritrattare immediatamente. Forse il solo ad aver detto la verità, tutta la verità, è il giovane poliziotto che ha confessato candidamente: "Le molotov le ho messe io, me l'avevano ordinato". Per conoscere i veri mandanti bisognerà aspettare il grande confronto di martedì.

Il vergognoso "giallo" della Diaz si chiude così? No, troppo semplice. Se questo è uno dei capitoli più emozionanti, la verità è purtroppo un'altra ancora, almeno per chi indaga. Manca il finale, ormai neppure troppo a sorpresa, un finale che verrà forse scritto martedì dai super-poliziotti convocati in tribunale per un drammatico confronto all'americana.

Tutto, ha ricordato l'agente nel corso dell'interrogatorio, cominciò in corso Italia, mentre la televisione trasmetteva le immagini dei black bloc che devastavano i negozi sul lungomare genovese e il questore ordinava le prime cariche, quelle di cui avrebbero fatto le spese i trecentomila del corteo pacifista. La testimonianza di A.B. si incastra perfettamente con quella del vice-questore Pasquale Guaglione, che il 10 giugno scorso davanti ad un giudice di Bari parlò per la prima volta delle molotov "fasulle". I due sabato pomeriggio sono insieme, il ragazzo - ufficialmente a disposizione di Valerio Donnini, lo "stratega" dei nuclei anti-sommossa - in quelle ore fa da autista al funzionario. In un'aiuola di corso Italia, al termine di una carica, recuperano due bottiglie di vino (Merlot e Colli Piacentini) piene di liquido infiammabile e con lo stoppino. Le consegnano ad alcuni poliziotti che viaggiano a bordo di un fuoristrada Magnum del reparto Mobile, destinato a raccogliere tutte le armi abbandonate sul campo di battaglia. Al termine della giornata di scontri il Magnum finisce nel cortile interno della questura. E le due molotov restano a bordo.


In serata, dopo una riunione tra i vertici della Polizia di Stato presenti a Genova per il G8, Valerio Donnini telefona a Vincenzo Canterini: c'è da fare irruzione in quella scuola di via Battisti, presunto covo di black bloc. Dalla questura esce il Magnum, ed al volante c'è proprio A.B.: che arrivato davanti alla Diaz obbedisce agli ordini del vicequestore Troiani, uno che ufficialmente non avrebbe neppure dovuto essere lì.

"Un ragazzo esuberante, uno sempre pronto all'azione e disposto a tutto pur di farla da protagonista: una 'testa calda', insomma". Così i super-poliziotti cominciano a descrivere Troiani appena salta fuori il nome del funzionario, e qualcuno può tradurla in questo modo: mettere le molotov nella scuola è stato un gesto di follia attribuibile a qualcuno che aveva improvvisamente perso il controllo. Invece no: Troiani - e l'autista A.B. - potrebbero essere solo pedine di un gioco più grande, condotto da altri. Altri che, convocati nella Procura del capoluogo ligure, avrebbero davvero cominciato a perdere la testa: fornendo resoconti sempre meno credibili e sempre più contraddittori, oppure rifiutandosi - chissà mai perché, se non c'è nulla da nascondere - di rispondere alle domande dei pm.

Si parla di pressioni sui testimoni, di tentativi di inquinare le prove. Nel corso degli interrogatori uno dei super-poliziotti avrebbe addirittura fornito una spiegazione sbalorditiva, tirando in ballo altri investigatori ancora, salvo poi ritrattare immediatamente. Forse il solo ad aver detto la verità, tutta la verità, è il giovane poliziotto che ha confessato candidamente: "Le molotov le ho messe io, me l'avevano ordinato". Per conoscere i veri mandanti bisognerà aspettare il grande confronto di martedì.

(28 luglio 2002)

Articolo della Repubblica scritto da Massimo Calandri e Francesco Viviano

 
 
 
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