Caos ed Essere
Un viaggio, sette emozioni: l'essere e i suoi frammenti.
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Non si scappa da se stessi...
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Nickname: FrammentiDellessere
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Sesso: M Età: 45 Prov: RM |
L’abilità della labilità
La giostra, il manicomio, muri bianchi e poi imbrattati, tinte stinte di un funerale ilare in cui il cadavere in rigoroso livor mortis pronuncia la blasfemia del suo trapasso...full immersion nei pensieri viandanti arrendevoli ma battaglieri, apnea costante di un istante in cui il verbo cambia sembiante...riemergere dal flutto, rielaborare il lutto, essere messia e sinestesia col virtuosismo monco di chi arranca a respirare...
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abitudine
Post n°8 pubblicato il 23 Giugno 2011 da FrammentiDellessere
Eterno ritorno dell’uguale. L’abitudine respira sulla mia pelle ovattando la percezione della luce. Calpesto le mie stesse impronte perdendo pensieri sull’asfalto della ridondanza. Mi sfuggono, come se il loro scorrere appartenesse ad una dimensione parallela nella quale la clessidra è regolarmente posta nella sua fierezza verticale che ingoia la sabbia, e con essa il moto rettilineo degli eventi. Cammino, ma la scenografia intorno resta immutata. Ho l’impressione di percorrere un enorme tapis roulant che impedisce al passo l’ardore dello spazio. Il sole di rimpetto, coricato sull’asse trasversale della terra, allunga le ombre dietro le mie spalle, ed un mondo oscuro inscena con maestria la sceneggiatura, emulando il palcoscenico ed il mio movimento. Maledetto sole! Per quanto io possa camminare resta sempre equidistante dal mio affanno, amplificando la sensazione ossessiva di un dinamismo apparente che in realtà - pur avvertendolo sui muscoli - è simbiotico alla stasi. Avanzo ma sono immobile, mi logoro ma invano, porto un piede davanti all’altro, con costanza e un po’ di inerzia, ma la mattonella calpestata è identica a quella precedente. È un demone l’abitudine. La ritrovo nell’odore di urina all’angolo del marciapiede, la scruto tra le saracinesche a mezz’asta e quelle già totalmente sollevate, la interrogo mentre mi ripropone per l’ennesima volta l’occhio magico in cui guardare distratto il solito carosello di cemento e verde avvelenato, ne riconosco l’espressione sul ritorno regolare di volti immersi nello stesso giogo . Abitudini che si legano in un complesso gioco di spinte centrifughe, ma prevedibili, che costruiscono la rete di connessioni con cui plasmare il prototipo da riprodurre in serie, ridicolizzando i giorni ed il pianto della luna. Osservo il mio riflesso nel vetro opaco del treno. Lo guardo attentamente e con estrema tenerezza perché ho come la certezza che quell’immagine, a tratti talmente evanescente da proiettarsi verso l’interno del vagone successivo, sia in realtà tutto ciò che in questo momento riesco a possedere. Fuori dal finestrino il paesaggio scorre, non troppo velocemente, ma quanto basta per renderlo un disegno amorfo dimenticato dal tocco dell’istante successivo. Eppure dovrei conoscere a memoria quella successione regolare di stradine e stazioni – e probabilmente la conosco per davvero – ma credo che l’abitudine funzioni proprio in questo modo: appiattisce il flusso fino a renderlo un unico ed insopportabile loop, che non avendo termini di paragone con i quali raffrontarsi, congiunge l’essere tutto con l’essere niente, perdendo la propria consistenza fino quasi a diventare l’apparizione incerta di un sogno in cui svanire. Mi domando se dovrei fermarmi, forse semplicemente sarebbe sufficiente questo: (forse) quando il dinamismo diventa stasi, la stasi potrebbe tornare vita… |
Ingoio la notte
Nella sua prospettiva dissonante
Placo la sete
Sotto le palpebre
Socchiuse
In quell’istmo inconsistente
Che tremula il desiderio
Di respirare luce..
Il fiato divarica le cosce
Sul bivio dell’insinuazione
Gocciola malinconia
Sull’altare profanato della luna
La purezza apre le cosce agli insulti della frustrazione, scabrosa la copula con i limiti dell’insoddisfazione in cui ritrovarsi immacolata e puttana, col ventre gravido di speranze consumate.
Barcollo
Estraneo ai miei stessi passi
Instabili
Come pensieri
In equilibrio
Sulla traccia del tuo abbandono
Annuso
La pelle dell’assenza
Tenera
Come la placenta
Di una patologia in travaglio
Che geme il respiro
Del suo incostante ritorno
Sbalordito
Il nonsenso
Naufraga ancora
Tra le vertigini delicate
Della memoria
Sull'incanto delle sue grazie scivola il piacere di un'euforia languida che taglia il silenzio col suono della sua pelle...dolce è la caduta nell'immagine di un profilo che diventa lare e venerazione...
prego
la bestemmia
di un giorno inesistente...
infinito
il tempo
che travalica l'istante...
l'attesa
preme la sua vagina
madida
di promesse disattese
sul palmo della frustrazione
e intanto fotto ogni attimo
in un respiro
che muore,
per ogni sogno
che muore...
Inviato da: woodenship
il 20/10/2011 alle 20:47
Inviato da: FrammentiDellessere
il 08/08/2011 alle 11:07
Inviato da: Ossimoro_Tossico
il 05/08/2011 alle 21:50
Inviato da: FrammentiDellessere
il 03/08/2011 alle 10:09
Inviato da: scorpione.scorpione
il 02/08/2011 alle 23:22