Creato da old_bear il 19/04/2007
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Panchina in legno, frontemare.

Post n°4 pubblicato il 27 Aprile 2007 da old_bear

Ho sempre avuto una predilezione per le panchine in legno. Assorbono il calore del sole e te lo restituiscono come un caldo abbraccio.

La mia preferita è questa, in faccia al mare. Sono qui a rotolare il mio tabacco considerando che una busta di tabacco e due confezioni di cartine, al modico prezzo di 5 euro, mi consentono un'autonomia di 4-5 giorni. Rotolando sottile, s'intende. Ma sono agli sgoccioli, pazienza.

Intento al mio manufatto, vedo avvicinarsi una figura nota. La sua corpulenza contrasta, in un gioco d'equilibrio, col suo incedere leggero e grazioso.

"Ciao Gino! Siediti qui e chiacchieriamo un po'."

"Ciao Gaetano. Hai mangiato?" Hai mangiato?  E' una domanda frequente tra noi, sosituisce gli inutili "Come va?".

"Sì, grazie, ho mangiato. E tu?" . "Uguale. Vuoi bere?" e mi allunga il cartone di vino a buon prezzo comprato al supermercato. Prezzo 0,50 centesimi.

"No grazie, lo sai che non bevo! Ma tu perchè bevi 'sta schifezza? Lo sai che è metanolo puro e ti brucia il cervello?"

"Lo so sì, lo so! Ma tutti abbiamo una soglia di tolleranza, e prima o poi capita di non voler più pensare.".

Già: la soglia di tolleranza. Mi chiedo dove finirà la mia...

Poi Gino guarda il mare, e come perso nel suo ricordo inizia a raccontare.

"Ad Alghero, dov'è la mia famiglia, abbiamo terre e case. E c'è anche il bar dove lavoravo con mia sorella...". "E che stai a fare qui?" chiedo.

"E' una storia lunga... Al bar, per la stagione, venne a lavorare un ragazzo. L'attrazione fu reciproca e avemmo una relazione. Eravamo entrambi innamorati persi... Se tu sapessi la cattiveria della gente coi suoi pregiudizi!".

Beh, non lo so, ma  posso immaginare le occhiate ironiche, le battute salaci. La vergogna di vivere un amore "diverso"... E poi la fuga del ragazzo per l'insostenibilità, e per chi resta un peso doppio e maggiore, fatto di angherie e di "Frocio!" sputato a mezza voce mentre passi. E poi un'altra fuga, col primo traghetto...

Ebbi l'impulso di abbracciare Gino, ma lui era già lontano. Oltre questo mare. Dall'altra parte della strada, in simbiosi perfetta col suo catoccio di morte a buon mercato.

Srotolai il mio sacco a pelo sulla panchina, e mi lasciai trascinare in quel caldo abbraccio consolatorio.

Il risveglio fu una brutta sorpresa... ma questa è un'altra storia.

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Recentemente ho letto una frase tratta da un film: "Un caffè con un amico, non vale tutti i libri del mondo.". Francamente, una delle cose che più mi manca della mia "vecchia" vita, è la mia libreria. Ma ci dev'essere una divina legge di compensazione, perché ogni incontro è una sorpresa, una storia, un volto e un nome.

Grazie Gino!

 
 
 

L'assistente sociale.

Post n°3 pubblicato il 27 Aprile 2007 da old_bear

Ho già mandato quasi a memoria, nell'ordine: Novella Tremila della scorsa settimana, Panorama del novembre 2003, e mi appresto già ad affrontare la prossima rivista. La porta si apre, finalmente. E' strano come la cognizione del tempo si amplifichi se sei in attesa dietro ad una porta. "Signor Gaetano? Si accomodi, prego." - avrà sui 50 anni. Biondo finto e finta aria di disponibilità sul volto.

Dopo un'attesa di venti giorni per un appuntamento, e atre due ore in sala d'attesa, eccola: l'assistente sociale di zona. Sono teso come all'esame di maturità. "Buongiorno, sono venuto da lei per un colloquio. Spero mi possa aiutare. Sa, è da molti mesi che dormo in stazione, e dopo aver vinto la mia ritrosia, mi sono deciso a rivolgermi a qualcuno..." "Lei dorme in strada? Mah! Non ha proprio l'aspetto del barbone." "Be', signora... se questo la può consolare, nemmeno lei ha l'aspetto della zoccola..."

Finalmente un po' di colore e di umana passione su quel viso! "Ma come si permette!" "Ma come si permette lei! Sono venuto qui per esporre i miei problemi e non per farmi insultare! Ma cosa crede? Io un lavoro ce l'ho. Sono un suo collega, lavoro in Comune da 28 anni!" Il suo atteggiamento cambia di colpo, e un velo d'interesse (o di curiosità?) le attaversa il volto. "Be', se è un collega presumo che abbia uno stipendio, no? E non le basta?" "Si, certo. Una volta mi bastava. Pensi che riuscivo anche a risparmiere qualcosa. Ora dallo stipendio di 1200 euro ne debbo detrarre 350 per il mantenimento dei figli, altrettanti per un prestito contratto con una finaziaria, e qualche altro piccolo puffo seminato ingiro. Diciamo che al netto mi rimangono in tasca poco più di 400 euro. Un po' poco per permettersi un affitto, pagare le bollette, e concedersi il lusso di mangiare, non le pare?" "E fino ad ora come se l'è cavata?" "Come fanno tutti. Avevo un secondo lavoro in nero che mi compensava qualche uscita, e con cui mi pagavo un alloggio. Ma in questi tempi di crisi, il primo a saltare è proprio il lavoretto di comodo. E di conseguenza la casa dove abiti, se non riesci a pagare un affitto."

"Ma ora dov'è residente?". "Mantengo la residenza dove abitavo, questo finchè l'appartamento continua ad essere sfitto. Lo sa bene che per il nostro lavoro avere una residenza è d'obbigo." "Si, capisco. Ma come posso aiutarla io? Un reddito ce l'ha, e non posso inserirla tra i beneficiari di un sussidio; un lavoro ce l'ha, e non posso considerarla per un contratto socialmente utile (circa 300 euro al mese per pochi mesi - n.d.r.); una residenza ce l'ha, e mi diventa impossibile inserirla in alloggio protetto. Dovrebbe non averla, e dopo 18 mesi, maturerebbe questo diritto...". E' deprimente scoprire di essere un'anomalia del sistema.

http://canali.libero.it/affaritaliani/cronache/grandhotel2604.html

 
 
 

Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 19 Aprile 2007 da old_bear

Gli Invisibili



Mi
svegliai molto presto, mi vergognavo a farmi trovare lì dai primi
pendolari. E mi accorsi che anche quasi tutti gli altri ospiti del
Grand Hotel delle Palme erano già andati via.
Il Grand Hotel è la
stazione di Nervi, in fondo al Viale delle Palme, da cui prende il
nome. E' una stazioncina stile liberty, primi '800. Le camere...
pardon, la camera è ampia, le pareti di un verde tenue, il soffitto
istoriato da stucchi e rosoni d'epoca. Nel muro più ampio s'intravede
il segno di un caminetto che scaldava l'ambiente. L'arredamento è
spartano: un paio di panche di legno, un tavolo nel centro sala, un
altro mobile non meglio definito contro la parete dove s'intravedono i
segni del vecchio caminetto. Un bell'Hotel, indubbiamente. Solo i
servizi lasciano un po' a desiderare. Non ci sono cameriere e ogni
ospite al mattino provvede da se a rifarsi il giaciglio: si ripiega il
cartone, si arrotola la coperta e il tutto si ripone in un luogo
appartato. Così feci anche io, trés à la page, e me ne andai a
lavorare.

La sera tornai al Grand Hotel, stavolta con un sacchetto di panini
offerti da un pulmino della Caritas. Avevo già mangiato, ma li presi da
portare ai nuovi amici. Lì il servizio in camera non è dei più
efficienti, e ci si arrangia come si può. Questa volta tutti mi
salurarono, chi con un grugnito, chi con un ciao, e chi con un
buonasera. L'inaspettato mentore della sera precedente, mi guardò col
suo consueto mezzo sorriso."Tornato? Ti piace il panorama, a quanto pare..."
Effettivamente la ferrovia corre lungo il litorale ligure, e dal Grand
Hotel delle Palme si gode un panorama per niente disprezzabile. Solo le
serate col teso vento di scirocco fanno rimpiangere di essere altrove.
"Beh... mica solo per il panorama! Diciamo che l'accoglienza è da cinque
stelle..." risposi
ridendo anche io.
Tutti si presero un po' di cibo. Non ringraziarono.
Sapevano che non dovevano farlo. In quest'Hotel quello che si può si
deve dividere, tranne i soldi e le scarpe, naturalmente. Mi preparai il
giaciglio e mi accesi una sigaretta.

"Vuoi?" dissi porgendo il pacchetto al nuovo amico.
"Ne ho, grazie. Fumo dalle mie."

"Ho visto che siete quasi tutti mattinieri..."
Stavolta non rise, disse semplicemente: "Qui abbiamo ancora quasi tutti ancora un
po' di dignità da difendere. La gente fa finta di non vederci, e noi
cerchiamo di non farci vedere. Siamo il popolo degli invisibili: meno
diamo all'occhio, più stiamo tranquilli noi e loro. A loro non piace
vedere a cosa riduce la mancanza di sicurezze acquisite, ciò che danno
per scontato. Li mette a disagio, e qualuno reagisce con cattiveria.
Meglio sparire per tempo.".


"Ora sono tempi difficili..." continuò "...una
volta ti sceglievi un paese, un quartiere e se ti facevi benvolere,
tutti ti aiutavano e ti davano una mano. Non è più così. Stiamo
diventando un esercito che s'ingrossa di giorno in giorno, e quelli più
disperati, gli ubriaconi, i tossici, e i delinquenti sono i più
visibili, e ormai l'equazione ci compara tutti. Bollati ed
etichettati.".

Spensi la sigaretta e dormii.

 
 
 

Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 19 Aprile 2007 da old_bear

Grand Hotel delle Palme



Ci entrai a testa bassa, un po' intimorito. Vinto dal freddo e
dall'umidità, oltre che dal bisogno. Sentii subito gli occhi addosso,
molte paia di occhi. Occhi diffidenti e curiosi, ma nessuno osò
chiedere nulla.
Mi sedetti sulla panca di legno, fingendo
un'indifferenza che non provavo, e accesi una sigaretta. Non sapevo
neppure io cosa fare lì.
La domanda arrivò, secca come una fucilata: “Hai mangiato?”
Un paio di quegli occhi prima indagatori e diffidenti, avevano capito
chi ero: solo un altro della stessa tribù. Una tribù numerosa che dopo
aver imboccato qualche crocevia sbagliato, si ritrova lì, in una sala
d'aspetto di una stazione cercando di passare indenni la notte e
affrontare il giorno dopo col freddo nelle ossa e pochi spiccioli in
tasca.
Qui al Gran Hotel delle Palme, non si fanno troppe cerimonie,
non ci sono tessere da esibire. Basta lo sguardo per capire chi fa
parte del Club.
“Si, grazie. Non ti preoccupare.” Fu la mia risposta. Quella faccia scolpita dal vento e dalla natura mi rispose con un mezzo sorriso."Ci sono ancora dei panini, senza complimenti." e aprì una busta per la spesa, offrendomi il contenuto.
"Beh, allora grazie..."
"Se c'è da mangiare, ce n'è per tutti. Quando ne avrai ne dividerai anche tu."
Iniziai
a mangiare il panino che mi aveva offerto scoprendo di avere più
appetito di quanto ammettessi a me stesso. Mi sentii rinfrancato, più
da quel semplice gesto che da quel povero cibo. Ringraziai ancora e mi
accesi un'altra sigaretta.
"Non hai niente?"
mi chiese ancora.
"Cosa, scusa? Non capisco..."
"Non hai niente per passare la notte? Mica puoi stare lì seduto! C'è freddo e se ti ammali sei fottuto."
"No. Non ho niente. Appena potrò mi compro un sacco a pelo come il tuo..."
Rise forte e di gola."Novellino eh? Non si compra nulla. Vai alla parrocchia di san Siro a Santa Margherita. Chiedilo e te ne danno uno. I soldi tienili per altre cose.". Così
dicendo, si sfilò dal suo improvvisato giaciglio, calzò le scarpe, un
paio di vecchi anfibi militari, e andò a frugare in un angolo nascosto.
Ne tirò fuori un largo cartone ripiegato e una coperta militare.
"Ti faccio vedere..."
Stese
il cartone in un angolo di quella sala, e vi pose sopra la coperta
ripiegata in due. Un sacco a pelo improvvisato ma funzionale.
"Le scarpe mettile sotto al cartone. Ti serviranno da cuscino e non te le possono fregare.".
"Grazie, nuovamente.".
Feci
come mi disse, e a parte la durezza, quella piccola tana era calda e
neppure troppo scomoda.
Sorprendente dover prendere atto che la misura
tra la vita e la morte, sia il semplice spessore di un cartone ripiegato
.

 
 
 
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