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Post N° 73

Post n°73 pubblicato il 03 Novembre 2008 da erda
 

Costante ricerca della pace e dell'unità dei cristiani nel ministero di Giovanni XXIII

La Chiesa misericordiosa
di Papa Roncalli




Pubblichiamo
stralci della relazione su "Papa Giovanni XXIII: uomo e pastore di
pace" tenuta sabato scorso in Campidoglio dal vescovo di Bergamo in
occasione della cerimonia per il cinquantesimo anniversario
dell'elezione al pontificato di Angelo Giuseppe Roncalli.



di Roberto Amadei


Nel marzo 1963 veniva assegnato a
Giovanni XXIII il premio Balzan per la pace, "per la sua attività in
favore della fraternità tra tutti i popoli e [...] i suoi recenti
interventi sul piano diplomatico". Il prestigioso riconoscimento
interpretava il vasto e caloroso consenso che, anche in ambienti
lontani ed estranei alla Chiesa, si era formato attorno alla sua
persona, sia per il suo insegnamento che per la continua azione a
favore della pace universale. Il periodo del suo pontificato
(1958-1963) è stato turbato da pericolose tensioni tra i popoli che
avevano accentuato la corsa agli armamenti e provocato la ripresa degli
esperimenti nucleari. Nell'ottobre del 1962, per la crisi cubana, Stati
Uniti e Unione Sovietica rischiavano lo scontro armato con
imprevedibili, drammatiche conseguenze per l'intera umanità.
Altri
segnali però indicavano l'intensificarsi ovunque del desiderio di
superare la cosiddetta "guerra fredda" per iniziare a costruire una
pace vera, fondata non sulla paura ma sulla sincera collaborazione tra
tutti i popoli, ponendo fine al dominio che poche nazioni esercitavano
sul resto dell'umanità. Giovanni XXIII ha affrontato questa situazione,
caratterizzata da speranza e terrore, con lo stile maturato durante le
precedenti esperienze. Lui stesso lo affermava parlando della Pacem in terris:
"Di mio in questa enciclica c'è anzitutto l'esempio che volli dare, nel
corso della mia vita, di ininterrotta conformità col capitolo terzo,
libro secondo dell'Imitazione di Cristo. L'uomo pacifico fa più bene
che il molto istruito. L'uomo pieno di passioni trasforma in male anche
il bene ed è sempre incline a pensare male di tutti. Invece l'uomo
buono e pacifico riduce tutto in bene".
Nel 1925, nominato
visitatore apostolico in Bulgaria, iniziava a vivere il suo ministero
nell'incontro con culture ed esperienze religiose diverse: in Bulgaria
era la Chiesa ortodossa, in Turchia le piccole comunità ortodosse, i
musulmani, gli ebrei e lo stato laico, in Francia il pluralismo
religioso, la laicità tradizionale, l'inizio della secolarizzazione, il
fermento della teologia e della pastorale. È stato un succedersi di
esperienze difficili, cariche di secolari incomprensioni e di ostilità
che non hanno indurito il suo cuore o scoraggiato la sua attività, anzi
gli hanno permesso di conoscere e apprezzare la ricchezza della fede
cristiana e di elaborare un nuovo modo di vivere il proprio ministero.
Il filo conduttore della sua esistenza fu l'assimilazione sempre più
profonda di Gesù Cristo dal quale si sentiva continuamente avvolto
d'amore misericordioso. La misericordia divina divenne il tema centrale
delle sue riflessioni e della sua esperienza di fede. "Non debbo essere
maestro di politica, di strategia, di scienza umana; ce n'è davanzo di
maestri di queste cose. Sono maestro di misericordia e di verità": così
annotava nel Giornale dell'anima nel novembre del 1940.

Un amore misericordioso offerto con sincera cordialità a tutti perché
si sentiva a servizio di tutti, non solo dei cattolici. Per esempio,
soffriva nel considerare i pochi e trascurati segni del cristianesimo
primitivo presente in Turchia e perché ai turchi non era stata data
ancora la possibilità di comprendere il cristianesimo come buona
novella anche per loro, però non può non confessare il suo amore per
questo popolo: "Senso di mestizia per le rovine trovate a Scutari, e
per l'atmosfera di questo mondo turco ancora così lontano dalle
sorgenti della civilizzazione quantunque esse siano a due passi, anzi
sotto i suoi piedi. Eppure li amo in Gesù Crocifisso questi cari
Turchi, e non so soffrire che i Cristiani ne dicano così male, dando
prova di pochissima penetrazione del Vangelo nelle loro anime. Li amo,
ciò rientra nel mio ministero di padre, di pastore, di delegato
apostolico: li amo perché li credo chiamati alla redenzione. So che lo
spirito di parecchi fra i miei figli cattolici "levantini" è contro di
me, ma ciò non mi turba né mi scoraggia" (Agenda, 26 luglio 1936).

Guidato da questo amore ha avvicinato ogni persona con stima, fiducia e
speranza. Ogni esperienza umana veniva avvicinata con rispetto e
studiata con attenzione per capirla in profondità individuandone prima
gli aspetti positivi e poi quelli negativi. Da qui il costante impegno
per conoscere la storia delle realtà religiose, culturali, sociali e
politiche incontrate nel suo ministero; la sottolineatura gioiosa della
spiritualità orientale, la stima dell'impegno del popolo turco per
divenire uno stato moderno anche se la legislazione non sempre
rispettava l'esperienza religiosa, in particolare quella cattolica.
Conoscere il diverso per comprendere gli interlocutori, dialogare
sinceramente con loro, individuare ciò che li univa per poter vivere la
storia comune sostenendosi e arricchendosi reciprocamente nel creare
unità non solo tra i credenti ma con tutti gli uomini di buona volontà.

Era convinto che il cammino verso l'unità dei cristiani e la pace tra i
popoli fossero determinati innanzitutto dalla comunione dei cuori, dal
rapporto di stima e solidarietà nella vita quotidiana. Ed era pure
convinto che questo era l'unico modo di mostrare il volto
autenticamente evangelico della Chiesa ai fratelli separati, e di
manifestare ai non cristiani che la Chiesa è universale, perché il
Cristo, salvatore di tutti, è capace di parlare in modo significativo a
ogni esperienza umana arricchendola, purificandola e aiutandola a
sentirsi espressione della comune umanità, ed è chiamata a edificare
un'unità sempre più profonda tra tutti gli uomini.
Così si
esprimeva nell'omelia di Pentecoste del 1944 a Istanbul: "Noi amiamo
distinguerci da chi non professa la nostra fede: fratelli ortodossi,
protestanti, israeliti, musulmani, credenti o non credenti di altre
religioni; Chiese nostre, forme di culto tradizionali e liturgiche
nostre. Comprendo bene che diversità di razza, di lingua, di
educazione, contrasti dolorosi di un passato cosparso di tristezze, ci
trattengono ancora in una distanza che è scambievole, non è simpatica,
spesso è sconcertante. Pare logico che ciascuno si occupi di sé, della
sua tradizione familiare o nazionale [...] io debbo dirvi che nella
luce del Vangelo e del principio cattolico, questa è una logica falsa.
Gesù è venuto per abbattere queste barriere; egli è morto per
proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo
insegnamento è la carità, cioè l'amore che lega tutti gli uomini a lui
come primo dei fratelli, e che lega lui con noi al Padre".
La
scelta di lasciarsi sempre guidare dalla carità misericordiosa non era
dovuta principalmente al suo temperamento, ma alla convinzione profonda
che senza di essa il messaggio evangelico viene svuotato, la Chiesa non
è credibile nel suo annuncio ed è incapace di offrire il suo
determinante contributo per realizzare la fraternità inscritta nella
natura umana. Aveva la possibilità di verificare la validità del suo
metodo, oltre che nei rapporti con le singole persone e con le diverse
istituzioni, nelle relazioni con i popoli, in particolare con gli Stati
che da tempo avevano costruito muri di ostilità o di indifferenza nei
confronti della Chiesa. Sono note le coraggiose, discusse e contrastate
aperture verso i Paesi dell'Est europeo gravitanti attorno all'Unione
Sovietica. Non era ingenuo, perciò avvertiva il rischio di essere
strumentalizzato. Però non poteva spezzare quei fili che la Provvidenza
gli affidava per riaprire il dialogo con questa numerosa porzione della
sua famiglia.
La sua scelta, nell'insegnamento e nel comportamento
concreto, è stata per la neutralità sopranazionale della Chiesa, "una
neutralità - spiegò Giovanni XXIII in occasione del premio Balzan per
la pace - che mantiene tutto il suo vigore di testimonianza. Premurosa
di diffondere i principi della vera pace, la Chiesa non cessa
dall'incoraggiare l'adozione di un linguaggio e l'introduzione di
abitudini e di istituzioni che ne garantiscono la stabilità". Uno
"stile" praticato anche nelle relazioni con le altre Chiese cristiane,
proponendo, sostenendo e realizzando passi decisivi sulla strada del
dialogo ecumenico. La fecondità di questa scelta è stata dimostrata
anche dall'attenzione e dall'accoglienza prestata all'enciclica Pacem in terris,
determinata soprattutto dal fatto che tutti vedevano in Giovanni XXIII
l'espressione vivente di quanto diceva: l'uomo di pace capace di unire
in solidarietà operante tutti gli uomini, un servitore sincero e
disinteressato dell'intera famiglia umana.



(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2008)

 
 
 
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