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Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 25 Novembre 2008 da erda
 

Lunedì 24 novembre a Nagasaki la beatificazione di Pietro Kibe Kasui e di 187 compagni martiri



Testimoni coerenti di Cristo

fino all'estremo sacrificio




di Diego Yuuki


Benedetto XVI, il 1° giugno 2007, firmò il decreto che aprì la via
alla beatificazione di Pietro Kibe e di 187 compagni martiri,
distribuiti, a seconda del luogo del martirio, su nove delle diocesi
del Giappone, coprendo così quasi tutta la geografia del Paese.

Le date della loro morte vanno dal 1603 al 1639, cioè all'epoca della
persecuzione degli Shogun Tokugawa. Molti di loro vissero nella fase
più dura di quella persecuzione.

Pietro Kibe e i suoi 187 compagni martiri sono ben noti nella Chiesa in
Giappone e fra le popolazioni di origine, ma generalmente sconosciuti
al di fuori del Paese.

Perciò nascono spontaneamente le domande: Perché ora? Perché così
tanti? La risposta è semplice: quando furono canonizzati i 26 santi
(1862) e beatificati i 205 martiri della persecuzione degli Shogun
Tokugawa (1867), la Chiesa in Giappone non esisteva in quanto tale. I
cristiani sopravvissuti alla persecuzione vivevano nelle catacombe. Non
vi erano vescovi né sacerdoti giapponesi che potessero parlare a nome
di quella Chiesa martire. Il numero dei martiri conosciuti supera i
diecimila. Quando vennero aperti i processi di canonizzazione a Roma, i
diversi ordini religiosi che avevano operato in Giappone presentarono
subito i loro membri e i loro collaboratori martiri. Continuano però a
restare nell'ombra i cristiani che subirono tutto il peso della
persecuzione, i più crudeli tormenti, che si assunsero la
responsabilità della comunità alla morte degli ultimi missionari e
trasmisero la fede che è giunta fino ai nostri giorni.

Quando nel 1865 il Giappone si aprì di nuovo al mondo esterno, sebbene
limitatamente, vennero riscoperti i cristiani vissuti in clandestinità
e rinacque così l'interesse per quei martiri. Si consultarono gli
archivi e si raccolsero le tradizioni locali. In occasione della visita
pastorale di Giovanni Paolo II, "pellegrino dei martiri", a Nagasaki
(febbraio 1981), sorse l'idea di riunire un gruppo di martiri
importanti di quella persecuzione e di indicarli come esempio di
coerenza cristiana.

In quel processo, iniziato nel 1981, si è cercato di scegliere quei
martiri sul cui sacrificio vi fossero chiare testimonianze, che
rappresentassero un gran numero di regioni del Giappone, i cui
monumenti o luoghi di martirio fossero già ben noti e che come gruppo
fossero rappresentativi della società giapponese di allora: uomini e
donne, anziani e bambini, personaggi della classe dirigente, invalidi,
mendicanti. Dei 188 scelti, quattro sono sacerdoti, uno religioso e 183
cristiani laici.

Fra questi cristiani vi sono intere famiglie di martiri. Ad esempio la
famiglia di Gaspare Nishi, dell'isola Ikitsuki di Hirado, nobile
samurai divenuto catechista, che morì con sua moglie e il loro
primogenito e che offrì altri due figli come martiri, uno di essi già
canonizzato, il domenicano san Tommaso Nishi. Un altro è Ogasawara
Kenya, martire insieme a sua moglie Miya (Maria) e ai loro nove figli,
uno di essi nato in carcere, battezzato ed educato lì. Un altro
magnifico esempio è anche quello dei tre catechisti di Yatsushiro
(Kumamoto), Gioacchino Watanabe, Michele Mitsuishi e Giovanni Hattori,
uomini del popolo che vivevano modestamente del loro lavoro, ma quando
il Daimyo, Kato Kiyomasa, espulse i missionari dal suo territorio,
assunsero la responsabilità di quella Chiesa, guidarono i cristiani,
aiutarono gli altri martiri, recuperarono i loro corpi, e condannati
per questo al duro carcere, da lì continuarono per diversi anni il loro
apostolato, educando i propri figli piccoli. Il martirio di Pietro
Hattori, di cinque anni, è una pagina commovente per l'atteggiamento
del bambino.

Rientra in questo processo il "grande martirio di Kyoto", nel quale 52
martiri furono arsi vivi per espresso ordine dello Shogun Hidetada
(1619). Fra quei martiri vi furono molte madri con bambini piccoli: è
il "martirio degli innocenti" della Chiesa in Giappone, descritto con
queste parole dall'agente della ditta inglese di Hirado Richard Cooks,
che si trovava a Kyoto in quell'occasione: "Fra i martiri vi erano
bambini di cinque e sei anni, bruciati fra le braccia delle madri, che
gridavano: Gesù, accogli le loro anime". In questo gruppo si distinse
per il suo fervore la famiglia Hashimoto, composta da padre, madre e
cinque figli, dai 3 ai 14 anni.

Alcune parole sui quattro sacerdoti martiri. Erano stati tutti studenti
del seminario di Arima, anche se provenivano da diverse regioni del
Giappone. La loro storia è simile: la lotta per realizzare la propria
vocazione, l'apostolato instancabile sotto la più feroce persecuzione,
il martirio durissimo. Dell'agostiniano Tommaso di sant'Agostino
"Kintsuba" un luogo nell'area di Nagasaki conserva ancora il nome: è la
"valle del Kintsuba", nome trasmesso da generazione di cristiani
nascosti di questa regione e legato alle grotte che servirono loro da
rifugio. Giuliano Nakaura fu uno dei quattro giovani che nel 1582 si
recarono come legati a Roma; sacerdote gesuita nel 1608, martire nel
1633, dopo 19 anni di apostolato come missionario nascosto.

Il suo monumento nel villaggio natale lo presenta "mentre indica il
cammino per Roma". Diogo Yuri Ryosetsu, membro della famiglia degli
antichi Shogun Ashikaga, percorse il Giappone incoraggiando i
cristiani, convertendo gli altri, entrando nelle carceri per portare ai
cristiani detenuti la grazia dei sacramenti. Pietro Kibe, che si recò a
piedi fino a Roma, passando per Gerusalemme, per essere ordinato
sacerdote ed entrare nella Compagnia di Gesù, ebbe come principale
testimone della veridicità del suo martirio il giudice inquisitore dei
cristiani Inoue Chikugo: "Kibe Pietro fu condannato a morte perché non
voleva rinnegare la propria fede e incoraggiava i catechisti martoriati
accanto a lui".







(©L'Osservatore Romano - 23 novembre 2008)

 
 
 
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Data di creazione: 10/01/2008
 

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