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L'AMORE DI LOREDANA - Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

Post n°208 pubblicato il 03 Gennaio 2013 da ciapessoni.sandro
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L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

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… seguito PARTE PRIMA

 

Seguito cap. VII (da post 207)

La Teobaldi fece un mezzo giro sullo sgabello, si ritrovò innanzi al piano e cominciò un galopp.

- «Folletto!» - disse, enunziandone il titolo. - Le piace ballare?

La risposta di Loredana si perdette tra una tempesta di note senza tempo e senza misura, che la vecchia accumulava con frenesia, come se il ballabile le avesse fatto perdere ogni nozione musicale. Ma quel fracasso e la vista della donna che nell'ebbrezza di una danza immaginaria dimenticava anche la presenza di lei, crebbero la tristezza di Loredana; ella si alzò, fece cadere a bella posta il coltellino delle frutta, smosse le sedie e riuscì ad interrompere la musica del «Folletto», che già le pareva, interminabile.

- Ho un po' di emicrania e desidero riposare, - disse alla Teobaldi, che s'era rigirata sullo sgabello. - Spero che scuserà...

- L'emicrania! Ha l'emicrania e non me lo dice! - esclamò l'altra, drizzandosi in piedi. - Vada, vada a riposare; io le porterò una boccetta di sali, un rimedio infallibile... Esco e torno subito...

- No! - disse Loredana bruscamente, atterrita dal nuovo supplizio che la vecchia le minacciava. - Ho bisogno di stare sola. La ringrazio!

La Teobaldi guardò la fanciulla e capì che avrebbe insistito vanamente; la voce l'aveva scossa, aveva sentito un fremito di sdegno e di antipatia in quella che pareva la più docile e la più timida delle ragazze.

- Va bene, va bene, - mormorò. - Buon riposo, dunque; sarà cosa da nulla. Arrivederla, signora...

I suoi occhi cercarono istintivamente di nuovo la mano sinistra di Loredana; e la vecchia, non aggiunse «contessa».

Ma il supplizio della sua presenza, evitato pel momento, si rinnovò più tardi, si rinnovò nei giorni successivi. La Teobaldi, non avendo assolutamente nulla da fare, s'appiccicava alla giovane, l'accompagnava alle Grotte, la seguiva sulla strada di Sirmione, veniva a coglierla quando stava sola in giardino, si presentava in salotto chiedendo di rievocare al piano qualche ballabile antico o qualche canzone della sua giovinezza.

E parlava, parlava, parlava, in dialetto veronese, infaticabilmente; parlava di sé , degli amici suoi, di Loredana, del conte, dei pescatori, di gente del paese che la ragazza non conosceva affatto, dell'orario dei piroscafi, dei trionfi del defunto Teobaldi tenore, dei vini e dei cibi dell'albergo, dei dissapori tra l'oste e l'ostessa, della moda e della cucina, della vita di Venezia, dell'amore antico e dell'amore moderno; e di tutto a rifascio, senza nesso, passando dall'uno all'altro argomento e non mutando mai voce... Una volta domandò:

- Lei, quando si è sposata?

Loredana fremette e sentì che impallidiva; ebbe la tentazione di rispondere seccamente, brutalmente: «Non sono sposata; non voglio commedie!» Ma gliene mancò l'ardire, e balbettò, guardando in un angolo:

- Il mese scorso....

- A Venezia non è vero? - incalzò la Teobaldi.

Loredana non rispose.

Le due donne erano in giardino; la fanciulla sedeva sul parapetto, fissando l'acqua verdastra del lago e i piccoli e i grossi pesci che passavano aspettando qualche manciata di briciole; la vecchia, adagiata in una poltroncina di vimini, lavorava all'uncinetto.

- Già, - disse, tanto per concludere qualche suo pensiero. Poi aggiunse: - Io mi sono sposata a sedici anni, nel... nel...

Ma non trovò subito una data decente, s'imbrogliò e corresse:

- Bei tempi! Si figuri ch'io era bionda come il grano, avevo un busto così, un piedino così...

Loredana, senza badarle, raccolse un pugno di ghiaia e lo gettò nel lago, scompigliando il corteo dei pesci.

VIII.

Arrivato a Venezia, Filippo si recò a palazzo Vagli. Erano le cinque; sua madre riceveva.

Egli, indugiatosi un istante nella grande sala, nella quale non era alcuno, udì le voci che provenivano dal salotto attiguo. Parlavano, a volta a volta, sua sorella contessa Ada de Idris, la contessa Osvaldi, la contessina Fioresi, e dall'acciottolio di chicchere e di piattini si comprendeva che le gentildonne stavano bevendo il tè.

Filippo era per ritirarsi e salire nel suo appartamento, allorché la contessina Fioresi, tutta vestita d'azzurro, uscì correndo dal salotto, vide Filippo che s'era messo innanzi a uno specchio il quale occupava intera una parete, e si mise a ridere.

- Colto in flagrante! - esclamò. - Si fa bello, qui, solo? Ma la contessa Bianca ci annunciava poco fa che lei era in campagna...

- Dalla campagna non si può tornare? - disse Filippo, sorridendo e stringendo la mano alla fanciulla dai capelli fulvi.

- Chi c'è? Chi c'è, Giselda? - chiesero più voci dal salotto.

- C'è Flopi che si arriccia i baffi! - rispose Giselda Fioresi; e ridendo uscì per andare a prendere una cartella di musica.

- Davvero, Flopi? - esclamò la contessa Bianca, apparsa subito sul limitare.

Ella era alta e magra, vestita di scuro; dal volto pallido spirava un'aria di maestà e di dolcezza insieme; gli occhi castani avevano sguardi placidi e dritti; la bocca ben disegnata, col labbro inferiore un po' sporgente, sorrideva volentieri. Tutti i capelli della contessa Bianca erano candidi come neve e un poco ondulati.

Filippo si chinò a baciarle la mano; ella lo baciò in fronte e gli disse, presto, sottovoce:

- Che hai fatto? Che hai fatto?

Ma anche le altre signore apparvero sulla soglia, e Filippo si avanzò per salutarle.

- Dove sei stato fino a oggi? - domandò la contessa Ada de Idris, ch'era bionda e aveva una carnagione rosea delicatissima.

- In giro, sono stato, - rispose Filippo. - Avevo qualche cosa da sbrigare a Milano e a Torino.

La contessa Osvaldi, piccoletta, irrequieta, bruna, diede in una risata; ma Filippo non se ne curò, perché quella rideva sempre.

Tornarono nel salotto, tappezzato di stoffa antica, giallina ad arabeschi tenuemente rosei, che un raggio di sole, penetrando dal balcone prospiciente il Canalazzo, sembrava cospargere d'una imponderabile polvere d'oro.

Ada de Idris, ripreso un discorso interrotto dall'arrivo di Filippo, parlò della campagna. Il conte de Idris era in campagna, e Ada doveva raggiungerlo; poi sarebbero andati a Lucerna, dove l'anno prima s'erano molto affaticati e punto divertiti.

- O perché vi ritorni? - domandò Filippo, prendendo una tazza di tè dalle mani di sua madre.

- -Sai che Leopoldo non vuol campagne romantiche; odia le chaumières...

- E anche ton coeur? - chiese sbadatamente la contessa Osvaldi.

Ma le chiacchiere furono interrotte di nuovo.

Entrò il conte Lombardi, alto e calvo, che, vedendo Filippo, fece un gesto di piacevole meraviglia, andò a baciar la mano alle signore, e disse:

- Tornato?... Io ti faceva così lontano!

- E perché ? - rispose Filippo. - L'ultima volta che ci siamo visti...

- Ma sì, alla stazione, - seguitò il conte Lombardi. - Mi sembravi nervoso, allegro, inquieto...

Filippo, che stava in piedi presso un alto stipo di mogano a fregi d'oro sbiadito, sentì gli sguardi di sua madre.

- Anzi, - continuò il Lombardi, - ti avevo invitato a pranzo, tu avevi accettato, noi ti abbiamo atteso... e ti rivedo ora, da quel giorno!

- Questa è grossa, Flopi! - disse Ada.

- Hai ragione; non so come scusarmi, - convenne Filippo, sorridendo, ma annoiato per quel ricordo.

- Ti dirò io come puoi essere scusato, - rispose il conte Lombardi. - Vieni a pranzo da noi, domani. È detta?

- È detta! – ripeté Filippo, pensando che aveva sperato di ripartire subito, ma che a quel secondo invito bisognava arrendersi.

- Ecco, benissimo, - osservò Ada de Idris. - Domani vai a pranzo da Lombardi, e domani l'altro mi accompagni a Vittorio, da Leopoldo, e ti fermi da noi.

- No, cara, - disse Filippo recisamente. - Ho da fare qui.

- Ha da fare a Venezia, in luglio! - esclamò la contessa Osvaldi, ridendo. - Voi avete da fare a Milano, a Torino, a Venezia! Mi sembrate un ministro...

- Anzi, la negazione d'un ministro, - corresse il conte Lombardi. - Un ministro non ha mai da far nulla, in nessun paese del mondo!

Filippo non seguì oltre la conversazione; s'avvicinò a uno dei poggiuoli, gettò un'occhiata distratta in Canalazzo, dove non passava che una gondola lenta. Quei discorsi, quegli accenni a persone e ad abitudini familiari, quelle amiche, tutto lo annoiava. All'infuori di sua madre, nessuno pareva conoscere l'ultima scappata di lui; ma le poche parole scambiate in quei brevi istanti, gli facevano comprendere che si sarebbe saputo tutto da tutti, poco più tardi.

La sua vita, la vita a Venezia, tra quella società aristocratica tanto esigua di numero, era troppo nota, confidenziale, metodica. Si svolgeva sempre tra le medesime persone, che ripetevano, senz'accorgersi forse, le medesime occupazioni, ogni anno, ogni giorno. Le donne erano strette in gruppi; gli uomini erano stretti in gruppi; nulla poteva sfuggire in quel circolo nel quale egli pure era chiuso da anni. Giselda Fioresi gli passò daccanto col suo fascicolo di musica.

- Dunque, - ella disse. - È stato in campagna? Ora si ferma?

- Le pare? - rispose Filippo. - Fermarmi a Venezia? Credo che la mamma parta a giorni; e io rimarrei qui solo?

- Allora accompagna la mamma, come sempre?...

Come sempre! Egli guardò la fanciulla, che gli stava innanzi, col suo fascicolo sotto l'ascella, il busto eretto, i capelli fulvi arruffati sulla fronte. Era graziosa; gli occhi avevano qualche lampo di malizia, e la bocca, schiudendosi, mostrava bei denti. Filippo si mise a ridere.

- Come sempre? – ripeté . - Io vorrei invece quest'anno far qualche cosa di diverso.

- Ah, bene! - esclamò Giselda. - Allora al Polo Nord, in cerca d'avventure.

- Già, in cerca d'avventure! - mormorò Filippo.

- Mi dispiace. Speravo vederla in campagna!

Filippo s'inchinò leggermente.

- Lei è molto gentile. Ma, le avventure? Le avventure a San Donà?

La fanciulla scosse la testa, lo guardò un attimo, rise con gli occhi:

- Eh, siamo d'accordo! - disse. - Se ha intenzione di fare il matto, San Donà non le conviene. Mi dispiace, ripeto!

Veramente non sapeva nemmeno lei, Giselda, perché la partenza di Filippo le spiacesse, e non sapeva perché andasse ripetendoglielo; ma la vita di quell'uomo aveva il curioso potere di irritarla, a quando a quando. avrebbe voluto mettersi a cavalcioni d'una sedia, accendere una sigaretta e udirlo raccontare ciò che faceva e ciò che pensava. L'ignoranza alla quale era costretta, la pungeva continuamente.

- Bene, - concluse. - Buone avventure, dunque!

- Ma no; non vorrei che desse alle mie parole un significato che non hanno. Intendo fare un piccolo viaggio, ecco tutto! - spiegò Filippo.

- E a me lo racconta? - esclamò Giselda, allontanandosi.

- Che originale! - pensò Filippo con un sorriso, mentre la seguiva con gli occhi.

Ella andò a parlare con la contessa Bianca.

- La ringrazio, - disse, mostrando il fascicolo di musica. - Fra un paio di giorni glielo rendo!

- Ma non importa, bambina! - esclamò la contessa Bianca ridendo. - Fra un paio di giorni io sarò già forse in campagna.

- Sola; perché Filippo va a fare un viaggio. Al Polo Nord, mi ha detto...

 

Fine prima parte capitolo VIII

Buona lettura.

 

 
 
 
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