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L'AMORE DI LOREDANA - dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°210 pubblicato il 17 Gennaio 2013 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Venezia

Veduta aerea San Marco

 

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… seguito PARTE PRIMA

***

… seguito del cap. IX (… Seguito del post 209)

Filippo sembrava non accorgersi della presenza di Giselda.

- Mi pare un gatto che vigila, - pensò il Candriani. - Se la porti via anche questa?

Ma la partita finiva; la contessina Fioresi volse le spalle ai giocatori, tornò fra le donne, e subito trovò un appiglio per interloquire.

- Mi direte voi, - chiese Berto al Lombardi e al marchese di Spinea, - che cosa ha questo vecchio satiro per piacere alle ragazze?

- Vecchio satiro! - esclamò il marchese di Spinea. - Ma non ha quarant'anni; e che cosa dovresti dire di me, che ne ho cinquantasette?

- Satiro decrepito! - sentenziò il Candriani. - Filippo, occhio alla Fioresi! Quella sta facendo una passione per te, vorrà scappare anche lei.

Filippo stette ancora muto. Egli rispondeva raramente a Berto Candriani; dacché lo si era classificato per matto, Filippo lo lasciava parlare, e il più delle volte non ascoltava nemmeno le sue parole, col pensiero rivolto altrove. Così, se non fosse stata la necessità incoercibile di dire tutto quanto gli frullava pel capo, Berto Candriani, a sua volta, non avrebbe mai parlato con Filippo; e quando v'incappava, se ne pentiva sempre.

Egli si alzò indispettito e andò a raggiungere il conte Mercatelli, che fumava una sigaretta, sdraiato sopra un divano, beatamente, gli sguardi perduti in alto.

- Ciò! - disse Berto. - Non dormi? Vattene, su; è quasi mezzanotte...

- Hai ragione, - rispose il conte mansueto. - Nel mio letto starei tanto bene!

Si mosse, andò a porgere il saluto alla contessa Bianca, alle signore, agli amici, ed uscì lentamente.Poco dopo, anche gli altri visitatori presero congedo.

X

Quella notte, Filippo Vagli sentì crudelmente la solitudine in cui lo piombava l'assenza di Loredana. Vagò fino ad ora tarda per le calli deserte, immerse in un'ombra che un fanale rompeva a pena, e salito in una gondola si fece condurre alla ventura; i rii, coi muri delle case a picco, parevano chiusi, senz'aria; ora la gondola sfiorava la scalea d'un palazzo, ora scivolava lungo qualche casupola, dalle finestre della quale giungeva il chiacchierio infaticabile delle popolane; e se una gondola passava rasente, era una visione d'ombra, una linea nera e fugace, un uomo ritto a poppa, una figura indistinta sdraiata sui cuscini; poi silenzio, rotto dal remo che grondava acqua.

Allorché tornò a casa, Filippo notò quel che già aveva sentito durante il giorno: la sua camera non gli diceva più nulla, il suo ricco appartamento, al quale era andato per tanti anni recando belle cose d'arte e oggetti di pregio, non gli importava più dell'appartamento d'un albergo. Le ore gli sembrarono eterne; il pensiero di quella ragazza, lasciata sola in un piccolo paese, in un alloggio che differiva poco da una taverna, gli martellò il cervello tutta notte. Prese sonno verso l'alba; e non si svegliò da quel torpore se non quando gli parve che qualcuno camminasse cautamente per la camera. Era un servo, mandato dalla contessa Bianca, la quale, vista l'ora tarda, temeva che Flopi stesse poco bene.

- Che ora è, Piero? - domandò Filippo.

- Sono le undici, signor conte.

Piero stava immobile presso il letto ad aspettare gli ordini.

- Va, va! - gli disse il conte. - Non ho bisogno di nulla. Avverti la contessa che mi alzo subito.

E poco dopo, mentre attendeva alle cure della persona, Filippo sentì la noia plumbea per quelle ore che ancora gli toccava di passare a Venezia, per il pranzo dei conti Lombardi, per le chiacchiere insulse alle quali avrebbe dovuto prestare orecchio. Egli era irritato e malcontento. Dopo una colazione quasi sempre silenziosa, perché sua madre cercava ella pure di schivare allusioni ed argomenti spiacevoli, egli uscì, gironzolò qualche tempo in Piazza e sotto le Procuratie, fece parecchi acquisti per Loredana, e quasi senz'accorgersi, camminando lentamente, si trovò nel campiello, innanzi alla casetta bianca della piccola amica.

Egli aveva promesso a Loredana di portar notizie di lei alla sua mamma; e quando rivide la casa, con quelle finestre bifore, alle quali la fanciulla s'affacciava un giorno per salutarlo; e quando sentì la familiarità di quel tranquillo angolo di Venezia, dov'egli veniva per salvarsi dalle omelie della contessa Fausta, per vivere la vita modesta degli altri e dimenticar la propria, inutilmente ricca e fastosa; quando mille ricordi semplici e graditi gli tornarono in folla al pensiero, Filippo non si perdette a riflettere oltre: si avvicinò alla porta, dipinta in verde scuro, con un bel battente di bronzo foggiato ad anello che una testa di leone teneva fra le mandibole; e suonò il campanello.

A una delle finestre si affacciò indi a poco la domestica, piccoletta e nera in viso, che voleva bene alla fanciulla.

Essa fu così stupita alla vista di Filippo, che mandò un'esclamazione:

- Maria a te provveda! Il conte! Il conte! Il conte!...

E d'un subito si mise a correre per la casa, in cerca della signora, gridando a perdifiato:

- Il conte! Il conte! Il conte!

La signora De Carolis, che ora occupata a stirare, accorse tutta meravigliata e tremante; si affacciò alla finestra ella pure, s'assicurò che il visitatore era il conte Vagli, e infine si decise a tirare il cordone. La porta s'aperse, e Filippo entrò.

In alto della scala, proprio sull'ultimo gradino, vide ritta e pallida la signora Emma; la quale, senza rispondere al saluto di lui, scese qualche scalino per abbreviar la distanza, e domandò con voce rauca:

- E Lori, dov'è?

- Sono venuto a portarle sue notizie, - rispose Filippo, salendo con la signora, tuttavia incerto dell'accoglienza. - Sta bene, mi parla sempre di lei.

Passarono innanzi alla domestica, la quale rimaneva a bocca aperta, guardando Filippo con ammirazione attonita.

- Buon dì, Rosa! - egli le disse.

E l'altra fece una riverenza, non potendo esprimere la voglia d'aver notizie della signorina.

La signora Emma e Filippo entrarono in quella saletta dal pavimento a piastrelle bianche e rosse, dove il conte e la fanciulla avevano concertata la fuga; Filippo notò subito, sopra una mensoletta di legno, una figurina di biscuit, che abitualmente era sulla tavola, e che un giorno la ragazza andava girando e rigirando, mentre l'amico le sussurrava all'orecchio parole ardenti d'amore e speranze di giorni felici.Egli prese le mani della signora De Carolis, e le disse con voce malcerta:

- Io devo chiederle perdono. Le ho portato via Loredana, la sua Lori! Ma essa è oggi felice con me. Ho fatto male, ho agito per impulso, ciecamente. Non oso scolparmi, lo vede! Pure, Loredana è felice, e questo non risponde a tutti i suoi dubbi, a tutte le sue paure? La signora scosse tristemente la testa e ritrasse le mani dalle mani di Filippo.

- No, - ella rispose. - Sarebbe felice se potesse andare a fronte alta: ma così, quale umiliazione! Ora non comprende; comprenderà più tardi... È una fanciulla disonorata; non ha nome; e nessuno crederà all'amore. Il mondo è cattivo; sarà accusata d'essersi venduta per vizio o per bisogno... Filippo fece un movimento con la mano, come per protestare.

- Oh, non neghi! - interruppe la signora, il cui volto bianco, dalle occhiaie scure, diceva quante notti tormentose e quante ore d'angoscia aveva passato la povera donna.

Ella sedette sopra un divano, dimenticando di accennare una sedia a Filippo; e proseguì:

- Nessuno di quelli che la conoscono sa ancora nulla; ma il mistero non può durare più a lungo, e il giorno si avvicina in cui dovrò confessare la sua colpa. Che cosa dirò per farla perdonare, o perché gli altri le siano indulgenti? Non aveva la sua mamma che le voleva bene? Forse le mancava qualche cosa, qui, dove io non pensava che a lei? Non voleva sposare quel Gianella maledetto? E io l'avrei aiutata, e io le avrei permesso di scegliersi persona più degna... Ma fuggire, ma diventar l'amante d'un uomo che non potrà mai sposarla, e abbandonare la mamma sua, la casa, tutto e tutti, come una disperata, e rovinare la sua giovinezza!... Sì, è giovane, era inesperta, io mi fidava ciecamente... Io posso assolverla; il mondo riderà di lei e di me, cadute vittime di un falso amico, d'un egoista senza cuore...

Filippo, tuttavia in piedi, col cappello di paglia tra le mani, udendo l'accusa scudisciargli il viso, fece un passo, sentì il viso avvampargli, ma si rattenne e non disse parola. La signora Emma lo guardò, e aggiunse freddamente:

- Si sieda! Mi parli di Lori. Dov'è adesso?

- A Sirmione, - rispose Filippo.

- Verrò a prenderla, - annunziò la signora con voce decisa.

- A prenderla? - esclamò il conte sbalordito.

- Sì, a prenderla. Forse sono ancora in tempo a riparare uno scandalo. Ho detto a chi mi chiedeva di lei che è in campagna. Ebbene, bisogna che da questa campagna Loredana ritorni. Io non confesserò mai mai, che mi è fuggita di casa, capisce? Il suo ritorno, la sua presenza, la ripresa delle nostre abitudini faranno tacere le cattive lingue. Mia figlia è conosciuta da poca gente modesta, che certo non villeggia a Sirmione. Forse sono ancora in tempo a salvarla se Dio mi aiuta. E lei, conte, non si opporrà. Ha commesso un'azione disonesta, non vorrà commetterne una seconda...

- Ma io l'amo, Loredana! - proruppe Filippo. - Non permetterò che me la portino via; io vivo per lei, cerco di renderla felice, mi allontano io pure dal mondo, per dedicare a lei le cure più affettuose, e ho fatto della sua vita la mia.... Non permetterò che me la ritolgano, a nessun costo; non permetterà ella stessa, Loredana, perché mi ama e non domanda nulla a nessuno!

La voce del conte vibrava di tanta sincerità e di tanto affanno, che la signora De Carolis ne fu scossa e lo guardò un istante, presa da esitazione.

- Sono venuto da lei a chiederle perdono, - proseguì Filippo, - a chiederle perdono con una umiltà che non è nelle mie abitudini. E lealmente le ho detto dove viviamo, perché non volevo continuare con lei una finzione antipatica; se l'avessi ingannata, se le avessi detto che viviamo a Roma o a Parigi, ora potrei ridermi delle sue minacce.

S'interruppe e camminò pel lungo e pel largo nella saletta.

- Non me la porterà via! - soggiunse. - A qualunque costo, non me la porterà via!

Appartiene a me, ora, e a nessun'altro al mondo! Non me la porterà via!

La signora De Carolis comprese che non poteva ragionare con un uomo in tale stato d'animo. Filippo aveva le labbra bianche e il suo corpo tremava come scosso da febbre violenta; egli si abbandonò in una poltrona, nascose il volto tra le mani, e stette così, per lungo tempo, in silenzio, agitato sempre da un tremito invincibile.

Emma tacque ella pure, a lungo, guardando l'uomo superbo, ridotto da una parola come uno schiavo o come un mendico, accasciato sotto il peso della sua passione.

- Veda, - cominciò infine la signora. - È necessario! Appunto perché vuol bene a Loredana, la lasci tornare con la sua mamma... Lei si pentirà un giorno di questo rifiuto.

- Non mi pentirò mai! - esclamò Filippo, staccando le mani dal volto.

La signora De Carolis vide che le lagrime solcavano il viso del conte, ebbe un lampo forse di riconoscenza, certo di pietà, ma seppe frenarsi, e continuò, quasi non avesse notato nulla:

- Per parlare come lei parla, bisognerebbe dirmi quale avvenire attende mia figlia. E lei non lo sa, perché l'avvenire di Loredana dipende dal capriccio, dalla volontà, dall'interesse del conte Filippo Vagli, il quale oggi l'ama sinceramente e domani può considerarla un impaccio.... Filippo crollò le spalle, ma la signora aggiunse, senza badargli:

- È possibile che io accetti una situazione simile per mia figlia? Ripeto che forse sono ancora in tempo a impedire uno scandalo enorme; se non mi ingegnassi di riuscirvi, sarei non una madre, ma la più vile, la più spregevole delle donne... Nel turbamento di tutto il suo spirito, Filippo sentiva che la disgrazia aveva dato una lucidità di comprensione, un'energia e una volontà, a quella donnina fragile e dimessa, quali egli non avrebbe mai potuto sospettare. La signora De Carolis aveva il viso pallido tutto rischiarato dalla luce d'una decisione, dalla speranza di salvare la figliuola; Filippo intuì che era impossibile lottare con un sentimento così forte, il quale aveva l'aureola di qualche cosa di sacro. Egli non poteva opporre che le ragioni del suo amore, cioè di un sentimento comune, fatto di egoismo, di concupiscenza, di orgoglio.

Disse lentamente:

- Loredana penserà che io l' ho tradita, che son venuto apposta a Venezia perché lei andasse a ripigliarsela, dopo quindici giorni...

- Oh no, - interruppe la signora Emma, - io saprò parlarle, e le spiegherò come sono avvenute le cose....

Seguì un breve silenzio. Filippo era sempre seduto, con le labbra bianche, gli occhi annebbiati dal pianto: la signora Emma gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla, e disse: - Lei non deve opporsi. Dio aiuta le madri. Se lei non mi facesse trovar più la mia Lori a Sirmione, ebbene, scandalo per scandalo: agirei con la forza, come non ho osato fino ad oggi....

Il conte sollevò il viso a fissare la donna, e rispose brevemente:

- Non minacci!

- No, non minaccio, - disse la signora più calma. - È stato Dio che l' ha mandato, per quest'atto di pentimento e di sincerità....

 

Fine Prima parte Capitolo X

Buona lettura.

 
 
 
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