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L'AMORE DI LOREDANA - dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°213 pubblicato il 14 Febbraio 2013 da ciapessoni.sandro
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L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

 

 

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Venezia – Procuratie.

 

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… seguito PRIMA PARTE

***

… seguito capitolo XIII (seguito del post 212)

Esitò un istante, poi aggiunse con qualche incertezza:

- Ma per Filippo è un'altra cosa; non lo amo di più, lo amo diversamente. E non posso, credimi, abbandonarlo in questo modo... Tu mi hai perdonato, mamma; e sono così felice! Ma non posso abbandonare Filippo senza dirgli una parola... Ah tu non sai come voglio bene a te, come voglio bene a lui! Ho tanto sofferto, pensando a te, che eri sola; non ho mai avuto un giorno di requie; non dirmi che io ti ho dimenticata...

Cautamente, mentre Loredana parlava, Emma le tolse il lungo spillo e le liberò la testa dal cappello, posandolo sulla tavola vicina; poi con la mano leggera le accarezzò i bei capelli dai riflessi dorati.

- Lo so, - disse, - che mi vuoi bene. E per ciò ti ho perdonato. Ma il mio perdono, vedi, non servirà a nulla, se non potrò aiutarti...

- Aiutarmi, come? - interrogò Loredana stupita.

- Nessuno sa che tu sei fuggita col conte. A tutti io ho narrato che sei fuori, in campagna, presso una famiglia amica. La cosa è parsa vera, e non si parla più della tua assenza; ma i giorni passano, e se tu non torni, verrà il momento ch'io dovrò confessare la tua fuga... Hai capito, Lori?

Io dovrò confessare la tua fuga, e tu non potrai più tornare a Venezia, se non vorrai che tutti ti segnino a dito, e ridano di me e di te. Hai capito, Lori? Ecco perché son venuta a prenderti; siamo ancora in tempo; il tuo ritorno sembrerà naturale, e con l'aiuto di Dio, se nulla di peggio avverrà, questa brutta pagina della tua giovinezza sarà un mistero per tutti. Hai capito, Lori?

Loredana tentennò il capo, e si alzò, asciugandosi gli occhi.

- Non me ne importa niente, - disse poi. – Perché devo occuparmi di ciò che si dirà un giorno?... Tu agisci, mamma, come se io un giorno dovessi sposare Adolfo Gianella o qualche altro. Io appartengo a Filippo, e apparterrò sempre a lui. Non si tratta d'una pagina della mia giovinezza; si tratta della mia vita intera, che ho donata a Filippo... Gli altri non esistono più per me.

La madre sospirò, mulinando di pronunziar qualche parola decisiva, e temendo di pronunziarla; fece sedere la fanciulla sulle ginocchia, le fece appoggiar la testa alla sua spalla, e osservò cautamente:

- Dici bene, Lori. Hai dato la tua vita intera al conte. Ma se il conte si stancasse di te, e se tu comprendessi un giorno che gli sei di peso?

Loredana balzò in piedi, guardando sua madre con gli occhi spalancati.

- Non dirlo, mamma! Non lo pensare nemmeno! - esclamò. - Sai qualche cosa tu? Ti hanno raccontato qualche cosa di lui?

Emma allungò le braccia, fece sedere di nuovo la figlia in una poltroncina ch'ella aveva avvicinato; e di nuovo con voce dolce e piana, disse:

- Non so nulla, cara, non mi hanno raccontato nulla. Ma gli uomini sono facili a stancarsi e a mutare....

- Filippo è diverso, sentenziò Loredana prontamente.

- Il conte, - osservò Emma, - gode una posizione privilegiata, ha abitudini signorili; può stancarsi non di te, ma della vita che per te sarà costretto a condurre; forse i parenti gli daranno dei dispiaceri, e, non conoscendoti, giudicheranno che tu sia una donna cattiva. Il conte è ricco, e si fa presto a supporre che una ragazza viva con lui non per amore, ma per calcolo.

Loredana ascoltava inorridita, con le mani strette, fremendo come l'avessero obbligato a piegarsi e a guardare in un gorgo minaccioso, dal quale presto ella doveva essere ingoiata.

- Che cose ripugnanti mi dici, mamma! - esclamò, torcendo istintivamente la bocca.

Ma Emma, sorrise con tristezza, e accarezzò le mani della figlia, bianche, dalle lunghe dita.

- Sono cose vere, di tutti i giorni, - ella disse poi. - Ed è per questo ch'io son venuta a prenderti. Ah, immagina, Lori, che sarebbe di me, se dovessero accusarti non solo di aver gettato il tuo onore, ma di esserti venduta a un ricco! E non pensi che potrebbero sospettare anche di me, come se io avessi visto, compreso e permesso? Io sola conosco la verità; io sola ho udito le tue parole e le parole del conte...

Si morse le labbra, volle aggiustar la frase, ma già Loredana l'aveva afferrata e già di nuovo, con un balzo, era dritta innanzi a sua madre.

- Di Filippo? - gridò. - Hai udito le parole di Filippo? L' hai visto, dunque? È stato da te? Che cosa ti ha detto?... Anch'egli mi ama, non è vero? Me l'aveva promesso, che ti avrebbe fatto giungere mie notizie; ma egli è venuto a trovarti... Vedi come è leale? Se volesse abbandonarmi, se pensasse di potere stancarsi di me, non verrebbe a parlarti... Dimmi quando l' hai veduto; che cosa ti ha detto?

Emma dovette raccontare, e raccontò della visita e del colloquio avuto con Filippo; la fanciulla stava attenta, quasi senza respirare, accompagnando la narrazione di sua madre con brevi cenni del capo; e quando Emma ebbe finito, Loredana tornò a sedersi e restò a lungo muta e cogitabonda.

- Infine, - ella osservò a un tratto, - egli ha acconsentito alla tua idea, e ti ha permesso di venire a prendermi. È molto strano il suo amore...

- Io l' ho persuaso, - disse Emma.

- Oh aveva paura, dunque? - domandò Loredana. - Di che cosa aveva paura? Io non ho avuto paura di nulla, quel giorno...

Tacque nuovamente; a poco a poco l'espressione del suo viso mutava, diventando chiusa e dura, come se uno spasimo contraesse i muscoli del bel volto giovanile; la fronte bianca e fresca fu solcata da una ruga, e le labbra si strinsero, mostrando agli angoli una piega di disgusto. Ella s'alzò.

- Aspettami, - disse. - Mi svesto, indosso il mio vestitino nero, e poi partiamo!

Emma, che aveva colto con l'occhio intento la mutazione rapidissima di quel viso, che aveva notato la inflessione recisa della voce, che vedeva la figlia impallidire, volle seguirla. Loredana entrò nella sua camera da letto, si guardò intorno come avesse sentito tremare il pavimento sotto i piedi; s'avvicinò a un baule per aprirlo; poi si fermò ancora, passandosi una mano sul volto e sulla fronte.

- Ora partiamo, - ella ripeteva. - Ora partiamo. Aspettami.

Ma, d'un tratto, mentre s'inchinava per sollevare il coperchio del baule nel quale conservava il suo povero abito nero, mandò un grido e cadde a terra di schianto.

XIV.

L'albergo fu sossopra; accorsero alle grida della signora De Carolis l'albergatrice e la signora Teobaldi; poi uscirono ambedue, soffiando e galoppando, e tornarono l'una con una bacinella d'acqua fresca, l'altra con una boccetta di sali.

In ginocchio presso la figlia sempre immobile a terra, Emma le aveva slacciato il busto; ma non riusciva a sollevarla. La Teobaldi si provò a darle mano, e mentre s'affannava all'opera pietosa, udì il laceramento del corpetto alla Pompadour, che non aveva potuto resistere agli sforzi inusitati della cantatrice. Allora ella uscì, ancora galoppando, con la faccia color paonazzo, e tornò seguita dall'albergatore; il quale sollevò Loredana come un fuscello, l'adagiò sul letto, e si ritirò subito.

- Lori, - sussurrava la madre, - -Lori, tesoro mio, amore mio...

- -Le faccia fiutar questa boccetta, - consigliò la Teobaldi, - è miracolosa! Povera fantolina; le sarà rimasta la colazione sullo stomaco...

- Ma no, - risposo Emma. - Mi dia dell'acqua fresca.

La Teobaldi recò la bacinella, e con la mano Emma spruzzò il viso della figlia, due, tre volte.

Loredana sospirò infine, profondamente, e il seno bianco si sollevò come per un singulto.

- Lori, - sussurrò Emma, - amore mio, sono qui.

- Ecco, ecco! - esclamò la Teobaldi. - Rinviene; apre gli occhi...

Apriva gli occhi, infatti, Loredana, e li volgeva intorno senza raccapezzarsi; ma incontrò lo sguardo di sua madre e sorrise, allungando una mano per prender la mano di lei. Emma le coprì il viso di baci, piangendo e balbettando parole di tenerezza.

- Che bella scena! - osservò la Teobaldi, colpita nel suo sentimento estetico. - Che bella scena d'amor materno!

Loredana riconobbe la voce, e mormorò a sua madre:

- Mandala via!

Emma si volse.

- Io la ringrazio, signora, - disse alla Teobaldi. - Lei è stata molto gentile....

- Non lo dica, non lo dica, - interruppe Clarice, - io voglio molto bene a sua figlia. Come si fa a non volerle bene?

Si avvicinò al letto e si rivolse a Loredana:

- Sta meglio, signora? Ah, ma com'è bella, così!... È vero che sta meglio? Un po' d'imbarazzo, forse. E poi, nella sua condizione di giovane sposa, un malessere momentaneo può avere tanti significati...

Emma fremette da capo a piedi, quasi fosse stata punta. Quell'udir chiamare sua figlia «giovane sposa», quell'allusione a una maternità possibile, la richiamarono d'improvviso alla realtà senza illusioni.

- Lasciamola, lasciamola, - disse alla Teobaldi, - ha bisogno di riposare, adesso. La ringrazio di nuovo, signora.

La Teobaldi salutò ancora Loredana, salutò Emma, ed uscì tra il fruscìo dell'abito alla Pompadour e della sottana inamidata.

- Non ti spaventare, - disse la fanciulla a sua madre, non appena l'uscio fu chiuso alle spalle della cantatrice. - Sto bene, ora; possiamo partire...

E fece l'atto di scendere, ma Emma la rattenne.

- No, - disse. - Puoi aspettare; partiremo stasera.

Ella avvicinò una poltrona e sedette; Loredana chiuse gli occhi, e per lungo tempo le due donne non pronunziarono verbo, seguendo ciascuna i propri pensieri. Il silenzio era pesante; non risonava nell'albergo alcun rumore, e appena dal basso veniva il mormorio del lago, che lambiva la casa; di tanto in tanto, s'udiva l'ultimo frinire delle cicale, salutanti il sole ch'era presso al tramonto.

A un tratto Loredana volse il capo, e domandò:

- Ti ha detto lui, che io era qui? Ne sei ben sicura, mamma?

- Come potrei ingannarti, amore mio? - rispose Emma.

- E ti ha permesso di venire a prendermi?

- Ha dovuto cedere; ha pianto, ha pregato, ma ha dovuto cedere...

La fanciulla sorrise con amarezza.

- Io, - disse poi, - io non ti avrei detto nulla, se fossi stata Filippo; o se per disgrazia mi fosse avvenuto di dirtelo, sarei partita subito, subito, avrei preso con me colei che amavo, e mi sarei nascosta ben bene. Io avrei fatto così.

Emma non rispose, e vi fu un'altra pausa lunga.

- Ma che cosa fa, a Venezia? - riprese Loredana. - Te lo ha detto?

- No.

- È tornato nella società elegante, - mormorò la fanciulla, quasi parlando con se stessa. - Dice che non può muoversi, perché deve rispondere alle cortesie e agli inviti che gli fanno; e io ero qui, sola, di giorno e di notte, in un paese che non conosco, dove tutti mi guardano in così strana maniera!

Tacque; poi, d'improvviso, domandò:

- Che cosa voleva dire quella sciocca?

- Chi, Lori? - chiese Emma.

- La Teobaldi.

- Non ho udito nulla.

- Ma sì: ha detto che il mio malessere può avere tanti significati...

Emma alzò le spalle con disdegno.

- E una sciocca, lo hai detto, - mormorò.

Verso le otto, pranzarono in silenzio, rapidamente. L'albergatrice, che le serviva ella stessa a tavola, indovinò qualche avvenimento grande, e, chieste notizie della «signora contessa», non domandò altro; poi dispose per avere una carrozza che le conducesse a Desenzano, dove avrebbero preso il treno; e fu stupita, apprendendo che lasciavano i bauli e le valigie.

Era un'idea di Emma, la quale non voleva portarsi a casa i regali e il corredo fatti dal conte a sua figlia.

- Vuol dire che tornano? - osservò l'albergatrice.

- Senza dubbio, - rispose Emma. - In ogni modo, il conte s'incaricherà lui di dare ordini pel bagaglio.

 

Fine prima parte Capitolo XIV

Buona lettura.

 

 

 
 
 
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