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L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°217 pubblicato il 12 Marzo 2013 da ciapessoni.sandro
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L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Paralume

… che rischiara le idee di Adolfo.

 

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… seguito PRIMA PARTE

 

***


… seguito Capitolo XVIII (dal post 216)

 

In anticamera, Adolfo si fermò. Gli giunse, netta e squillante, la voce di Loredana, la quale doveva essere nel salottino; e la fanciulla cantava a distesa, con pieno abbandono, come se tutta la bella gaiezza veneziana, come se tutta l'audacia della giovinezza avessero ripreso il loro dominio. E tra l'una e l'altra strofe del canto s'udiva il rumore delle forbici posate sul tavolino da lavoro o il passo svelto della ragazza, che si muoveva per la camera.

Senza discutere con se stesso, Adolfo spinse la porta, e si trovò alla presenza di Loredana, la quale stava adattando un pezzo di seta gialla a una certa forma di ferro ch'era un paralume da candela; innanzi a sé la fanciulla aveva altri pezzi di stoffa a colori e diversi gomitoli di seta; ed era così assorta nel lavoro e nella canzone, che il giovane dovette chiamarla:

- Loredana!

Ella alzò il capo, e trattenne a stento un grido; ma Adolfo aveva già detto ogni cosa, e non sapeva come continuare, come esprimersi, come riprendere d'un subito le abitudini di padronanza. Sprofondò le mani nelle tasche della giacca, e disse:

- Sei stata l'amante del conte, non è vero? Così, ti preparavi a sposarmi? E non hai vergogna?

Loredana mandò un lampo dagli occhi. Aggredita di fronte, non esitò un attimo a rispondere:

- Io mi preparava a sposar lei? Non mi è mai venuta per la mente un'idea così malinconica, sa? Era la sua famiglia, che mi seccava tutti i giorni per ottenere questo sacrificio. Io non pensava a sposare nessuno...

- Già, volevi conservarti per il conte, - osservò Adolfo con ironia. - Ti sei conservata benissimo, non c'è che dire!

La ragazza arrotondò con le forbici una certa lingua, di seta violetta, che doveva ricadere sul paralume a uno dei quattro angoli; misurò l'altezza, adattò, provò, cambiò, tranquillamente, senza occuparsi del giovane, fremente nell'attesa di una discolpa.

- Non so, - disse poi, - come ha potuto venire fino in casa; ma se per la stessa strada se ne andasse, non mi dispiacerebbe.

- Mi metti alla porta? - esclamò Adolfo. - Invece di scolparti, invece di giurarmi che col conte non c'è stato nulla di nulla, tu mi metti alla porta?

- Scusi, perché dovrei scolparmi? Che cosa rappresenta, lei? Chi è, lei? Che diritto ha lei di giudicarmi?

A queste parole di Loredana, Adolfo si lasciò calare in una poltrona, come annichilito. Chi era, che cosa rappresentava, che diritto aveva?

- Io, - mormorò, - sono pronto a sposarti.

Loredana si mise a ridere.

- Ma non sono pronta io, vede? - rispose, arrotondando un'altra lingua di seta violetti. - E, del resto, la sua dichiarazione mi stupisce: mi crede o non mi crede l'amante di Filippo... del conte?

Adolfo si strinse nelle spalle.

- Me l' hanno detto, - mormorò. - Me l'han detto a casa, che tu sei stata col conte fuori di Venezia.

- E tuttavia mi sposerebbe? - incalzò Loredana.

- Ma perché non ti difendi? - gridò Adolfo balzando in piedi. – Perché non mi dici se sei stata o non sei stata l'amante di colui?...

Egli era avanti al tavolino da lavoro, con le mani aperte e stese dirette al volto di Loredana, la quale lo guardava, piuttosto attonita che intimorita.

- Vede, - ella rispose pacatamente, - innanzi tutto non basta dire a una donna: «Sono pronto a sposarti» per acquistare il diritto di indagarne la vita; poi, io m'ingannerò, ma lei mi sembra disposto a sposarmi in tutti e due i casi, che io sia stata, o che io non sia stata l'amante di Filippo... del conte. E allora, a che pro una discolpa o una confessione?...

Adolfo, il quale era rimasto, ancora con le mani aperte e stese, ad ascoltar la risposta della colpevole, si sentì vinto, e si lasciò calar di nuovo nella poltrona. Egli ritrovava, immutati, l'anima sdegnosa, la sensibilità intellettuale, l'intelligenza acuta, la rapida intuizione, l'orgoglio, il coraggio, che facevano la ragazza tanto superiore a lui. Egli era andato arrovellandosi per sapere che cosa volesse, che cosa intendesse fare, e se lo sentiva dir dalla bocca di Loredana, e doveva riconoscere che quella bocca diceva giusto...

- Non so, - egli riprese, tanto per riattaccare il discorso. - Non so nulla. Ti hanno accusata anche d'aver avuto un figlio e di essertene sbarazzata.

Le forbici, che stavano nella mano della fanciulla, descrissero uno stretto arco nell'aria, e andarono a cadere ai piedi di Adolfo. Il viso di Loredana avvampò di collera, e le labbra le tremarono.

- Mi hanno detto, ti hanno accusata! - ella ripeté , imitando il tono piagnucoloso del giovane; poi esclamò con forza: - E lei, che cosa faceva, che cosa diceva, che cosa raccontava? Stava ad udire, soltanto? Non son tre mesi, lei veniva per casa tutti i giorni e sapeva della mia vita ogni cura, minuto per minuto; e non ha trovato un argomento per difendermi, come amico, come fidanzato?

Bel rispetto avevano di lei quanti venivano a dirle quei complimenti!... E vuole ch'io mi difenda innanzi a un pupazzo del suo genere, e che tremi davanti a un giudice della sua levatura? Non capisce d'essere stupido? Se in casa sua si sparlava della ragazza che doveva un giorno portare il suo nome, lei aveva l'obbligo di farla rispettare, mi sembra! Invece, porta qua tutto il rifiuto dei pettegolezzi, pretende ch'io lo ascolti e vuole sapere anche se, caso mai, avessi avuto un figlio! Non s'avvede, non sente di essere ridicolo?...

- No, ascolta, - interruppe Adolfo, alzando la destra quasi a frenare quel torrente. - Io non voglio sapere nulla...

Ed era, per seguitare, quando la porta, s'aperse e comparve la signora Emma, seguita, da Clarice Teobaldi, col cappellino alla cacciatora.

- Ah, è lei! - disse Emma, vedendo Adolfo, che s'era levato in piedi. - Mi era parso di riconoscere la voce...

Non aggiunse parola per lui; poi si rivolse a Loredana:

- Lori, questa signora dice che tu l'aspettavi...

La fanciulla andò incontro a Clarice e le strinse la mano sorridendo, mentre Adolfo, combattuto tra il desiderio di capire, la convenienza d'andarsene, l'impressione per la gelida accoglienza fattagli dalla signora De Carolis, restava in piedi a guardare or l'una or l'altra delle tre donne.

- Se m'aspettava! - esclamò Clarice, gettando le braccia al collo di Loredana. - Doveva aspettarmi, questo tesoro, perché da tanto tempo desideravo rivederla! Ho sempre nel cuore quella partenza, di sera, con la carrozzella... Lei era così bianca, così debole...

Soggiunse, guardando Emma:

- Già, erano bianche e deboli tutt'e due, madre e figlia...

Loredana disse presto:

- Le presento il signor Adolfo Gianella.

Clarice fece un cenno con la testa, verso Adolfo che s'era avanzato di qualche passo; poi tutti tacquero; Clarice e Loredana sedettero l'una a fianco dell'altra sul divano, come intime amiche, sorridendosi.

- Fa molto caldo a Venezia, - riprese Clarice. - A Verona non abbiamo questo scirocco....

- Sì, fa molto caldo, - confermò Emma, la quale stava sempre a un passo dalla porta, e si augurava che l'uno o l'altra, Adolfo o Clarice, comprendesse la necessità di ritirarsi. Ma erano ostinati ambedue. Adolfo, ormai, aveva ripreso posto nella poltrona, e sembrava deciso a voler seguire la conversazione.

- A Venezia abbiamo poi le zanzare, - egli disse.

- Le zanzare, sì, ma ci sono le zanzariere, - osservò Loredana.

E tacquero di nuovo.

Emma si sentiva morire per quella commedia, meravigliandosi che la sua Lori vi prendesse parte. La buona donna, al ritorno da Sirmione, aveva perduto l'energia e la volontà, soffrendo per la sofferenza della figlia, chiedendosi se il suo intervento non fosse stato inutile di fronte al traboccar della maldicenza, tormentandosi ogni giorno per mille timori, studiando ansiosamente negli occhi di Loredana il pensiero segreto, la segreta ambascia, e rideva quando rideva la sua Lori, e piangeva quando la sua Lori piangeva, e ormai non avrebbe più discusso, non avrebbe più riflettuto, pur di vederla felice, a qualunque costo.

Per ciò, la visita della Teobaldi le era gradita, perché sembrava gradita a Loredana; ma non le piaceva che si dovesse fingere innanzi al Gianella, come se la Teobaldi fosse venuta per tramar qualche intrigo.

- Lei non è di Venezia? - domandò Adolfo a Clarice.

- No; ma conosco bene la città, - rispose l'altra.

Un silenzio pesante ricadde; e allora, comprendendo ch'era impossibile uscirne, Adolfo prese congedo.

- Tornerò, se permette, - disse a Loredana.

Questa non rispose. Egli s'avviò, seguito da Emma, la quale ardeva di sbarazzarsi dell'impaccio per lavorar nella sua camera ad una coperta da letto, nella quale doveva ancora ricamare trenta foglioline in seta verde e sessanta viole del pensiero.

 

XIX.

 

Dal giorno in cui era tornato a Venezia, Filippo aveva passato molte brutte ore. L'onda del pettegolezzo aveva varcato anche la soglia della sua casa, e le chiacchiere s'erano fatte più strambe e più inverosimili. All'orecchio della contessa Bianca giunse la voce che Filippo aveva avuto un figlio dalla sua amante, e perché la contessa non sapeva a qual tempo risalissero quegli amori, e perché si parlava di tre anni addietro, ella credeva a quel legame, ormai indissolubile, a quella paternità inconfessata.

La contessa Bianca andava da tempo accarezzando l'idea d'un matrimonio tra suo figlio e Giselda Fioresi, buona e bella ragazza, di eccellente casata; e la notizia le rompeva il sogno e la sbalestrava in un mare d'incertezze e di dubbi. Fu necessario spiegarsi, riparlar di Loredana, discutere un amore che la vecchia dama avrebbe voluto obliare. Avvenne una scena brusca tra lei e Filippo, il quale negò l'esistenza di un figliuolo, ma s'impennò all'idea di sposar quella «canna da zucchero» di Giselda Fioresi. Egli voleva esser libero; per dare scandalo, diceva la contessa Bianca; perché era ancor troppo giovane, diceva lui.

Un'altra scena, più breve ma più cruda nella forma, avvenne poco di poi tra Filippo e il cognato, conte Leopoldo de Idris, il quale viveva senza passioni e senza turbamenti una vita di piaceri semplici, in campagna, amministrando i suoi poderi, interessandosi all'agricoltura e alla politica modesta della provincia. Leopoldo si stupì che Filippo si perdesse ancora dietro una cocotte, ma fu addirittura spaventato quando seppe dalla bocca di Filippo medesimo che non si trattava d'una cocotte, bensì d'una ragazza, la quale doveva aver dunque delle pretensioni, una specie d'onore, molto da perdere e più ancora da guadagnare. Fu spaventato per Filippo, che certo non avrebbe saputo cavarsela con garbo, senza troppo danno da ambo le parti. E qui Filippo sentì scappar la pazienza.

- Ma che cavarsela! Ma che garbo! - egli esclamò. - Le voglio bene sul serio, e non penso affatto a cavarmela. Ho fatto male a cominciare, siamo d'accordo, benché in queste cose ci si accorga sempre troppo tardi dell'errore commesso; ma farei peggio a finirla con qualche gherminella!

Il conte Leopoldo, ancora più inquieto per quelle dichiarazioni, domandò a Filippo se pensasse mai di tirarsela in casa...

- In casa, di chi? - rispose Filippo. - In casa tua, no di certo; tocca a me provvedere, e non so perché , dunque, voi tutti vi disturbiate.

Leopoldo, allora, tornò alle idee generali, osservando che all'età di Filippo si doveva vivere quieti, pensare a far figliuoli legittimi, che continuassero la casa e allietassero la bella vecchiaia della contessa Bianca, la quale non meritava d'essere travagliata nei suoi ultimi anni. L'argomento era di quelli che trovano la strada del cuore; e Filippo, sentendosi toccato, s'infastidì, rispose a Leopoldo ch'era stufo di dover rendere conto a tutti delle più minute cose della sua vita come un collegiale, che desiderava ormai vivere libero, senza tutela e senza giudici.

 

Fine prima parte Capitolo XIX

Buona lettura

 

 
 
 
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