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Cineforum 2014/2015 | 11 novembre 2014
Post n°210 pubblicato il 10 Novembre 2014 da cineforumborgo
DIETRO I CANDELABRI Titolo originale: Behind the candelabra Virtuoso del pianoforte osannato e strapagato, tra gli anni ‘50 e i ’70, Valentino Liberace, Lee per gli intimi, fu la creatura più incredibile partorita dallo show-biz americano. I suoi spettacoli, quintessenza del kitsch a metà tra il look del ‘glam rock’ e la pura cafonaggine, sono ricostruiti da Steven Soderbergh in un film sorprendente, che prende in contropiede le regole del biopic d’artista: genere molto codificato, come si sa, tendente a procedere per tappe obbligate (la difficile ascesa, la fama, la caduta, il ritorno trionfale...) e per cliché. Niente di tutto questo in “Dietro i candelabri”; che, a rigore, non si può dire neppure un biopic. Liberace, infatti, è osservato attraverso gli occhi di un altro personaggio: Scott Thorson, giovane provinciale orfano che fu suo amante e convivente per cinque anni a partire dal 1977. Bisessuale, Scott ha quarant’anni meno di Lee, ma non è un gigolo che voglia approfittare dell’enorme ricchezza dello showman. All’inizio, anzi, si ritrova disarmato dinanzi al mondo frivolo e luccicante in cui è inaspettatamente immesso; tanto che deve compiere grossi sforzi per adattarvisi. Affascinato dalla personalità dominatrice di Lee, che con i suoi ‘protetti’ si comporta come un Dracula in paillettes, il giovane si lascia plagiare al punto di sottoporsi a un lifting del dottore-macellaio Startz per somigliare al suo mentore da giovane. Anche Liberace, del resto, prova un affetto sincero per Scott, che adotta (quasi) giuridicamente. Salvo poi stancarsi di lui, soppiantarlo con un nuovo ‘toy boy’ e cacciarlo di casa come una scarpa vecchia, deformato dalla chirurgia e succube della droga. A dispetto di ciò il film, sceneggiato da Richard LaGravenese sulla base del libro di memorie di Thorson, è una storia d’amore, intensa e con momenti di inaspettata dolcezza; e in cui la relazione omosessuale è trattata perfino con toni di prosaicità coniugale. Così sembra assurdo che gli studios hollywoodiani lo abbiano considerato ‘troppo gay’, rifiutando di produrlo; tanto che Soderbergh lo ha realizzato per la rete televisiva HBO (in America non è uscito nelle sale, ma si è visto solo in tv; anche se con un’audience eccezionale). La cosa migliore di tutte, però, è l’equilibrio tra il rispetto per i personaggi (tanto più notevole trattandosi di gente dalle vite abnormi) e l’ironia che traversa la maggior parte delle scene; senza scadere nella caricatura ma tenendo la giusta distanza critica tra l’osservatore e il mondo che rappresenta, regno della superficialità e dell’apparenza più estreme. Il contesto sovraccarico e terribilmente volgare in cui evolve la relazione (Liberace si immagina erede di Ludwig II di Baviera e vive in una villa trompe-l’oeil non meno cafona dei palcoscenici di Las Vegas dove si esibisce) non spegne la forza drammatica delle situazioni, che procedendo nel tempo assumono toni più seri e perfino dolorosi. E, alla fine, la rappresentazione di quell’universo artificiale arriva a evocare il cinema di Federico Fellini. D’obbligo spendere una parola sulle interpretazioni, che sono notevoli. Sia quella di Michael Douglas, capace di rendere umano e perfino simpatico un personaggio che, per le sue azioni, potrebbe risultare odioso. Sia quella di Matt Damon, che a quarant’anni suonati accetta la sfida di interpretare uno Scott molto più giovane (quando la relazione ebbe inizio aveva diciott’anni) senza che la cosa risulti mai ridicola. Virtuoso del piano, acclamato showman e per anni indiscussa star dell'Hilton di Las Vegas, Valentino Liberace usava presentarsi in scena sfavillante di lustrini e avvolto in pellicce come fosse una drag-queen. E gay lo era, però guai a scriverlo! Sulla base di una solida sceneggiatura di LaGravenese ispirata alle memorie “Behind the Candelabra” di Scott Thorson - schiavizzato amante dell'entertainer fra il 1976 e l''82 - il film ripercorre le tappe di quell'amore dal corteggiamento alla rottura, con Scott perso nella cocaina e Liberace in cerca di nuove prede prima di scivolare nella morte per Aids (1987). In una dosata miscela di commedia e dramma, la regia di Soderbergh assicura un'impeccabile intelaiatura formale in bilico fra vita e spettacolo, ma il valore assoluto della pellicola prodotta dalla televisiva HBO (e vincitrice di 11 Emmy) è la formidabile personificazione di Michael Douglas, che fra kimoni e parrucche fa emergere dell'istrionico professionista i contraddittori aspetti di genuina gentilezza e spietato calcolo. Nei panni del biondo, giovanissimo Scott, il quarantenne Matt Damon si intona al gioco indossando temerari slip di strass, e grazie ai due attori, la discutibile storia d'amore diventa autentica e persino commovente. STEVEN SODERBERGH
Martedì 18 novembre 2014:
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