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13-Tzameti

Post n°12 pubblicato il 03 Dicembre 2007 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

Regia: Géla Babluani
Soggetto e sceneggiatura: Géla Babluani
Fotografia: Tariel Meliava
Scenografia: Bernard Péault
Interpreti: George Babluani (Sébastien), Pascal Bongard (l’arbitro), Aurélien Recoing (Jacky), Fred Ulysse (Alain), Nicolas Pignon (padrino), Vania Vilers (Mr. Schlondorff), Olga Legrand (M.me Godon), Christophe Van de Velde (Ludo), Augustin Legrand (José), Jo Prestia (Pierre Bléreau), Serge Chambon (organizzatore), Philippe Passon (Jean-François Godon), François Rimbau (flic), Frédéric Epaud (uno scommettitore), François Tissot (gendarme Guillouet), Urbain Cancelier (controllore SNCF), Joseph Malerba (contabile)
Produzione: Géla Babluani, Jean-Baptiste Legrand, Fanny Saadi per Les Films de La Strada/Quasar Pictures
Distribuzione: Teodora Film
Durata: 95’
Origine: Francia, Georgia, 2005

Spiazza il numero tredici: per qualcuno è fortunato, per altri no. In un mondo senza scampo come quello del noir il dubbio dura poco. All'inizio porta bene, ma poi sei fregato lo stesso. Simboli, spettri, icone di un genere che cerca la sua modernità. “13 – Tzameti” del francese di origine georgiana Géla Babluani, racconta di un giovane lattoniere che per caso si sostituisce a un truand morto di overdose per non si sa bene quale affare. Come in una partitura blues, il ragazzo deve solo presentarsi al crocicchio e mostrare il numero fatidico. Accompagnato in una remota località, scopre suo malgrado la macchinazione. È il tredicesimo partecipante a una roulette russa circolare: punti la pistola alla nuca di chi ti sta davanti. Ai sopravvissuti - e ai ricchi annoiati che scommettono su di loro - molti soldi. Ma la mitologia del fallimento ha le sue regole, e anche i vincitori rischiano. Asciuttissimo, con un bianco e nero che nelle intenzioni guarda più a Ejzenstejn che a Melville, il film di Babluani è gelido come una lama di pugnale, eppure non dimentica un certo umanesimo di fondo, per non indurci nella tentazione di pensare ai personaggi come a dei numeri. Quasi un “Hotel” in versione polar, o un “Non si uccidono così anche i cavalli?”, ma ambientato nel milieu. Intenso il protagonista Georges, fratello del regista, e strepitoso come al solito Aurélien Recoing.
Mauro Gervasini, Film TV

Sébastien (Georges Babluani) è un operaio e non naviga nell’oro. Così un giorno accetta di fare delle riparazioni in una villa, un tempo lussuosa, ora in decadenza: neanche la situazione economica dei proprietari deve essere florida. La persona che lo ha assunto infatti non lo paga: a Sébastien non resta che rubare. E sottrae una lettera, che contiene indicazioni misteriose quanto preziose: le tappe di una una strana caccia al tesoro che lo renderà ricchissimo. Può andare liscia una faccenda del genere? Difficile: Sébastien ha imboccato una strada pericolosa, in cui si gioca con la vita degli uomini... Con “13 – Tzameti”, Géla Babluani riesce in una delle operazioni in assoluto più difficili al cinema: semplificare ciò che è tortuoso. I cineasti meno talentuosi cercano di rendere interessanti vicende banali con espedienti posticci e complicati? Babluani, no. Lui taglia, asciuga, sottrae. E dà vita a un film rigoroso, in bianco e nero, nel quale la prospettiva del protagonista invade quella dello spettatore come un alieno che si impossessa di un corpo. E, quando ci si accorge di dove porta il gioco, è oramai troppo tardi: Sébastien non può più tornare indietro. E neanche il pubblico.
Roberta Bottari, Il Messaggero

Giocare/giocarsi la vita… E’ una vera sorpresa questo “13 – Tzameti”, lungometraggio d’esordio del giovane regista di origine georgiana Géla Babluani, un’opera dura, a tratti scioccante, tesa come una corda di violino, una crudele variazione sul tema del caso e della fortuna, ma anche una discesa negli inferi. Sébastien (George Babluani), operaio ventiduenne, si trova invischiato in un assurdo giro di scommesse, uno sporco gioco al massacro in cui la vita è appesa ad un filo. Per quanto egli si sforzi di dominare gli eventi, il suo destino è in balia di fattori imponderabili. Il coraggio, l’esperienza, l’intelligenza contano poco, basta un semplice numero a cambiare tutto: se il 13 porta fortuna, il 12 può rivelarsi fatale, come in una roulette giocata sulla propria pelle. Cinema della crudeltà, si potrebbe dire, ma siamo lontani dalla spettacolarità e dai virtuosismi tecnici di un “Fight club”: Babluani gira in un bianco e nero da film muto sovietico, punta al controllo rigoroso delle immagini, non indugia in dialoghi e ragionamenti pseudofilosofici, non dà spazio alla musica, la colonna sonora è tutta fatta di ansimi, tremori, brusii indistinti. Se da un lato conferisce profondità agli spazi, giocando sul contrasto luce/tenebra, dall’altro imprigiona i volti dei suoi personaggi in una bidimensionalità astratta: siamo di fronte a vere e proprie maschere, prive di uno spessore psicologico, marionette in balia di un caso invisibile e in preda a sentimenti primari, come la paura, l’avidità, l’istinto di sopravvivenza. In più di un’occasione, il rigore ascetico della regia e lo sguardo fisso, inespressivo del protagonista sembrano guardare a Bresson. E come in ogni film del regista francese, anche qui tutto assurge alla dimensione di una parabola sul destino umano, tutto si gioca sul contrasto libertà-caso. Un ritmo tutto diverso, in cui manca la dimensione trascendentale, ultraterrena, è vero… ma l’immagine finale, quel volto di Sébastien che sembra quasi dormire tranquillo, appare come il segno di una pace finalmente raggiunta.
Aldo Spiniello, Sentieri Selvaggi

 

 

 

 
 
 
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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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