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Cineforum - 10 marzo 2009

Post n°56 pubblicato il 04 Marzo 2009 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

L’ETÀ BARBARICA

Titolo originale: L'âge des ténèbres
Regia: Denys Arcand
Sceneggiatura: Denys Arcand
Fotografia: Guy Dufaux
Musiche: Philippe Miller
Montaggio: Isabelle Dedieu
Scenografia: François Séguin
Arredamento: Suzanne Cloutier, Sylvie Desmarais
Costumi: Judy Jonker
Effetti: Richard Martin (III), Thierry Delattre, Guillaume Murray, Hybride Technologies
Interpreti: Marc Labrèche (Jean-Marc Leblanc), Diane Kruger (Véronica Star), Sylvie Léonard (Sylvie Cormier-LeBlanc), Caroline Néron (Carole Bigras-Bourque), Rufus Wainwright (poeta cantante/giovane principe), Macha Grenon (Béatrice di Savoia), Emma de Caunes (Karine Tendance), Didier Lucien (William Chérubin), Rosalie Julien (Laurence Métivier), Jean-René Ouellet (San Bernardo di Chiaravalle), André Robitaille (Gilles Sansregret), Hugo Giroux (Thorvald il Vichingo), Elizabeth Lesieur (Nicole Pâquet-Plourde), Chantal Lacroix (Lucie), Pauline Martin (sig.ra Sigouin-Wong), Pierre Curzi (Pierre), Bernard Pivot (sé stesso), Thierry Ardisson (sé stesso), Johanne-Marie Tremblay (Constance Lazure), Véronique Cloutier (Line), Laurent Baffie (sé stesso), Gilles Pelletier (Raymond Leclerc)
Produzione: Daniel Louis, Denise Robert per Cinémaginaire Inc./Mon Voisin
Distribuzione: BIM
Durata: 110’
Origine: Canada, 2007

Come spesso avviene nel cinema di Denys Arcand, il titolo rinnega l’ambientazione. “Il declino dell’impero americano”, “Jesus of Montreal” e “Le invasioni barbariche”, e quest’ultimo “L’età barbarica” (titolo scelto dalla distribuzione italiana probabilmente per richiamare il successo del film precedente anche se in originale si intitola in realtà “L’âge des ténèbres”) prefigurano spesso un immaginario passato remoto mentre in realtà si tratta spesso di vicende che si svolgono nei giorni d’oggi. Forse la contemporaneità è vista da Arcand come qualcosa di apocalittico e quindi ci si potrebbe immaginare che lui possa guardare alla transizione temporale tra il XX° e il XXI° secolo da lontano, come se si trovasse catapultato già in avanti nel tempo, come se vivesse nel mondo che ci sarà tra 200 anni.
Al centro di “L’età barbarica” c’è Jean-Marc Leblanc (Marc Labrèche), un uomo che vive a disagio con il proprio presente ed è continuamente sospeso in un universo tra la realtà e l’immaginazione. Lui è un ‘uomo senza storia’. Va raramente a trovare la madre malata, la moglie è una donna in carriera che non lo considera nemmeno, le figlie sentono la musica o parlano al telefonino quando lui le accompagna a scuola, sul lavoro è un impiegato mediocre che fuma clandestinamente sul terrazzo esterno assieme ad altri due colleghi. Jean-Marc però ha un’altra vita: scrittore di successo, amatore irresistibile, cavaliere medievale.
Con “L’età barbarica” Arcand disegna un efficace ritratto sulla solitudine, in un film anche folle, che tocca le derive più tangenziali di un cinema dell’alienazione e, contemporaneamente, del genere fantastico. Rispetto al corale e sopravvalutato “Le invasioni barbariche”, in cui i sentimenti erano soprattutto il risultato di una scrittura preconfezionata, in “L’età barbarica” Arcand realizza un film più umile e decisamente più ‘umano’: l’impassibile monotonia con cui parla con gli utenti sul posto di lavoro, quella sua volontaria assenza con la famiglia contrastano con un mondo in cui convive con i propri fantasmi, con le sue molteplici personalità. Arcand ha anche la fortuna di poter contare su quell’apparente impassibilità del volto di Marc Labrèche, una specie di comico stralunato che vive passivamente gran parte delle situazioni della sua vita. Ci sono delle intuizioni dove il comico si sposta forse con troppa disinvoltura nelle zone dell’assurdo (Jean-Marc vestito da samurai che taglia la testa al suo capo), ma la pellicola possiede anche delle altre idee azzeccate come la sequenza del torneo medievale. Restano soprattutto due momenti in cui questa bella e disequilibrata commedia riesce da un punto di vista emotivo in maniera semplice e sincera: il pianto di Jean-Marc dopo la morte della madre, e quella leggera carezza sul volto della figlia quando la sua famiglia gli porta i bagagli nel cottage dove si è trasferito.
Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi

A parte il fatto che trattasi del Canada di lingua francese, cos'altro sapremmo del Quebec - strano paese al contempo provinciale e multiculturale, legato alla culla europea e insieme privo di appartenenza - se non fosse per l'arte di scrittori come Mavis Gallant e Mordecai Richler, o di un cineasta come Denys Arcand? Autore (è sceneggiatore e regista) di commedie che tra guizzi surreali e metafisici rispecchiano con graffiante ironia vizi e storture della società di Montreal. Terzo capitolo di un'ideale trilogia iniziata con “Il declino dell'impero americano” e proseguita con “Le invasioni barbariche” (vincitore dell'Oscar al film straniero e il migliore della serie), “L'età barbarica” è ancora una volta la satira di un mondo che si incammina a occhi bendati verso un nuovo Medio Evo, visto attraverso gli occhi di un mite impiegato statale della sezione reclami.
Frustrato sul lavoro - sa di non poter in alcun modo sanare le ingiustizie della giustizia di cui sono vittime i suoi concittadini - e fallito come marito e padre, il lunare Jean-Marc (Marc Labrèche, bravissimo attore di esperienza televisiva) cerca quotidiano rifugio nel sogno a occhi aperti di essere un personaggio di successo: uno scrittore, un politico, un attore circondato da belle donne (fra cui Diane Kruger), vogliose al contrario della moglie carrierista non solo di far sesso, ma di offrirgli comprensione e tenerezza.
Questo aspetto alla “Sogni proibiti”, dal titolo di un delizioso vecchio film con Danny Kaye, prima diverte poi diventa un po' stucchevole perché qui lo stile si banalizza. Ma in un riuscito miscuglio di umorismo, malinconia e allarme, Arcand ritrova il tono giusto quando, bruscamente risvegliato dalle sue fantasie, Jean-Marc è costretto a confrontarsi con una realtà disumanizzata, dove dominano la stupidaggine della burocrazia, del politicamente corretto, di una vita affettiva alienata in un ambiente sempre più a rischio di virus, malattie e guerre. Il tutto si svolge nella cornice di una Montreal kafkiana, ma è evidente che la neo-barbarie è problema che riguarda l'intero mondo occidentale; e se salvezza ci sarà, verrà non dal sogno bensì da una fuga verso qualcos'altro. Nel finale del film è l'approdo a una natura incontaminata a suonare come un segnale di speranza.
Alessandra Levantesi, La Stampa

DENYS ARCAND
Filmografia:
Il declino dell'impero americano (1986), Jésus of Montréal  (1988), La natura ambigua dell'amore (1993), Stardom (2000), Le invasioni barbariche (2002), L’età barbarica (2007)

 

 

 
 
 
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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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