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Stagione 2019/2020 | 11 febbraio 2020

 

L'UOMO FEDELE

Titolo originale: L'homme fidèle
Regia: Louis Garrel
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Louis Garrel, Florence Seyvos (collaborazione)
Fotografia: Irina Lubtchansky
Montaggio: Joëlle Hache
Scenografia: Jean Rabasse
Costumi: Barbara Loison
Suono: Julien Sicart
Interpreti: Louis Garrel (Abel), Laetitia Casta (Marianne), Lily-Rose Depp (Ève), Joseph Engel (Joseph), Diane Courseille (Ève a 13 anni), Vladislav Galard (dottor Pivoine), Bakary Sangaré (proprietario del ristorante), Kiara Carrière, Dali Benssalah, Arthur Igual
Produzione: Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat per Why Not Productions
Distribuzione: Europictures
Durata: 75’
Origine: Francia, 2018
Data uscita: 11 aprile 2019

Otto anni dopo essersi lasciati, Abel e Marianne si ritrovano al funerale di Paul, il miglior amico di lui. Questo tragico evento si rivela in realtà di buon auspicio: Abel e Marianne tornano insieme. Così facendo, però, suscitano la gelosia di Joseph, il figlio di Marianne, e soprattutto di Eve, la sorella di Paul da sempre segretamente innamorata di Abel.
Il prologo del film possiede la grazia arguta e un po' desueta di quei cortometraggi con cui, sul finire degli anni Cinquanta, Truffaut e compagni andavano facendosi le ossa (penso, ad esempio, a “Charlotte et son Jules” di Godard).
Abel vive con Marianne, la donna che ama. Lei gli annuncia di aspettare un bambino, non da lui ma dal suo amico Paul, con il quale ha deciso di convolare a nozze. Abel rimane basito (il suo volto ha l'espressione attonita di Jean-Pierre Léad). Esce di casa e ruzzola giù dalle scale.
Otto anni dopo l'uomo ritrova l'ex amante in occasione del funerale del marito. I due tornano a stare insieme. Abel deve però difendersi dalle attenzioni di Ève, la donna tentatrice, e fronteggiare l'ostilità del figlio di Marianne, Joseph (che nel film è figura simbolica del divieto, nonché deus ex machina che sorveglia le relazioni tra gli adulti, ne mina le certezze e ne condiziona le scelte). Si viene a delineare, per il protagonista, un laborioso itinerario di ricerca interiore durante il quale egli sarà indotto a interrogarsi sul mistero del femminile, un tragitto tortuoso (Marianne spingerà subdolamente Abel ad andare a letto con Ève per poterlo poi conquistare definitivamente per sé) che gli consentirà infine di dare un senso nuovo alla propria esistenza.
Le esitazioni, gli affanni e le paure della vita di coppia, i disamori, i tradimenti, gli abbandoni, i traumi della rottura amorosa, i rapporti tra genitori e figli: sono questi da sempre i temi al centro della produzione di Philippe Garrel. E sono i temi che ritornano in questo secondo lungometraggio, come regista, di Louis Garrel (il suo film d'esordio, “Les deux amis”, del 2015, era anch'esso incentrato su un triangolo amoroso), privati però delle estremità drammatiche (e linguistiche) del cinema del padre, dei suoi accenti più gravi e dolenti.
Garrel figlio non appare interessato alla dimensione del tragico, alla registrazione della sofferenza, ma opta per la leggerezza aerea e lo humour. “L'uomo fedele” conserva la levità festosa, l'eleganza sottilmente beffarda, l'agile tessitura ritmica di un vaudeville d'altri tempi. A contare, nel film, è soprattutto il taglio burlesco e caricaturale del racconto. Racconto che nella sua studiatissima orchestrazione narrativa (alla sceneggiatura c'è un certo Jean-Claude Carrière) sembra voler virare talora verso le atmosfere del giallo (Joseph arriva a insinuare che la madre possa aver avvelenato il marito).
Si sente che Garrel ha ben assimilato la lezione dei maestri della Nouvelle Vague. E se le coloriture thriller della vicenda possono far pensare a Chabrol, lo sviluppo del triangolo amoroso, il discorso sul desiderio, il rapporto con il femminile rimandano al cinema di Rohmer, il Rohmer dei “Racconti morali” o di “Un ragazzo, tre ragazze”.
L'uomo fedele del titolo è un giovanotto vulnerabile, maldestro e irresoluto (persino al ristorante non sa decidere tra i piatti del menu), incapace di conservare il controllo sugli eventi che pur lo riguardano, e di relazionarsi, in modo adulto, con un femminile che, ai suoi occhi, si rivela un universo enigmatico e sfuggente (e proprio per questo ammaliante). Le due donne che nel film si contendono l'uomo oggetto, nel riproporre e aggiornare i ruoli dell’‘eletta’ e della ‘seduttrice’ che erano propri dei “Racconti morali” rohmeriani, esibiscono i volti antitetici e pur complementari di una femminilità inquietante nella sua gelida determinazione. Esse non subiscono le esitazioni del maschio, ma le sfruttano a proprio vantaggio ricorrendo alla manipolazione e all'inganno. Abel, l'uomo fedele in amore ma irresoluto nelle sue scelte, dovrà giocoforza consegnarsi nelle mani di un femminile indomito e vittorioso. E nella sua sottomissione troverà paradossalmente la salvezza.
Nicola Rossello, Cineforum

Louis Garrel è fedele: al suo personaggio abulico e impacciato, già vertice smussato di un altro triangolo amoroso nell’esordio “Les deux amis”, con un nome proprio - Abel - che resiste film dopo film a svariate traversie sentimentali, come un novello Antoine Doinel. Ma soprattutto è fedele allo spirito del tempo che aleggia intorno al Maggio francese, che Garrel figlio respira da bambino nei lavori più politici del padre, riscrive da ragazzo insieme a un altro maestro irregolare (“The Dreamers”) e infine reincarna, in un’operazione necrofila e sfrontata, da grande (“Il mio Godard”). Naturalmente, della nouvelle vague vengono meno la limpidezza ideologica e la radicalità della riflessione sulla forma, incatenate a una stagione culturale e a un contesto sociopolitico difficilmente ripetibili. Ma alcuni temi ritornano: uno su tutti il gioco delle coppie (questa volta per davvero), e il ménage à trois, che lega Marianne ed Ève come nipotine capricciose di Jules e Jim. Di Truffaut, poi, riecheggiano anche i toni dolceamari, il punto e il contrappunto: da una parte le voci narranti romanzesche - addirittura tre, una per lui, una per lei, una per l’altra - e i violini, che fanno il verso agli adagi malinconici di Delerue; dall’altra un’ironia giocosa e strisciante che presto ne smentisce le pretese (e qui c’è, forse, lo zampino di Carrière, sceneggiatore dei Buñuel più iconoclasti e paradossali). Ogni dichiarazione d’amore, ogni concessione all’intimità, ogni scena madre contiene, al suo interno, la chiave per un’autoparodia briosa, mentre Abel, Marianne ed Ève non sono che marionette smarrite nel tourbillon de la vie.
Maria Sole Colombo, Film Tv

LOUIS GARREL
Filmografia:
Due amici (2015), L’uomo fedele (2018)

Martedì 18 febbraio 2020:
TROPPA GRAZIA di Gianni Zanasi, con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron, Carlotta Natoli

 

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