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Messaggi di Febbraio 2016

Cineforum 2015/2016 | 16 febbraio 2016

Post n°267 pubblicato il 12 Febbraio 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

CLASS ENEMY

Titolo originale: Razredni sovraznik
Regia
: Rok Bicek
Sceneggiatura
: Nejc Gazvoda, Rok Bicek, Janez Lapajne
Fotografia
: Fabio Stoll
Montaggio
: Janez Lapajne, Rok Bicek
Scenografia
: Danijel Modrej
Costumi
: Bistra Borak
Interpreti
: Igor Samobor (Robert), Natasa Barbara Gracner (Zdenka), Tjasa Zeleznik (Sasa), Masa Derganc (Nusa), Robert Prebil (Matjat), Voranc Boh (Luka), Jan Zupancic (Tadej), Dasa Cupevski (Sabina), Doroteja Nadrah (Mojca), Spela Novak (Spela), Pia Korbar (Marusa), Dan David Mrevlje Natlacen (Primoz), Jan Vrhovnik (Nik), Kangjing Qiu (Chang), Estera Dvornik (Sonja), Peter Teichmeister (bidello)
Produzione
: Aiken Veronika Prosenc, Janez Lapajne per Triglav Film, in coproduzione con Slovenski Filmski Center
Distribuzione
: Tucker Film
Durata
: 112'
Origine
: Slovenia, 2013
Premio Fedora come miglior film della 28. Settimana della Critica (Venezia, 2013)

In un liceo sloveno, le relazioni tra il nuovo professore di tedesco e i suoi studenti si complicano quanto più vengono a galla le diversità inconciliabili fra i loro modi di intendere la vita. In seguito al suicidio di una studentessa, i compagni accusano l'insegnante di avere una forte responsabilità nella morte della ragazza. Il clima di tensione generato dalla grave accusa dà così vita a opposte dinamiche dai confini sempre più sfuggenti.
Con una sintesi piuttosto grezza ma efficace - «Ieri gli studenti avevano paura dei professori, oggi i professori hanno paura degli studenti. Benvenuto nel 21esimo secolo!» - la preside del liceo dove è ambientato “Class Enemy” sintetizza il rapporto di forze con cui si fronteggiano allievi e docenti. E con cui si confronta anche il film dell’esordiente sloveno Rok Bicek, presentato l’anno scorso alla settimana della critica di Venezia, dove ha vinto il premio del pubblico Fedora, e presentato ufficialmente quest’anno dalla Slovenia all’Oscar per il miglior film straniero.
È un continuo e sfibrante braccio di ferro quello che si instaura in classe (una generica quarta di un generico liceo sloveno) tra chi sta nei banchi e chi in cattedra, che poi riverbera e trova nuova eco sul terreno culturale e su quello dei comportamenti, accompagnando lo spettatore dentro una specie di spirale dove risentimenti, frustrazioni, certezze e preconcetti si mescolano in una miscela micidiale. A far da detonatore è l’arrivo, ad anno scolastico iniziato, di un nuovo professore di tedesco, Robert Zupan (Igor Samobor). L’affabile insegnante di ruolo va in concedo di maternità e viene sostituita da un collega che è tutto l’opposto: freddo, autoritario, chiuso al dialogo e soprattutto molto più severo. Così almeno appare alla classe che coagula intorno a lui i tanti problemi con cui hanno a che fare i ragazzi, da chi ha appena perso la madre e non sa darsene pace, a chi pensa solo alla musica e agli spinelli, a chi si preoccupa soltanto del voto. Tutti comunque sembrano avere una propensione per le insinuazioni: basta scoprire una volta Robert che ascolta la giovane Sabina (Daša Cupevski) suonare il pianoforte perché le ipotesi più fantasiose (e meno rispettose) comincino a prendere forma. Ma le calunnie diventano accuse aperte quando Sabina, senza apparente motivo, si suicida: tutti i suoi compagni di classe sono pronti a giurare sulle colpe del professor Zupan che il giorno prima aveva avuto con l’allieva un duro confronto. Ma dopo aver messo lo spettatore di fronte alle «forze» in campo con il massimo di oggettività possibile, il film continua a registrare lo scontro sempre più acceso senza voler tifare per alcuno dei contendenti. Da una parte i compagni di Sabina che sicuri delle loro idee (per loro Zupan è «un nazi») cavalcano lo sgomento generale per il suicidio accusando l’insegnante in modi sempre più espliciti; dall’altro il professore è convinto che il suo unico dovere sia quello di insegnare e per questo filtra tutto - scontri, tensioni, elaborazioni - attraverso la sua materia, a cominciare dal Tonio Kröger di Mann e dal suo complicato rapporto col figlio suicida. La scommessa (vinta) del 29enne regista è quella di non parteggiare per nessuno e di mostrare i due campi avversi come treni destinati a scontarsi inevitabilmente, mentre tutt’intorno genitori, preside e psicologa scolastica (a cui la sceneggiatura ha riservato con una certa cattiveria il ruolo più ingrato e frustrante) sembrano preoccupati solo di inseguire il proprio tornaconto e non scalfire l’accomodante immagine pubblica dell’istituto. Il risultato è quello di un universo scolastico che diventa specchio del mondo che lo circonda, costruito con controllati piani sequenza e intensi primi piani dove si riflette un po’ lo sguardo sociale del regista («Sloveni, se non uccidete voi stessi, uccidete gli altri», dice l’unico alunno straniero della classe), ma dove emerge soprattutto la voglia di sottolineare il rischio che nasce dall’essere troppo sicuri delle proprie idee. Lo sono i ragazzi, costretti a fare i conti con la propria superficialità (quando non cattiveria e qualunquismo) e spinti a scoprire che Sabina aveva ben altre ragioni per il suo gesto, ma lo è anche il professore che alla fine del film appare meno tetragono e ‘disumano’ ma che sembra comunque non voler capire che l’insegnamento non è solo trasmettere nozioni. Lasciando alla fine tutti sconfitti e però avendo offerto allo spettatore lo spunto per cercare dentro di sé il proprio ‘nemico di classe’.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Dalla Slovenia un film teso, coinvolgente e significativo. Il professor Zupan è il nuovo insegnante di tedesco in un liceo, chiamato a sostituire una collega rimasta incinta. Austero, poco cordiale, colto sino all’apparente disprezzo, non ha certo l’atteggiamento giusto per accattivarsi le simpatie degli allievi, già poco amalgamati e uniti tra loro. Quando una sua studentessa si uccide, molti suoi compagni in cerca di una spiegazione e già maldisposti, cominciano ad accusarlo di aver provocato il suicidio, sino a scatenare una clamorosa e dura contestazione. Come potrà difendersi, tenendo conto che oltretutto il corpo docente non sembra voler solidarizzare con lui?
Accusa uno studente (coreano): «Voi sloveni! Se non vi ammazzate vi uccidete tra di voi!». Un microcosmo sociale in crisi, perfetto specchio di una società in generale. Come conferma il giovane e lucido regista Rok Bicek: «Ho concepito la scuola del film a immagine del mio paese e la Slovenia è una micro Europa». Tensioni, contrapposizioni sociali, ipocrisie ed esplosioni di violenza, un dramma ‘esemplare’ che l’autore racconta senza punti di vista preconcetti, ponendosi quasi all’interno della storia. E, fatto ancor più degno di nota, è riuscito a tenere insieme, con impressionante maturità, forma artistica e contenuti, lavorando con un budget esiguo (380 mila euro più le attrezzature) e con un mix artistico di professionisti (perlopiù i professori) e dilettanti al debutto (i ragazzi, tutti clamorosamente intensi e senza cedimenti).
A Venezia lo scorso anno ha raccolto consenso e premi, così come in altri festival internazionali. Sperando di non ‘tirargliela’, diremmo che si è qui rivelato un cineasta da seguire con grande attenzione.
Massimo Lastrucci, Ciak

ROK BICEK
Filmografia:
Class Enemy (2013)

Martedì 23 febbraio 2016:
DUE GIORNI, UNA NOTTE
di Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Groyne, Simon Caudry, Catherine Salée

 

 
 
 
 
 

Evento speciale fuori abbonamento! Cineforum 2015/2016 | 11 febbraio 2016

Post n°265 pubblicato il 04 Febbraio 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

IL GRANDE DITTATORE

Titolo originale: The Great Dictator
Regia
: Charlie Chaplin
Soggetto
: Charlie Chaplin
Sceneggiatura
: Charlie Chaplin
Fotografia
: Roland Totheroh, Karl Struss
Musiche
: Charlie Chaplin, Meredith Willson - Brani di Richard Wagner, Johannes Brahms e Luigi Boccherini.
Montaggio
: Willard Nico
Scenografia
: J. Russell Spencer
Arredamento
: Edward G. Boyle
Costumi
: Ted Tetrick, Wyn Ritchie
Effetti
: Ralph Hammeras, Jack Cosgrove
Interpreti
: Charlie Chaplin (barbiere ebreo/Adenoid Hynkel), Jack Oakie (Benzino Napaloni), Reginald Gardiner (Schultz), Henry Daniell (Garbitsch), Billy Gilbert (Herring), Grace Hayle (Madame Napaloni), Carter De Haven (ambasciatore), Paulette Goddard (Hannah), Maurice Moscovich (sig. Jaeckel), Emma Dunn (sig.ra Jaeckel), Bernard Gorcey (sig. Mann), Paul Weigel (sig. Agar), Chester Conklin (cliente barbiere), Esther Michelson (donna ebrea), Hank Mann (camicia bruna), Robert O. Davis (ufficiale tedesco), Eddie Dunn (camicia bruna), Nita Pike (segretaria), Peter Lynn (comandante camicie brune), Eddie Gribbon (camicia bruna), Florence Wright (segretaria bionda), Leo White (barbiere di Hynkel), Lucien Prival (ufficiale), Richard Alexander (camicia bruna)
Produzione
: Charles Chaplin Productions
Distribuzione
: United Artists (1945), BIM (2002), Il Cinema Ritrovato-Cineteca di Bologna (2015)
Durata
: 126'
Origine
: U.S.A., 1940
Prima proiezione: 15 ottobre 1940, Capitol e Astor Theatres, New York

Un barbiere ebreo che in seguito a ferite riportate nella guerra mondiale del 1915-18 aveva perso la memoria, dopo molti anni di degenza in un ospedale ritorna nella sua città in Germania dove riapre il proprio negozio. Nel frattempo, però, il dittatore che governa il Paese ha iniziato una feroce lotta contro gli ebrei e il malcapitato deve subire una marea di soprusi. Aiutato da una povera fanciulla sua correligionaria per la quale nutre sentimenti di affetto, il barbiere fa subire spesso ai ridicoli e inumani sgherri del dittatore - tratteggiato con sapida caricatura - dei gustosi smacchi.
Il Grande Dittatore” di Charlie Chaplin come non si era mai visto. E’ quello che è tornato nelle sale (…), restaurato e restituito alla sua versione originale, per lingua e metraggio, grazie alla Cineteca di Bologna. In sala e in dvd, in un cofanetto che affianca al capolavoro chapliniano un intero disco di extra ricco di materiali e documentari inediti oltre a un prezioso libretto illustrato, curato con la passione e il rigore di sempre da Cecilia Cenciarelli, responsabile per la stessa Cineteca dello sterminato Archivio Chaplin che gli eredi hanno affidato più di dieci anni fa all'istituzione bolognese e da cui continuano a scaturire sempre nuove sorprese. Un doppio appuntamento davvero da non perdere, dunque. Perché da tempo “The Great Dictator” non si vedeva in condizioni cosi accurate. E nessun film forse merita un attento inquadramento storico quanto questo capolavoro del comico, concepito, elaborato e infine realizzato in mezzo alla più spaventosa tempesta del Novecento. Non tutti sanno infatti che nella laboriosa gestazione de “Il Grande Dittatore” c'è anche il progetto a lungo accarezzato di un film su Napoleone, accantonato da Chaplin per dedicarsi a quella che sulle prime sembrava una pura follia. Un film - comico - su Hitler, l'uomo che stava incendiando il mondo, basato sull'indiscutibile somiglianza fra il dittatore e l'attore, commentata sulla stampa fin dai tempi dell'ascesa di Hitler («Mi ha rubato i baffetti», sosteneva Chaplin, e altrettanto diceva - mentendo - il Führer, che per un capriccio del destino era nato esattamente 4 giorni dopo il grande cineasta inglese, il 20 aprile 1889). A suggerire l'idea di puntare sulla loro somiglianza sviluppando una trama basata sul classico scambio di persona pare sia stato il produttore Alexander Korda. Ma Chaplin non prese certo le cose alla leggera, e come avrebbe potuto? Il primo titolo, “The Dictator”, fu depositato il 12 novembre 1938, tre giorni dopo la famigerata Notte dei Cristalli. Il primo ciak, sul set del ghetto, venne battuto quasi un anno più tardi, il 9 settembre 1939, otto giorni dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel frattempo l'autore di “Tempi moderni” (ovviamente proibito a suo tempo da Hitler) accumulò una tale mole di ricerche, idee, spunti, gag, che il vero problema si rivelò quello di cercare una solida coerenza drammaturgica. “Il Grande Dittatore” sarebbe stato infatti il primo film di Chaplin pianificato al dettaglio. I soli momenti lasciati all'improvvisazione furono quelli da cui nacquero alcune tra le scene più celebri, come la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms, il comizio di Hynkel in grammelot. E naturalmente, almeno in parte, la danza del dittatore con il mappamondo sul preludio del Lohengrin, una delle scene più belle e insieme irresistibili della storia del cinema. Per il resto Chaplin, che prima di scrivere aveva passato mesi a visionare materiali d'attualità su Adolf Hitler/Adenoid Hynkel e Benito Mussolini/Benzino Napaloni, riscrisse, limò, rigirò, eliminò intere parti del film. Tra cui quelle, in una prima stesura molto sviluppate, ambientate in un campo di concentramento che era una specie di versione ‘al quadrato’ dei luoghi miserabili ma pieni di umanità visti in tanti film di Charlot. A film uscito Chaplin avrebbe ripetuto più volte che non avrebbe girato un metro di pellicola se avesse saputo cosa accadeva davvero nei lager nazisti. L'ingenuità di queste scene, in parte girate ma non montate (…), prova se ce ne fosse bisogno la sua buona fede. Ma anche l'inesauribile creatività di un uomo che Hollywood aveva guardato sempre con sospetto continuando a considerarlo un ‘alieno’, e non solo nel senso di straniero, come risulta dalle migliaia di pagine accumulate su di lui dal FBI fin dal 1922. Gli ostacoli da superare per realizzare “Il Grande Dittatore” non erano infatti solo di natura artistica o morale. Accanto ai tanti scrittori e registi europei antifascisti fuggiti sulla famosa linea Vienna-Berlino-Hollywood, c'era infatti una Hollywood silenziosamente ma concretamente collaborazionista che per non perdere il lucroso mercato tedesco arrivava, attraverso il Will Hays inventore del codice di autocensura eponimo, a collaborare col console di Hitler a Las Angeles. Solo l'ostinazione e l'indipendenza anche economica di Chaplin gli permisero di portare a termine un film che molti tentarono di boicottare dai due lati dell'Atlantico, magari insinuando che poteva nuocere alla causa ebraica (causa a cui Chaplin avrebbe devoluto tutti i proventi europei).
Difficile pensare, oggi, che il vibrante discorso del gran finale, in buona parte ispirato agli interventi e agli scritti pacifisti di Einstein, avrebbe potuto non impressionare mai la pellicola. Ma fa male anche pensare che, forse per ottime ragioni, Chaplin eliminò dalla sceneggiatura finale tutta la parte dedicata alla moglie di Hynkel, un'americana sfacciata, vistosa, nonché segretamente ebrea, che trattava a pesci in faccia il dittatore e avrebbe avuto il volto e la verve di Fanny Brice, la leggendaria comica anni Trenta che molto tempo dopo avrebbe ispirato il film “Funny Girl” con Barbra Streisand. La Storia probabilmente è stata buona consigliera, Ma dio solo sa cosa ci siamo persi.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

Martedì 16 febbraio 2016:
CLASS ENEMY
di Rok Bicek, con Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleznik, Masa Derganc

 

 
 
 
 
 

Cineforum 2015/2016 | 9 febbraio 2016

Post n°263 pubblicato il 03 Febbraio 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

LA FAMIGLIA BÉLIER

Titolo originale: La famille Bélier
Regia
: Eric Lartigau
Soggetto
: Victoria Bedos
Sceneggiatura
: Victoria Bedos, Stanislas Carré de Malberg, Eric Lartigau (adattamento), Thomas Bidegain (adattamento)
Fotografia
: Romain Winding
Musiche
: Evgueni Galperine, Sacha Galperine
Montaggio
: Jennifer Augé
Scenografia
: Olivier Radot
Costumi
: Anne Schotte
Interpreti
: Karin Viard (Gigi), François Damiens (Rodolphe), Éric Elmosnino (Thomasson), Louane Emera (Paula), Roxane Duran (Mathilde), Ilian Bergala (Gabriel), Luca Gelberg (Quentin), Stéphan Wojtowicz (sindaco), Bruno Gomila (Rossigneux), Céline Jorrion (giornalista Fr3), Jérôme Kircher (dott. Pugeot), Clémence Lassalas (Karène), Mar Sodupe (sig.na Dos Santos), Manuel Weber (veterinario)
Produzione
: Stéphanie Bermann, Eric Jehelmann, Philippe Rousselet per Jerico/Mars Films/France 2 Ciné-ma/Quarante 12 Films/Vendôme Production/Nexus Factory/Umedia
Distribuzione
: BIM
Durata
: 105'
Origine
: Francia, 2014

Nella famiglia Bélier sono tutti sordi tranne la 16enne Paula. Per questo, la ragazza è la fondamentale interprete dei suoi genitori per quanto riguarda la vita quotidiana, ma soprattutto per il buon funzionamento della fattoria di famiglia. Un giorno, dietro consiglio dell'insegnante di musica che ha scoperto il suo dono per il canto, Paula decide di prepararsi per un concorso indetto da Radio France. Una scelta di vita che per lei potrebbe significare l'allontanamento dalla famiglia e l'inevitabile passaggio all'età adulta.
Nella famiglia Bélier sono tutti sordomuti ad eccezione della sedicenne Paula che svolge l’indispensabile ruolo di interprete nella vita dei genitori, specialmente nella gestione della fattoria dove vivono e lavorano, nella campagna non lontano da Parigi. Quando la ragazza decide di iscriversi alle lezioni di coro della scuola, il professore di musica scopre che Paula ha una pepita d’oro in gola e canta come un angelo. Per questo la convince a studiare e partecipare alla dura selezione che le permetterebbe di entrare in una rinomata scuola canora di Parigi. Ma la ragazza esita: una scelta del genere comporterebbe l’allontanamento dalla famiglia e l’inevitabile ingresso nell’età adulta.
Come i Verneuil, costretti in “Non sposate le mie figlie!” a fare i conti tra le mura domestiche con culture, razze e religioni diverse, anche i Bélier hanno spopolato ai botteghini francesi, diventando l’ennesimo caso cinematografico d’oltralpe con oltre 7 milioni di spettatori in tre mesi e un incasso di 8 milioni di euro. Diretto da Eric Lartigau, il film vanta nel cast Karin Viard e François Damiens, ma anche la giovane Louane Emera scoperta nell’edizione francese del talent show “The Voice” e vincitrice di un César come migliore attrice emergente. Sono stati necessari cinque mesi di preparazione per imparare il linguaggio dei segni (tranne che per Luca Gelberg, realmente sordomuto).
Per sottolineare l’idea di una famiglia unita e coraggiosa, che non indietreggia di fronte alla difficoltà, si è deciso di ambientare la commedia nel mondo rurale, dove la vita quotidiana può essere molto dura. Qui l’handicap diventa segno forte di un’identità, una sorta di bolla protettiva che rafforza il concetto di ‘casa’. Ma la diversità cambia comicamente di segno: in una famiglia senza voce, chi parla e canta è quella ‘strana’. Così l’incapacità dei due genitori di sentire e parlare diventa metafora della difficile comunicazione ai tempi dell’adolescenza, quando qualunque cosa facciano mamma e papà è motivo di grande imbarazzo. I Bélier diventano quindi una famiglia come tante, impegnata ad affrontare le sfide di ogni giorno, anche quelle che scaturiscono dalle consuete dinamiche tra genitori e figli, soprattutto quando questi ultimi stanno per abbandonare il nido. Complici le note di Michel Sardou, che canta di malattie d’amore e di voli alla ricerca della propria strada.
Alessandra De Luca, Ciak

A casa Bélier sono tutti dei gran chiacchieroni, eppure non vola una mosca. Logico, i Bélier sono sordi dalla nascita. Padre, madre, figlio, tutti sordi. Poi c’è Paula, la primogenita (Louane Emera). Che non solo ci sente benissimo, ma un giorno scopre di avere una voce magnifica. Anzi, una voce che fa paura. A lei per prima.
Perché Paula è la bocca e l’orecchio dei genitori, che hanno una fiorente tenuta agricola in Normandia ma comunicano solo - brillantemente - nel linguaggio dei segni. Dunque Paula, che a 16 anni non ha ancora avuto il suo primo ciclo, oltre ad andare a scuola è sempre pronta ad aiutare, magari accompagnando gli innamoratissimi genitori dal medico (scena esilarante). Figurarsi come ci resta quando un giorno il suo sarcastico professore di musica scopre che è nata per cantare, e se fosse pronta ad esercitarsi duramente potrebbe tentare il concorso a Radio France. Ma ce la farà Paula a mollare casa e genitori?
Tra i non molti film dedicati ai sordi (“Anna dei miracoli”, “Marianna Ucrìa”, “Figli di un dio minore”, “Nel paese dei sordi”), nessuno aveva ancora tentato la commedia. A colmare il vuoto hanno tentato i soliti francesi con questo film che merita tutti i 7 milioni di spettatori in patria. Rassegnati al tramonto del grande cinema popolare, siamo ormai abituati a pensare che «andare incontro al pubblico», formula orribile, significhi sacrificare qualità e complessità sull’altare della comunicativa (della facilità). Errore: “La famiglia Bélier” prova che popolare non vuol dire ovvio né sciatto, al contrario. Basta far esistere ogni personaggio fino in fondo, cogliendone ogni possibile sviluppo.
Qui mamma e papà (Karin Viard e François Damiens, fenomenali) partono comici (la lingua dei segni è iperespressiva) ma finiscono depositari del lato più doloroso della vicenda.  Il loro ‘handicap’ non è la sordità (problema specifico) ma l’incapacità di accettare che un figlio possa crescere (problema universale).
Per estrema ironia, a portare via Paula sarà una forza che non capiscono, la musica, ma possono intuire spiandone gli effetti durante il concerto di fine anno. Ma il film non cade mai nel sentimentale perché usa con intelligenza e rispetto tutto il potenziale anche comico dei personaggi.  E resta saldamente ancorato al corpo: cantare o amare è la stessa cosa, spiega quel professore che brontola sempre ma è un ottimo maestro. Bisogna aprirsi, lasciar scorrere, trovare la propria voce. Sottile provocazione, le canzoni sono del popolare ma controverso Michel Sardou. Mentre la Emera viene dal talent “The Voice”. Per i più snob un affronto. Per noi una conferma. Popolari, ok. Ma non si può piacere a tutti…
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

ERIC LARTIGAU
Filmografia:

Pistole nude
(2003), Prestami la tua mano (2006), Scatti rubati (2010), Gli infedeli (“Lolita”) 2012, La famiglia Bélier (2014)

Evento speciale fuori abbonamento:
Giovedì 11 febbraio 2016:

IL GRANDE DITTATORE
di Charlie Chaplin, con Charlie Chaplin, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell, Billy Gilbert

 

 
 
 
 
 

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