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Messaggi di Marzo 2016

Cineforum 2015/2016 | 15 marzo 2016

Post n°275 pubblicato il 11 Marzo 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

MOMMY

Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura
: Xavier Dolan
Fotografia
: André Turpin
Musiche
: Noia
Montaggio
: Xavier Dolan
Scenografia
: Colombe Raby
Costumi
: Xavier Dolan, François Barbeau
Interpreti
: Antoine-Olivier Pilon (Steve O'Connor Després), Anne Dorval (Diane "Die" Després), Suzanne Clément (Kyla), Patrick Huard (Paul Béliveau), Alexandre Goyette (Patrick), Michele Lituac (preside), Viviane Pacal (Marthe), Nathalie Hamel-Roy (Natacha)
Produzione
: Xavier Dolan, Nancy Grant per Metafilms
Distribuzione
: Good Films
Durata
: 139'
Origine
: Francia, 2014
Premio della Giuria (ex aequo con “Adieu au Langage” di Jean-Luc Godard) al 67. Festival di Cannes (2014).

Diane "Die" Després, un'esuberante giovane vedova, madre di Steve, un turbolento quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di attenzione, decide di ritirare il ragazzo dall'istituto cui è stato affidato e di prendere la sua custodia a tempo pieno. Tra scontri e discussioni, la loro convivenza è tutt'altro che semplice, così come far quadrare i conti visto che "Die" ha perso il lavoro. A portare equilibrio tra madre e figlio c'è Kyla, una nuova vicina di casa che si è presa un anno sabbatico dall'insegnamento, e che si rivelerà un inaspettato sostegno per affrontare e superare le crisi e le problematiche di Steve, aiutando Die a mantenere viva la speranza.
Il più allegro e impudico, il più disperato e colorato, il più imprevedibile e ‘palmabile’ dei film visti quest'anno a Cannes (anche se poi si sarebbe ‘accontentato’ del premio alla regia ex aequo con Godard) si intitola semplicemente “Mommy”: e trattandosi di una storia d'amore, anche se sui generis, giustamente arriva in sala per Natale. Difficile etichettarlo, come vorrebbe la dittatura del marketing (buon segno). Diciamo che è una commedia post-Almodovar e post-Fassbinder (nera? rosa? arcobaleno?), diretta da un regista giovanissimo che ha anche guardato con attenzione i primi lavori di Jane Campion: Xavier Dolan, canadese francofono, 25 anni e già 5 film al suo attivo. Il primo subito premiato a Cannes nel 2009, l'ultimo prima di questo, “Tom à la ferme”, in concorso a Venezia nel 2013 (ma purtroppo mai uscito in Italia).
Una produttività fuori dal comune che è anche la cifra del suo cinema eccessivo, spiazzante, oltraggioso come i suoi personaggi. Ma anche molto consapevole e efficace, perché dietro i tipi e i comportamenti più stravaganti ci sono sempre sentimenti assoluti (dunque accessibili a chiunque: “Mommy” non è il solito film d'autore un po' scostante, al contrario). E molto difficili da gestire, come il terribilissimo Steve, adolescente iracondo e ipercinetico, dunque assai problematico anche se in fondo buono come il pane, ospite fisso di istituti per ragazzi disturbati.
Che la madre vedova, altro bel tipo molto sopra le righe, torna a prendersi in apertura per tentare una nuova convivenza. Senza immaginare a cosa va incontro, in un crescendo di comportamenti ingestibili che coinvolgerà poco a poco, in una specie di casto ma sfrenato menage à trois post-edipico, anche la sua nuova vicina. Una tipa bonaria, sposata e apparentemente tranquilla, insomma tutto il contrario di lei, che però sotto la balbuzie nasconde chissà quali traumi... (al di là di ogni elogio il terzetto dei protagonisti).
Scena madre, è proprio il caso di dire, l'esibizione di Steve che canta Bocelli in un karaoke bar provocando un accesso di ilarità e aggressività dei presenti. Attenti allo schermo quasi quadrato, da film muto, che ogni tanto si allarga a sorpresa in un formato panoramico. Anche se non è detto che ve ne accorgiate, tanto sono forti le emozioni che dovrebbe contenere.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

Steve (un bellissimo Antoine-Olivier Pilon) corre sul monopattino a centro strada, occhi chiusi, braccia e capo tesi versi il cielo come in un saluto al sole (la posizione Yoga) tutto suo, ascoltando “Wonderwall” degli Oasis e gridando: «Liberté». Steve canta “Vivo per lei” nel karaoke in cui si trova con la madre Diane (Anne Dorval), che tenta di farsi aiutare gratis da un viscido corteggiatore avvocato. Deve far fronte a una richiesta di 250.000 dollari di risarcimento, perché il suo Steve ha appiccato il fuoco a scuola e danneggiato un compagno. Quando Diane vede l'avvocato provarci non tiene la rabbia (è una scena di lento crescendo meravigliosa), spacca una bottiglia e la brandisce minacciando di tagliar gole. Cacciati dal locale, Steve urla in faccia all'avvocato che non vuol aiutarli ma portarsi a letto Diane; quello gli dà un ceffone, che la madre ridà all'avvocato.
Steve dice alla madre: «Tu potrai anche smettere d'amarmi, ma sarai sempre la mia priorità». Poi le dà un bacio sulla bocca. Steve al supermercato si taglia le vene con un coltello domandando alla madre, mentre collassa: «Smetteremo davvero d'amarci?». Steve, sereno, supera un esame scolastico e la gioia di tutti è molto maggiore che se l'avesse passato qualsiasi altro ragazzo senza disturbo da deficit di attenzione e iperattività, padre morto, madre che lo cresce senza un centesimo in tasca e col dilemma: l'istituto è la gabbia che lo spegnerebbe o l'incubatrice che lo farebbe rinascere sano? Steve vien catturato come un cane (una scena straziante) dagli infermieri dell'istituto in cui la madre, infine, lo porta - a tradimento, col cuore in pezzi. Steve, insalamato in una camicia di forza, dice alla madre: «Ti meriti di più di un ritardato come me», evitando di lasciare nella segreteria telefonica il rumore dello scroscio delle sue lacrime. Steve può smettere il trattamento di contenimento fisico, e appena gli levano la camicia di forza...
Ci mettiamo la camicia di forza noi, per non rivelare un finale che è un inno alla libertà assoluto. Molti temi in “Mommy”, premio della Giuria a Cannes, del venticinquenne Xavier Dolan. Il legame simbiotico che inchioda nel bene e nel male un figlio a una madre sola e sfortunata e lei al figlio ‘diversamente emotivo’. La gestione dell'impulsività nella società odierna, che normalizza, mortifica, seda (si pensi alla polemica sul Ritalin ai bambini affetti dallo stesso problema di Steve). Il ruolo dell'amicizia nelle situazioni esistenziali delicate (Kyle, vicina balbuziente, scopre la vitalità dell'anarchia grazie a Steve e Diane, loro la quiete che non conoscono). Un film splendido, vero, in parte pasoliniano (Dolan è gay e l'amore-monstre per la madre è una costante dell'immaginario omosessuale). Ma è un Pasolini dei nostri tempi, esuberante di rock e vita. Al limite, certo. Ma esiste ancora qualcuno che non viva surfando sui limiti?
Gemma Gaetani, Libero

XAVIER DOLAN
Filmografia:

J'ai tué ma mère (2009),  Les amours imaginaires (2010), Laurence Anyways (2011), Tom à la ferme (2013), Mommy (2014), The Death and Life of John F. Donovan (2016)

Martedì 15 marzo 2016:
L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL
di David Fincher, con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Carrie Coon

 

 

 

 
 
 
 
 

Cineforum 2015/2016 | 8 marzo 2016

Post n°273 pubblicato il 03 Marzo 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

I TONI DELL'AMORE - LOVE IS STRANGE

Titolo originale: Love is strange
Regia
: Ira Sachs
Sceneggiatura
: Ira Sachs, Mauricio Zacharias
Fotografia
: Christos Voudouris
Montaggio
: Affonso Gonçalves, Michael Taylor (IV)
Scenografia
: Amy Williams
Arredamento
: Kendall Anderson
Costumi
: Arjun Bhasin
Effetti
: Lucien Harriot
Interpreti
: John Lithgow (Ben), Alfred Molina (George), Marisa Tomei (Kate), Charlie Tahan (Joey), Cheyenne Jackson (Ted), Manny Perez (Roberto), Darren Burrows (Elliot), Christian Coulson (Ian), John Cullum (Padre Raymond), Harriet Sansom Harris (Honey), Adriane Lenox (Preside), Sebastian La Cause (Marco), Christina Kirk (Mindy), Olya Zueva (Eugenia), Eric Tabach (Vlad), Toussaint Abessolo (Super), Daphne Gaines (Linda), Alexander W. Smith (John), Tank Burt (Doreen)
Produzione
: Ira Sachs, Lars Knudsen & Jay Van Hoy, Lucas Joaquin, Jayne Baron Sherman per Charlie Guidance/Mm...Buttered Panini Productions/Parts And Labor
Distribuzione
: Koch Media
Durata
: 100'
Origine
: U.S.A., 2014

Grazie alla nuova legge che permette il matrimonio tra persone dello stesso sesso, Ben e George, dopo più di 30 anni di unione, decidono di convolare a nozze. La loro scelta causerà una serie di ripercussioni professionali ed economiche, ma grazie alla loro cerchia di amici e parenti, Ben e George cercheranno di superare tutte le difficoltà.
Non è un caso che “I toni dell’amore” abbia ricevuto la nomination ai Gotham Award (gli Oscar del cinema indipendente) 2014, accanto a titoli come “Boyhood”, “Grand Budapest Hotel” e “Birdman”. A guardarlo distrattamente potrebbe sembrare un film di medio interesse: osservato meglio, invece, si rivela un’operina di rara delicatezza e sensibilità, che interpella lo spettatore su argomenti riguardanti la vita di tutti. Ben e George sono una coppia gay che divide la vita da trentanove anni. Il film si apre sul giorno del loro matrimonio, celebrato in armonia tra parenti e amici. Subito dopo però George, che insegna in un istituto religioso, perde il lavoro; e tutto cambia. Costretti a vendere il loro appartamento di Manhattan a causa delle nuove difficoltà economiche, i due devono separarsi e affrontare una nuova vita. Mentre cercano un affitto (ma le cifre sono proibitive), devono farsi ‘squatter’ in casa altrui: il primo nell’appartamento di una coppia di amici poliziotti, gay festaioli; il secondo presso il nipote e relativa famiglia, che litigano di continuo. Ha inizio una serie di piccole umiliazioni quotidiane, da cui George e Ben cercano come possono di vaccinarsi: l’uno con la musica, l’altro con la pittura. Però è soprattutto la separazione il prezzo più duro da pagare per i due vecchi innamorati. Roba banale? Tutt’altro. Lo sarebbe stata assai di più se il regista e sceneggiatore Ira Sachs avesse fatto un film militante, o a tesi. Lui però (gay dichiarato) non vuole parlarci dell’amore omosessuale, ma dell’amore senza aggettivi. E nel frattempo, suggerisce parecchie storture di un mondo come il nostro, dove le esclusioni vanno di pari passo con la crisi economica, con la solitudine urbana e con un individualismo così radicato da impedire a ciascuno di condividere il proprio spazio o di vivere i cambiamenti diversamente da un’aggressione. Non sono solo gli ospitanti a rifiutarsi di modificare le loro abitudini; Sachs ha l’intelligenza di mostrarci anche le piccole manie e le debolezze dei suoi due personaggi principali, che sono poi quelle di ogni coppia. Ma sa tradurre la (apparente) banalità in un’acutezza di sguardo pudicamente romantica, accompagnata in modo mai invasivo dalla musica di Chopin e resa del tutto credibile da due interpreti come John Lithgow e Angel Molina: misuratissimi, teneri, virili. Si può aggiungere l’apprezzamento per il cast di supporto, con Marisa Tomei e il giovanissimo Charlie Tahan (il pro-nipotino di Ben), al quale è affidata la commovente parte finale. Commovente ma priva di ogni retorica come il resto del film. La scelta di sdrammatizzare le situazioni è la cifra e lo stile stesso de “I toni dell’amore”: produce una narrazione ellittica che seleziona sapientemente solo i momenti essenziali (sarà difficile non ricordare a lungo la scena, verso la fine, in cui Ben e George si separano all’ingresso della metropolitana), un’intonazione dolceamara costante e molto giusta e anche parecchi momenti di humour sottile, che non stonano affatto - tutt’altro - nell’insieme. Magari non era nelle intenzioni di Sachs, ma il suo film ha ancora un merito, per così dire extratestuale. Quello di fare giustizia di tante pellicole con personaggi omosessuali, sia apertamente omofobe sia - all’opposto - melodrammatiche e declamatorie nel denunciarne la discriminazione.
Roberto Nepoti, La Repubblica

(……) la loro storia si rivela ai nostri occhi attraverso gli ostacoli che incontrano, nella continua tensione tra l’essere separati fisicamente eppure sempre insieme, in un senso molto più profondo.
Il titolo originale del nuovo film di Ira Sachs – “Love is Strange” - è ingannevole, perché non c’è nulla di ‘strano’, nell’amore di Ben e George, interpretati con grande delicatezza di sfumature da John Lightow e Alfred Molina. Si tratta di una coppia felice, stabile, che, davanti a un bicchiere in una taverna del Village, ricorda con orgoglio le lotte per i diritti gay nella Christopher Street fine anni sessanta, ma che oggi conduce un’esistenza ‘normale’, circondata da amici e famiglia. Sono normali anche i problemi che li affliggono: l’improvvisa difficoltà economica, la trafila degli uffici governativi dove si cerca lavoro o una casa, la tristezza di dirsi addio la sera, davanti alla fermata della metropolitana - il tutto complicato dal fatto che non sono più giovani. A casa del nipote, la presenza di Ben in un appartamento troppo piccolo per un abitante, crea attriti con la moglie scrittrice (Marisa Tomei) e un violento confitto generazionale con il ragazzo, nonostante l’affetto che tutti provano per Ben. In quello che sembra finora il più ‘mainstream’ dei suoi film, Ira Sachs racconta questa normalità e le inevitabilità che lo accompagnano con dolce, malinconica, sicurezza e abili ellissi narrative, che danno al film l’andamento imprevedibile di una poesia. Si tratta di una poesia molto newyorkese (il regista è nato a Memphis, ma ha vissuto molti anni a New York), perché anche la città è un personaggio - con i suoi quartieri, la luce, le sue generosità, le durezze. L’autunno è la stagione della vita che Ben e George stanno attraversando. Ed è un magnifico autunno newyorkese che domina sulle stagioni del film, il cui tono - ha detto Sachs - è stato influenzato da “Hanna e le sue sorelle” e “Mariti e mogli”, di Woody Allen (……).
Nonostante il suo cinema sia praticamente nato (con “The Delta”, nel 1997) e cresciuto al Sundance Film Festival, Sachs (un favorito anche del festival di Berlino) è sempre stato qualche passo più avanti della produzione indipendente media predicata dal festival di Redford, il suo un racconto più libero e meno conciliato. A tratti l’aspirazione di un Fassbinder del Tennessee.
Giulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto

IRA SACHS
Filmografia:

Forty shades of blue
(2005), Arsenico e vecchi confetti (2007), Last address (2010), Keep the lights on (2012), I toni dell'amore - Love is strange (2014)

Martedì 15 marzo 2016:
MOMMY
di Xavier Dolan, con Antoine-Olivier Pilon, Anne Dorval, Suzanne Clément, Patrick Huard, Alexandre Goyette

 

 
 
 
 
 

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