Il Libro delle Mille e Una Notte

Post n°5 pubblicato il 14 Agosto 2008 da zackdelarocha30
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..scoprire, ogni tanto, l’Oriente, fa parte delle tradizioni d’Europa; Erodoto, la sacra Scrittura, Marco Polo e Kipling sono, probabilmente, i primi nomi che ci vengono in mente.

Il più abbagliante di tutti è Il libro delle mille e una notte. In esso sembra essere cifrato il concetto di Oriente, questa strana parola che abbraccia tante e tanto disuguali regioni dal Marocco alle isole del Giappone.

Definirla è difficile, perché definire è un po’ come diluire in altre parole, e la parola Oriente e la parola Mille e Una notte già ci colmano di magìa..

..Spesso, di un libro diciamo che è lungo come se ciò fosse una specie di peccato, ma in alcuni, l’estensione è una qualità, una qualità essenziale.

Uno di tali libri, e non il meno illustre, è l’Orlando Furioso; un altro il Don Chisciotte; un altro, Le Mille e Una notte o, come vuole il capitano Burton, il libro delle Mille Notti e Una Notte.

Non si tratta, ovviamente, di leggerlo per intero; gli arabi affermano che ciò condurrebbe il lettore alla morte. Voglio dire che il piacere che ci può dare la lettura di un brano qualunque deriva in qualche modo dalla coscienza di trovarsi davanti ad un fiume inesauribile.

Il titolo originale enumerava mille notti. Ma il superstizioso timore delle cifre pari indusse i compilatori ad aggiungerne una, e questo basta a suggerire l’infinito.

L’Indostan attribuisce le sue vaste epopee a un dio, a un uomo leggendario, ad un personaggio dell’opera stessa o al tempo; all’edificazione delle Mille e Una Notte hanno collaborato i secoli e i regni.

Si congettura che il nucleo primitivo della raccolta provenga precisamente dall’Indostan, che da lì sia passato in Persia, all’Arabia, all’Egitto…Per giustificare il titolo, le notti dovevano essere necessariamente Mille ed Una; questa necessità fece sì che i copisti intercalassero nell’opera testi fortuiti. Così, in una delle sue notti, Sheherazade narra la storia di Sheherazade, senza sospettare che si tratta di se’ stessa….Se avesse persistito in tale distrazione avremmo raggiunto la vertigine e la felicità di un libro infinito.

A prima vista, Le Mille e Una Notte suggeriscono un esercizio illimitato della fantasia; tuttavia, appena esploriamo questo labirinto, scopriamo, come nel caso di altri, che non è un mero caos irresponsabile, un’orgia dell’immaginazione.

Il sogno ha le sue leggi. Abbonda in certe simmetrie: la ripetizione del numero tre, le mutilazioni, le metamorfosi di corpi umani in animali, la bellezza delle principesse, lo sfarzo dei re, i talismani magici, i geni onnipotenti che sono schiavi del capriccio di un uomo..Questi ripetuti disegni formano la trama e costituiscono lo stile personale di questa grande opera collettiva, impersonale per eccellenza.

Possiamo affermare, senza iperbole, che vi sono due tempi: uno è il tempo storico, in cui si trama il nostro destino; l’altro, il tempo delle Mille e Una Notte, che attende, atemporale, le nostre mani..

Malgrado le malìe e le disgrazie, le metamorfosi e i dèmoni, il copioso tempo di Sheherazade ci lascia un sapore che non è meno raro nei libri che nella vita: il sapore della felicità.            

 
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..tziganata..

Post n°4 pubblicato il 13 Agosto 2008 da zackdelarocha30
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..più giù, l’alba di un giugno terso e intenso ridesta le foglie e i vapori di quest’angolo di prato, mentre il pendìo trattiene, nella sua ombra violetta le mille rapide curve della strada umida. Gravida di sortilegi.

Carri carichi d’animali di legno dorato, borchie e tele variopinte, al gran galoppo di venti cavalli da circo pezzati, ed i bambini e gli uomini sulle loro bestie senza sella, brade..carrocci intarsiati, parati a festa e fioriti come cocchi antichi o fiabeschi, pieni di fanciulle agghindate per una pastorale, là, nel villaggio greve, ed etereo..

Bare di diamante sotto il baldacchino, irto di pennacchi d’ebano, che corrono, al trotto di grandi giumente blu e nere…

L’acqua è grigia, e blu, larga come il respiro di una lucertola. Un raggio bianco, cadendo dall’alto cielo, annienta questa commedia…

 
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..il folle, l'eroe, il diavolo..

Post n°3 pubblicato il 13 Agosto 2008 da zackdelarocha30
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Ho immaginato questo tema, che forse oggi scriverò, e che già in qualche modo mi giustifica, nei pomeriggi inutili, sotto l’influenza di Coleridge (creatore ed alchemico di inquietanti misteri) e del consigliere aulico Leibniz (che inventò l’armonia prestabilita).

Mancano dettagli, rettifiche, messe a punto; vi sono, poi, zone di questa storia che non mi sono state ancora rivelate. Oggi, la intravedo così.

L’azione si svolge in un paese oppresso e tenace: un qualche stato balcanico, o sudamericano, o l’Irlanda, forse, la Polonia, la Repubblica di Venezia..O meglio: l’azione si svolse;dato che, sebbene il narratore sia contemporaneo, il tempo della sua storia è la metà o il principio del secolo XIX. Diciamo (per comodità narrativa) l’Irlanda. Diciamo il 1831.

Il narratore si chiama Ethan, Ethan Wilcox. E’ il bisnipote del giovane, dell’eroico, del bello, dell’assassinato Spencer Wilcox, la cui tomba fu misteriosamente violata, e la cui statua domina una collina grigia, tra rosse paludi.

Spencer Wilcox fu un cospiratore; un segreto e glorioso capitano di cospiratori: come Mosè, che dalla terra dei moabiti avvistò la terra promessa, e non potè calcarla. Wilcox morì alla vigilia della rivolta vittoriosa che aveva premeditato e sognato.

S’avvicina la data del primo centenario della sua morte; le circostanze del delitto sono enigmatiche; Ethan, che sta lavorando ad una biografia dell’eroe, scopre che l’enigma non è puramente poliziesco. Wilcox fu assassinato in un teatro; la polizia britannica non trovò mai l’autore, e gli storici affermano che questo insuccesso non intacca la buona reputazione della polizia, poiché fu essa stessa, probabilmente, a farlo uccidere.

Altri aspetti dell’enigma inquietano Ethan. Sono di carattere ciclico: sembrano ripetere o combinare fatti di regioni remote, di remote età. Si sa, per esempio, che gli sbirri che esaminarono il cadavere dell’eroe trovarono una lettera chiusa, che avvertiva Wilcox del pericolo che avrebbe corso andando a teatro quella sera. Anche Giulio Cesare, mentre si avviava al luogo dove l’attendevano i pugnali dei suoi amici, ricevette il biglietto, che non potè leggere, ed in cui gli si scopriva il tradimento, con i nomi dei traditori. La moglie di Cesare, Calpurnia, vide rovinare in sogno una torre che il Senato aveva tributato al marito. Voci false e anonime, la vigilia della morte di Wilcox, annunciarono a tutto il paese l’incendio della torre circolare di Kilgarvan.

Ebbene, questi parallelismi (insieme ad altri) della storia di Cesare col cospiratore irlandese indussero Ethan a supporre una forma segreta del tempo, un disegno in cui molte linee si ripetono. Pensò alla storia decimale che ideò Eulero; alle morfologie che proposero Spengler, Hegel e Vico; agli uomini di Eratostene, che degenerarono dall’oro al ferro. Pensò alla trasmigrazione delle anime, dottrina che fa l’orrore della letteratura celtica e che lo stesso Cesare attribuì ai druidi britannici.

Da questi labirinti lo salvò una curiosa scoperta, che poi lo inabissò in altri labirinti ancor più inestricabili ed eterogenei: certe parole che un mendicante scambiò con Spencer Wilcox, il giorno della morte di quest’ultimo furono prefigurate da Shakespeare nella tragedia del Macbeth.

Che la storia avesse copiato la storia era già abbastanza stupefacente; che la storia copi la letteratura è inconcepibile…Ethan accerta che, nel 1818, Randall Stevens, il più antico dei compagni dell’eroe, aveva tradotto in gaelico i principali drammi di Shakespeare, tra cui il Giulio Cesare. Scopre anche, negli archivi, un articolo manoscritto di Stevens sui Festspiele svizzeri: vaste ed erranti rappresentazioni teatrali che richiedono migliaia di attori e che reiterano episodi storici nelle stesse città in cui accaddero.

Un altro documento inedito gli rivela che, pochi giorni prima della fine, Spencer Wilcox, presiedendo l’ultimo consiglio, aveva firmato la sentenza di morte di un traditore il cui nome, in seguito, fu cancellato. Una simile condanna non è nelle abitudini di Wilcox. Ethan ne indaga le ragioni (questa indagine è una delle lacune della storia) e riesce a decifrare l’enigma.

Wilcox fu ucciso in teatro, ma da teatro gli servì anche l’intera città, e gli attori furono legione, e il dramma, che ebbe come atto finale la sua morte, si consumò in molti giorni e molte notti.

Ecco cosa avvenne:

 

il 6 luglio 1831 i cospiratori si riunirono. Il paese era maturo per la rivolta; qualcosa, tuttavia, mancava sempre; c’era un traditore, nel consiglio. Spencer Wilcox aveva incaricato Randall Stevens di scoprire questo traditore.

Stevens eseguì il compito: annunciò che il traditore era lo stesso Wilcox. Dimostrò con prove irrefutabili la verità dell’accusa; i congiurati condannarono a morte il loro presidente. Questi firmò la propria condanna, ma implorò che il suo castigo non pregiudicasse la rivolta, e la patria.

L’Irlanda idolatrava Wilcox; il più tenue sospetto su di un suo tradimento avrebbe compromesso il colpo di Stato. Allora Stevens concepì un ingegnoso progetto, che fece dell’esecuzione del traditore uno strumento, anzi, per aumentare il fermento popolare. Suggerì che il condannato morisse per mano di un assassino sconosciuto, in circostanze particolarmente drammatiche, che rimanessero scolpite nell’immagine popolare ed affrettassero, così, l’insorgere della rivolta. Wilcox giurò di collaborare a questo progetto, che gli offriva l’occasione per redimersi.

Stevens, pressato dal tempo, non seppe inventare interamente le circostanze di quella esecuzione dai molti e controversi aspetti; dovette plagiare un altro drammaturgo, guarda caso, il nemico inglese William Shakespeare. Ripetè scene del Macbeth, del Giulio Cesare. La pubblica e segreta rappresentazione occupò vari giorni. Il condannato entrò a Dublino, discusse, pregò, riprovò, pronunciò parole patetiche, e ciascuno di questi atti, che ne avrebbe accresciuto la gloria, era stato prefissato da Stevens.

Centinaia di attori collaborarono con il protagonista. La parte di alcuni fu complessa; quella di altri, momentanea. Le cose che dissero e che fecero durano ancor oggi nei libri di storia, nella memoria appassionata dell’Irlanda. Wilcox, animato da questo insolito, minuzioso destino, che lo redimeva e che lo perdeva, più di una volta arricchì con parole improvvisate il testo del suo giudice. Così venne dispiegandosi il dramma, finchè, il 6 luglio 1931, in un parco dalle funeree cortine che prefigurava quello di Lincoln, una pallottola desiderata entrò nel petto del traditore e dell’eroe, tra due fiotti di sangue improvviso, alcune parole previste.

 

Nell’opera di Stevens, i passi imitati di Shakespeare sono i meno drammatici; Ethan sospetta che l’autore li intercalasse affinché qualcuno, più tardi, potesse scoprire la verità.

Sospetta di far parte egli stesso della trama di Stevens…

Dopo tenace cavillare, risolve di tenere segreta la scoperta. Pubblica un libro, dedicato alla memoria dell’eroe; ed anche questo, forse, era già stato previsto…

 
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..Stregoneria

Post n°2 pubblicato il 13 Agosto 2008 da zackdelarocha30
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..in un saggio di Margaret Murray (Il culto delle streghe nell’Europa Occidentale) viene proposta una versione nuova della stregoneria. In esso, la strega è essenzialmente partecipe di una organizzazione rituale nella quale non veniva espressa solo l’aperta rivolta contro il cristianesimo, ma anche la sopravvivenza di una religione del tutto indipendente e più antica del cristianesimo stesso: il paganesimo pre-cristiano, ancora vivo in oramai poche zone agresti, poco contaminate dall’idioma religioso “ufficiale”..

..ebbene, questo culto contadino e pagano, aveva per oggetto un dio con due fronti e con le corna, identificato, tra l’altro, anche dalla cultura celtica (con un nome quasi impronunciabile!), e si può dire che, in Inghilterra, durante tutto il Medioevo, questa idolatria assurse al rango di religione vera e propria.

E’ curioso osservare come le pratiche di questo culto, non erano però considerate malefiche ed antisociali dalle piccole comunità: anzi, erano considerate necessarie per il benessere e la prosperità.

Gli Inquisitori, però, confusero il dio con le corna con il Diavolo, e il rito assunse il nome di sabba.

Gli storici, inoltre, rilevarono (e si affrettarono a strumentalizzare!!) disastrosi errori, nel testo della Murray: cosa che tolse credito a questo saggio; in particolare, l’assimilazione delle pratiche della stregoneria con i culti della fertilità era assai difficile da sostenere. Le streghe medievali erano famose per la loro capacità distruttiva: determinavano siccità, epidemie, grandine, sterilità e persino la morte. Inoltre, le streghe erano accusate di pratiche orgiastiche, nonché di sacrifici umani e di cannibalismo... (continua)

 

 
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L'infinito surreale

Post n°1 pubblicato il 13 Agosto 2008 da zackdelarocha30
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..questo universo (da altri denominato la Biblioteca) si compone di un numero indefinito (e forse infinito), di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori ed inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati, meno uno (…). Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta ad un’altra galleria, identica alla prima ed a tutte (…). Di qui passa la scala a spirale, che s’inabissa e s’innalza, nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che, fedelmente, duplica le apparenze. Gli uomini sogliono infierire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se lo fosse realmente, perché questa duplicazione illusoria?). Io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito…La luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è insufficiente, incessante.

Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù ho viaggiato; ho peregrinato alla ricerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora, che i miei occhi quasi non riescono a decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori dalla ringhiera; mia sepoltura sarà l’aria insondabile, la caduta continua, fino alla completa dissoluzione della materia di cui ora è composto il mio corpo.

Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio. Ragioniamo che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale (i mistici pretendono di avere, nell’estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi basti, per ora, ripetere la classica sentenza: “La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile”.

A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d’accennare alla soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare alcuni assiomi.

Primo: la Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o da demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può che essere l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia compone sulla copertina di un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche.

Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque. Questa constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva mai permesso di decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre vide in un esagono del circuito quindici novantaquattro, constava delle lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all’ultima riga. Un altro (molto consultato in questa zona), è un mero labirinto di lettere, ma l’ultima pagina dice: Oh tempo le tue piramidi. E’ ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe e leghe di insensate cacofonie, di ferragini verbali e di incoerenze. (So di una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano…Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione non è casuale, e che i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea)…(continua)

 

Jorge Luìs Borges

 
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