Dunque, Luca Barbareschi - che nel triplice ruolo di produttore, regista e coprotagonista ripropone al Bellini «Il caso di Alessandro e Maria», la commedia di Giorgio Gaber e Sandro Luporini - dichiara d'aver messo mano a quest'allestimento perché sentiva la «pulsione di parlare del privato» e perché, d'altra parte, la storia narrata da Gaber e Luporini (quella di un amore finito ma di cui, tenace, persiste l'eco) si adattava perfettamente al «momento personale» che lui stava vivendo.
Ebbene, che cosa fa un uomo che si trovi in un momento del genere? Probabilmente si ubriaca: di ricordi o d'alcool o di ricordi e alcool insieme. E se quell'uomo è un attore? Probabilmente si ubriaca, sul palcoscenico, di tutte le risorse e di tutti i trucchi con cui il mestiere gli consente di esorcizzare, ad un tempo, i fantasmi del passato e il peso del presente. In una parola, si spende e si spande. Ed è proprio quel che fa Barbareschi: il quale, lungo le quasi due ore dello spettacolo, non soltanto recita, ma balla, canta e, come se non bastasse, suona il pianoforte (a coda) e la chitarra.
Al Barbareschi attore, poi, con altrettanto scialo tien dietro il Barbareschi regista: il quale ultimo inframmezza l'inesausto match sentimentale tra Alessandro e Maria (cross di accuse, uppercut di ripicche, clinch di tenerezze) con 26 - diconsi ventisei - fra canzoni e brani strumentali, che vanno da Pino Daniele a Endrigo e Battisti, con l'aggiunta delle musiche originali di Marco Zurzolo e, per queste repliche napoletane, di una «Fenesta vascia» facente funzione, con ogni evidenza, della proverbiale «captatio benevolentiae».
D'altronde, ci si preoccupa, così, di fornire stampelle spettacolari a un testo minore che oggi risulta abbondantemente datato (non a caso fu messo in scena, nell'anno di grazia 1982, soltanto dallo stesso Gaber in coppia con Mariangela Melato) e che certo non ricava sostanziali patenti di attualità dalla rinfrescatina, qui perseguita, a base di Face Book e messaggini via cellulare. E non resta, quindi, che attaccarsi - oltre che al sax di Zurzolo, che si esibisce dal vivo, ed è la cosa migliore dell'allestimento, con la sua valorosa band - alla prova offerta dai due interpreti.
Prevale, ai punti, Luca Barbareschi, che piazza due o tre colpi (penso soprattutto al commosso monologo sulla morte del padre) di efficacia notevole. E non è che Chiara Noschese non sia brava. Ma talvolta viene spinta fuori registro, nelle sequenze drammatiche, da quella stessa sua voce buffamente stridula, e simpaticissima, che ancora non a caso l'ha imposta nei musical. Alla «prima», infine, non mi è parso di scorgere in sala i pianti garantiti da Barbareschi. La cronaca registra solo risatine sparse.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 12 novembre 2009)