CONTROSCENAIl teatro visto da Enrico Fiore |
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La differenza fra il «Mistero Buffo» di Dario Fo e «Il Mistero Buffo di Dario Fo» che Paolo Rossi presenta al Bellini sta tutta nei sottotitoli: quello di Fo recitava «Giullarata popolare in lingua padana del 400», quello di Rossi recita «PS: nell'umile versione pop».
In breve, il «Mistero Buffo» di Fo era un gesto politico, che non a caso, nel '69, segnò per il futuro Nobel l'abbandono dei circuiti teatrali convenzionali e il passaggio con una compagnia-collettivo a quelli alternativi. E ancora non a caso, del resto, Fo adottava una forma, la giullarata, e uno strumento espressivo, la lingua padana del 400, essi stessi «rivoluzionari» rispetto alle pratiche spettacolari correnti. Rossi, invece, sostituisce il «popolare», ossia la visione di classe esaltata dall'opzione ideologica, con il «pop», ossia con l'immersione per l'appunto «umile», cioè avulsa dalla pretesa di lanciare messaggi, nel crogiolo di oggettività, iperbole e provocazione che costituisce la temperie sociale e culturale di oggi.
Ma proprio in questa differenza consistono l'acume e la godibilità dell'operazione realizzata dallo gnomo nazionale di nome Paolo: altrimenti si sarebbe trattato soltanto di un omaggio, tutto sommato poco significativo, al maestro e all'amico. Rossi, insomma, ricava dal capolavoro di Fo suggestioni che storicizza. Sicché, al posto della Commedia dell'Arte in cui pescava il gran Dario (ne rimane appena l'inconfondibile palchetto), qui s'accampa la satira «urbana», e insieme graffiante e surreale, che viene dal Derby, il mitico locale milanese nel quale Rossi si fece conoscere.
Tanto per dire, quelli che Licia Colò presenta come pinguini dell'Antartide sono, in realtà, migranti tunisini che si sbattono le braccia contro i fianchi per vincere il freddo. E poi una pioggia di frecciate sui vari Belpietro, Di Pietro, Bertolaso, Andreotti, Emilio Fede, Lele Mora, Ruby... a parte, ovviamente, un certo anfitrione mai chiamato per nome ma sempre presente e «promettente».
Straripante e irresistibile, s'intende, è Paolo Rossi: con la camicia fuori dei pantaloni e il cappelluccio ammaccato in testa, caracolla da un capo all'altro del palcoscenico e si ferma solo quando, a soggetto, prende di mira qualcuno tra il pubblico. E, sotto la regia di Carolina de la Calle Casanova, gli tengono mano a dovere il fido Emanuele Dell'Aquila, chitarrista col vizietto del recitare, e Lucia Vasini, applauditissima nell'interpretazione di un brano della Passione, l'unico ripreso fedelmente dal «Mistero Buffo» originale.
Appunto, la migliore recensione dello spettacolo sta nel primo insegnamento di Fo a Rossi: «In teatro rubare è cosa buona, copiare pari pari è da coglioni».
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 7 aprile 2011)
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