CONTROSCENAIl teatro visto da Enrico Fiore |
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Circa «The suit», lo spettacolo di Peter Brook presentato al Mercadante nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia, c'è da chiedersi che cosa abbia in più e che cosa abbia in meno rispetto alla sua versione precedente (e vista più volte, dieci anni fa anche a Città della Scienza) intitolata «Le costume». E rispondo subito e in breve: ha molta più musica, eseguita dal vivo, e molta meno capacità di emozionare.
La storia, ripresa stavolta dal testo originale inglese del nero sudafricano Can Themba, è quella di Matilda, che, sorpresa dal marito Philémon a letto con un altro, viene costretta a convivere, fino a morirne, col vestito dell'amante. E non a caso questa storia nacque, nella versione orale, in uno degli «shabeen», i locali clandestini della periferia di Johannesburg in cui, ai tempi dell'apartheid, si riunivano a sognare la libertà scrittori, ladri, puttane e musicisti. Si tratta, dunque, di un racconto tanto comico e surreale quanto metaforico e allusivo.
Era stata soprattutto la disperazione che aveva spinto al «tradimento» Matilda. E infatti, la sequenza più alta della versione precedente dello spettacolo la vedeva, Matilda, mentre s'abbandonava, soltanto fingendo di cantare, al ritmo dolcissimo di una béguine che la trasportava lontano: lontano dalla segregazione e dalla paura.
Ma quella sequenza ora non c'è più. E invece ci sono - nella cornice di una rappresentazione che punta in buona sostanza sull'intrattenimento - le incursioni in platea degli attori, le strizzatine d'occhio in italiano, l'happening con alcuni spettatori (fra i quali, alla «prima», anche l'assessore Miraglia) cooptati sul palcoscenico a partecipare alla festa in casa di Philémon e Matilda. Sicché risulta un po' appiccicata la «Strange fruit» («un corpo nero dondola nella brezza del Sud») che fu dell'immensa Billie Holiday.
Non più che corretti mi sembrano, infine, gl'interpreti Jared McNeill (il narratore), Nonhlanhla Kheswa (Matilda), William Nadylam (Philémon) e Rikki Henry (l'amante). Quelli della prima edizione dello spettacolo, vista nel 2000 al Premio Europa per il Teatro, erano davvero un'altra cosa, a cominciare dall'indimenticabile Princess Erika nel ruolo della protagonista.
Resta, certo, l'incomparabile maestria di Brook nel creare intorno agli oggetti un alone praticamente infinito di rimandi e sensazioni. Ma, come dire?, l'impressione è di trovarsi di fronte a una pratica d'archivio.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 24 giugno 2012)
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