Come sappiamo, ne «Il gabbiano» chi dorme, e in continuazione, è l'anziano Sòrin. E invece s'intitola «Los hijos se han dormido (I figli si sono addormentati)» la riscrittura del capolavoro cechoviano firmata da Daniel Veronese e che il Napoli Teatro Festival Italia presenta, al Nuovo, nell'ambito del «focus» sulla drammaturgia argentina di punta.
Quel titolo, in breve, è da intendersi nel senso che, per Veronese, son saltati anche i due poli astratti (un passato da rimpiangere e un futuro da sognare) fra i quali languiva, come in un limbo, il presente asfittico di Cechov. Non contano, e comunque vengono rifiutati, persino i legami di sangue più diretti. Infatti, per ben due volte Mascia dirà, prima a Sòrin e poi a Medvèdenko, che Sciamràev non è suo padre; e a lei, di rimando, lo stesso Sciamràev dirà di non chiamarlo papà perché non è sua figlia.
Di conseguenza, cancellati tanto il passato quanto il futuro (simboleggiati, per l'appunto, dai padri e dai figli), in questo presente - mutuato da Cechov alla luce della gelida e corrotta quotidianità odierna - s'accampano soltanto pratiche volgari. A un certo punto, per sottolineare il disprezzo che prova per lui, Mascia ingiunge a Medvèdenko di abbassarsi i pantaloni; e in una sola pagina del testo s'affollano addirittura quattro didascalie riferite a Trigòrin che si sta gustando il suo brodo.
Perfettamente in linea con un simile impianto è, poi, la regia dello stesso Veronese. Il tono generale appare, contemporaneamente, dimesso e degradato. E in un unico ambiente, un soggiorno concentrazionario, i personaggi girano in tondo, e reiteratamente si aggrediscono, proprio come bestie in gabbia. Eppure, si avverte, al fondo di tanto grigiore e di tanta sofferenza, il tenero soffio di un sentimento nonostante tutto cercato: quelle «bestie» si baciano come se si mordessero e si mordono come se si baciassero.
Ottimi, infine, gl'interpreti di questo spettacolo, insieme bello ed acuto: spicca su tutti Maria Onetto (Irina), affiancata, fra gli altri, da Maria Figueras (Nina), Berta Gagliano (Polina), Lautaro Delgado (Trepliòv), Ana Garibaldi (Mascia) e Osmar Nuñez (Trigòrin). Ecco, insomma, un esempio probante di come si possa rileggere un classico con gli occhi di oggi, attualizzandolo senza tradirlo.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 15 giugmo 2012)
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