In un mare di parole, lo sappiamo, affogano il ribellismo sterile di Jimmy Porter, l'affetto remissivo di sua moglie Alison, la neutralità disarmata del loro comune amico Cliff Lewis e lo snobismo pretenzioso di Helena Charles, l'attricetta amica di Alison. E non c'è altro che questo in «Ricorda con rabbia», il celeberrimo testo di Osborne adesso in scena al Bellini per la regia di Luciano Melchionna. Si tratta, dunque, di tre atti che - un'autentica esplosione al debutto, nel 1956 - risultano oggi estremamente e irrimediabilmente datati e localizzati.
Infatti, per cominciare, parliamo di un testo legato al movimento letterario, e caparbiamente letterario, degli «angry young men»: basta considerare che qui si cita (e forse ne salto anche qualcuno) una folla di narratori, poeti e drammaturghi come, nell'ordine, Emily Brönte, Eliot, Wordsworth, Shelley e, naturalmente, Shakespeare, senza contare che la prima battuta di Jimmy verte sulle recensioni dei libri; e, per quanto concerne l'orizzonte storico della commedia, siamo di fronte all'Inghilterra della decolonizzazione.
L'unico modo per mettere oggi in scena un testo del genere sarebbe, allora, quello di «allontanarlo», di collocarlo, cioè, in una dimensione non realistica, di modo che i suoi personaggi appaiano come «segni» di un certo modo di essere trascorso, «anatomizzati» alla luce di tutto quanto è avvenuto dopo gli anni di Osborne.
Melchionna, invece, si avventura sulla strada di un'impossibile attualizzazione: da un lato cancella il personaggio del colonnello Redfern, il padre di Alison reduce dall'India, e dall'altro trasforma la stanza-bunker in cui si svolge l'azione in un deposito di elettrodomestici che alla fine sarà chiuso da una saracinesca. Come a dire che la rabbia di Osborne è finita nella gabbia del consumismo.
Il problema, però, è che le parole restano quelle del '56. E con esse son costretti a fare i conti gl'interpreti in campo: Daniele Russo (Jimmy), Stefania Rocca (Alison), Marco Mario De Notaris (Cliff) e Sylvia De Fanti (Helena). I risultati oscillano fra lo strillato e il melodrammatico.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 13 dicembre 2013 - www.controscena.net)
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