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Io sono Li, film, Francia,Italia 2011

Post n°79 pubblicato il 19 Ottobre 2011 da cineciclista
 

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“Io sono Li”

 Energia poetica e forza della realtà in quel caffé sul canale

di Riccardo Tavani

Un elemento che sorprende subito in questo film è il contrasto tra la durezza delle condizioni di vita della protagonista, Shun Li, e una sorta di continua sospensione, sfumatura del dramma tra le nebbie e le acque tese della laguna di Chioggia. È come, però, se questa sospensione si offrisse come una via indiretta, poetica e stilistica insieme, per farci esperire più densamente, sensibilmente il suo dramma umano. Shun Li lavora in un laboratorio di cucitura nella zona del Prenestino a Roma e vive in una misera stanzetta divisa con un'altra compagna. È completamente nelle mani dei suoi padroni cinesi, i quali hanno pagato le spese per il passaporto e l'espatrio dalla Cina e ora lei deve restituire quei soldi piegandosi silenziosamente a ogni loro richiesta lavorativa. Anche perché Shun Li vuole ricongiungersi al suo piccolo figlio che vive in Cina con il nonno e solo se lei si dimostrerà sempre disponibile e ubbidiente i padroni le daranno “la notizia”, ovvero le comunicheranno quando avrà raggiunto la cifra per pagare anche questo ricongiungimento. Da Roma, Shun Li viene mandata a lavorare a Chioggia, in un caffé, il Bar Paradiso, che i cinesi hanno comprato dalla vecchia proprietaria Maria e che si trova su uno dei canali della laguna. Qui la sua desolata vicenda umana si incrocia con quella di un piccolo gruppo di avventori del bar, tra cui  Bepi, un vecchio pescatore di Pola che vive da trent'anni su quella laguna e parla un suo particolare, affascinante dialetto slavo-chioggiotto. È qui che contemporaneità sociale, attualità esistenziale e processo di finzione poetica cominciano a fondersi per dare l'uno più forza di realtà all'altra. Per raggiungere il massimo di realismo, bisogna fare ricorso al massimo di costruzione artefatta, intesa come messa in forma artistica e stilistica di una scoperta finzione poetica. Senza questo ricorso non riusciamo ad attingere un autentico realismo ma ci fermiamo a una sua riproduzione ingenua o di vuota imitazione. L'acqua calma della laguna, che trabocca a tratti dal canale e, inquadrata quasi a pelo di superficie, sembra fuoriuscire dallo schermo e sommergere anche noi spettatori, ci dà proprio il senso liquido di questa compenetrazione. Così le disperate solitudini di Li e Bepi, che li spingono l'uno verso l'altra, sono rese non tanto dai dialoghi, quanto dal suono delle voci, che hanno sempre una nuda tonalità poetica. Risonanza scarna e roca quella del vecchio pescatore; flebile e musicale quella di Shun Li, sia quando parla in cinese, scrivendo al figlio e pronunciando i versi dell'antico poeta Qu Yuan, sia quando parla in italiano. È proprio questa grande potenzialità poetica collettiva dell'immagine cinematografica a farci sentire più acutamente le autentiche possibilità umane di cui ci priva la dura legge di una realtà come dedizione completa al lavoro, prima, e poi come desolante abbandono una volta in pensione. Il regista Andrea Segre si è fatto le ossa girando documentari, nei quali ha usato la chiave della diretta crudezza per rappresentare vicende umane drammatiche. In questa sua prima opera di finzione, invece, ha perfettamente calibrato l’uso della poesia, caricando ogni sequenza di quella che potremmo definire una vera e propria “immagine energia”. 

 

 
 
 
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