Creato da cineciclista il 20/06/2010

CycloCinema

blog

Messaggi di Ottobre 2013

Lo scandaloso ombrello de dios del Pibe de Oro e il vomito del diavolo

Post n°144 pubblicato il 22 Ottobre 2013 da cineciclista
 

Non c’è niente da fare, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a giudicare in modo oggettivo l’ombrello di Maradona ad Equitalia. Lui resta un divo, una semidivinità, nonostante gli squassanti e sguaiati impicci nei quali si è cacciato per tutta la vita. Nei suoi confronti nutriamo qualcosa di visceralmente erotico. È l’eros, il fascino insiti nella morbidezza del suo corpo quando agiva sul quel grande lenzuolo verde dei sogni e delle illusioni che è un campo di calcio. Morbidezza che è rimasta ancora oggi ben impressa nel nostro immaginario, e che noi sogniamo sempre in ogni atleta, attore, attrice, cantante, amore, amante.

Anche quando tale morbidezza è diventata in lui  patetica mollezza, questa non riusciva a cancellate l’immagine dell’eterno fanciullo dal tocco divino che lui incarna. Anche il suo celebre goal di mano, abilmente camuffato di testa, è ancora oggi non solo perdonato ma celebrato lungo questa scia radiosa che ha lasciato dietro i tacchetti dei suoi scarpini. La mano de dios, fu chiamata. La stessa cosa dovremmo immaginare per questo (auto)goal di mano?

A rivedere bene il suo rapido gesto dell’ombrello, esso appare più rivolto al fatto di essere riuscito a non farsi sequestrare l’oro al polso e all’orecchio dai finanzieri, che alla sua vicenda fiscale. Vicenda che andrebbe raccontata meglio, ovvero ridimensionata, perché la cifra dei 40 milioni di euro che egli avrebbe evaso è davvero una grande sparata della stampa. Quella è la cifra che Equitalia gli addebita a seguito del cumulo di anni di more e interessi esponenzialmente scattati per non aver pagato la cifra contestata, né fatto ricorso nei termini dovuti contro tale contestazione. Due suoi meno famosi colleghi calciatori, i quali hanno invece impugnato a suo tempo l’addebito, ne sono usciti completamente intonsi. Maradona sostiene di non aver potuto fare ricorso semplicemente perché non ha ricevuto mai la cartella di Equitalia, trovandosi in quel momento all’estero.

Non sappiamo se le cose sul mancato ricorso siano andate effettivamente così, o se lui abbia furbescamente solo cercato di trovare la via traversa per non pagare il dovuto, secondo il noto costume nazionale, soprattutto da parte dei più abbienti e abbietti.

 Riporta un recente articolo del Corriere della Sera: “Dieci finanziarie ogni anno. È l'ammontare dell'evasione fiscale in Italia: ogni anno circa 300 miliardi di euro di imponibile vengono sottratte all’erario. Di queste, l'evasione di imposte dirette è 115 miliardi di euro, l'economia sommersa sottrae 105 miliardi, la criminalità organizzata 40 miliardi e 25 miliardi chi ha il secondo o terzo lavoro. La stima è stata fatta da Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti. it, Associazione contribuenti italiani, elaborando dati ministeriali e dell’Istat”.

Il nostro è un paese, uno stato fuorilegge. La legalità, della quale tanto gorgheggiano o tuonano dai media e dalle istituzioni, è storicamente e anche attualmente oltraggiata proprio dai suoi più stentorei tenori e soprano. Se la prendono con qualche fazzoletto o passamontagna sulla faccia che fracassa la vetrina di una banca durante un corteo, ma tacciono sull’ammasso stratosferico d’illegalità che hanno accumulato e sul quale continuano ad imputridire e galleggiare. Sottraendo beni, risorse e denaro a chi le tasse le paghe e guai se incorre nella più piccola irregolarità e andando a pescare ogni tanto il divo di turno per coprire meglio dietro i botti e le luci pirotecniche i mastodontici dati dell’evasione strutturalmente foraggiata e protetta.

Ora anche il gesto tanto rapido quanto istintuale del ragazzo d’oro, El Pibe de Oro, Diego Armando Maradona, è assimilato a quello di un coatto della suburra e utilizzato al pari di quello di uno spacca vetrine da manifestazione antagonista. Tutto torna utile per urlare, schiamazzare, sputare ringhiosa saliva pur di preservare la propria immunità, ipocrisia e falsità di Grand Commis dell’illegalità di stato e di fatto.

Uno scandaloso ombrello de dios dietro il quale occultare meglio el vómito del diablo.

 
 
 

L'intrepido ingiustamente disconosciuto

di Riccardo Tavani

Un film ingiustamente disconosciuto è senz’altro L’intrepido di Gianni Amelio, con una memorabile interpretazione di Antonio Albanese. Una pellicola disconosciuta innanzitutto dalla critica, che lo ha recensita negativamente, affibbiandogli, visivamente sulle pagine dei giornali o nel web, al massimo un paio di pallini, stellette, quadratini, ecc. Se questo ha influenzato preventivamente il pubblico a non andare proprio a vederlo, c’è da aggiungere subito dopo che il film è stato disconosciuto anche dagli spettatori che lo hanno visto.

D’altronde non è un film facile da recepire ed accettare. Ci descrive, senza falsa retorica, la nuda, cruda realtà della condizione di lavoro, e dunque di esistenza, di un’intera generazione. Anzi, dovremmo dire, di un’intera macro-generazione, in quanto non è più soltanto l’ultima generazione, ovvero quella dei più giovani. No, è un attraversamento di strati diversi di fasce di età, fino alla più adulta, se pensiamo alla beffa crudele inferta ai cosiddetti esodati, ovvero a coloro che, in procinto di andare in pensione, sono stati privati di ogni reddito e lasciati nudi alle nuove forme di intemperie sociali.  Una cross-generazione per la quale, considerati gli elevati livelli di istruzione, è stato coniato il termine di cognitivato, in sostituzione di quello orami obsoleto di proletariato. Solo la fame, sia quella di giustizia che quella fisica, materiale, con i suoi morsi allo stomaco vuoto, rimane la stessa.

Antonio Pane, questo il nome del personaggio interpretato magistralmente da Albanese, fa di mestiere il rimpiazzo. Lui rimpiazza quella moderna forma impermanente e polivalente di figura lavorativa che è il precario. Il suo cognome già lo dice: il pane si accompagna con qualsiasi tipo di companatico. Inoltre, il vocabolo pan, in greco antico, significa anche tutto, che sta dappertutto. Il suo livello di cultura è tale che in uno di quei concorsi monstre con migliaia di concorrenti, è in grado di compilare in pochi minuti e senza nessun errore le centinaia di quiz sottoposti e di consegnarli, segnalando ai professori addetti le scorrettezze linguistiche che essi contenevano. In pochi minuti, sì, ma non senza aver prima passato la soluzione a una ragazza che vede in notevole difficoltà. Tanto sa che lui quel concorso non lo vincerà, ma vuol dare una chance a qualcuno come lui, ma che forse possiede meno risorse esistenziali di lui. 

Antonio è separato da sua moglie, dalla quale ha avuto un figlio che ora studia al Conservatorio di musica e suona il sax in un gruppo che si esibisce nei centri sociali o altri luoghi alternativi. La passione per la musica l’ha ereditata dal padre e dal nonno, i quali, però, non sapevano leggere gli spartiti e suonavano ad orecchio. Paradossalmente, questo figlio, dato che la madre ha una sua posizione e si è anche risposata bene, ha un conto in banca e una carta di credito, con la quale si reca regolarmente allo sportello per fare… piccoli prestiti al padre.

Il film ci mostra una congerie di lavori ad alta instabilità dei quali non avremmo immaginato neanche l’esistenza, né le assurde modalità di esecuzione. È il tema questo dell’estrema flessibilità, indifferenziazione di ruoli e prestazioni alle quali è sottoposto il macro-cognitivato contemporaneo. Più generica, immediatamente rimpiazzabile è la prestazione, più dura è la condizione di sfruttamento, sotto retribuzione e umiliazione di questa cross-generazione acculturata e raffinata nei sentimenti, nei desideri e nelle idee. A una condizione senza più dio né tetto né legge corrispondono anche lavori di questa risma fuori ormai di ogni norma etica e morale. Una condizione imposta brutalmente quanto illegalmente dal capitale finanziario e monetario, ben rappresentato in una scena del film, come uno strabiliante ammasso di belle scatole vuote nel sottoscala di un negozio di scarpe nel quale Antonio va a lavorare. Il proprietario è un trafficante e spacciatore internazionale in protesi di gambe e braccia nelle zone del mondo dilaniate dalle guerre indotte e manovrate. Gli impone la giacca e la cravatta con queste secche parole: “Un uomo senza cravatta può comprare ma mai vendere”.

L’uomo, come la scatola, la confezione deve apparire bello, infiocchettato ma essere un vuoto: un vuoto, un corpo, una mente a perdere, da consumare, logorare come un qualsiasi altro mezzo, strumento. Eppure Immanuel Kant, uno dei padri dei valori fondanti la nostra civiltà ha lasciato scritto: “L’imperativo pratico deve dunque essere il seguente: agisci in modo, da non usare mai l’umanità sol come mezzo, ma pur sempre come fine tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro.

È un film, questo di Gianni Amelio, destinato ad essere riscoperto, riconosciuto nel suo stringente valore poetico, drammatico e di verità. È l’esordio di una nuova forma di neo-realismo italiano, il quale ha richiamato per molti la lezione del 1951 di De Sica e Zavattini in Miracolo a Milano.

 
 
 

Dudù Republic

Post n°142 pubblicato il 05 Ottobre 2013 da cineciclista
 

 photo aa854425-da11-4b89-95ab-2e17483fb6e5_zpsbc14d013.jpg

di Riccardo Tavani

Una volta c’erano le Banana Republic, ovvero quelle degli statarelli dittatoriali caraibici, messe su e buttate giù dagli yankee americani, a secondo del rapido mutare delle loro convenienze, attraverso la sostituzione di un carnevalesco caudillo con un altro ancora più pagliaccesco (cosa che non evitava però tragiche carneficine). Oggi siamo alle Bubù, Fofò, Dudù Republic. E neanche più ai famigerati Stati Canaglia ma alle Nazioni Canile. L’Italia ha orgogliosamente impresso una accelerazione decisiva a questa cruciale corsa canina o Dog Racing  planetaria.

Dudù, infatti, riesce a fare molto di più che soltanto a correre. Riesce niente di meno che a selezionare la classe dirigente. Il Corriere della Sera del 3 Agosto scorso ha svelato che quando arriva Daniele Capezzone, Francesca Pascale deve prendere in braccio il suo barboncino che si mette ad abbaiare e a ringhiare contro di lui (che pure è portavoce del partito) e vorrebbe morderlo (ma magari solo inculargli la gamba o pisciargli sul risvolto dei pantaloni). Viene da chiedersi solo chi ha preso poi in braccio la Pascale quando in questi giorni stava per azzannare la Santankè, Bondi e Verdini, facendoli scappare giù per l’ampio scalone della anche sua residenza romana (come ci ha tenuto a precisare).

D'altronde era su questo stesso nostro sacro antico suolo che la Storia aveva visto nominare Senatore un cavallo. Il nostro è diventato invece un Can Can Senato.

Solennemente convocata per accordare o rigettare la fiducia al Governo, la seduta, cioè l’accucciata è iniziata tra un feroce abbaiare e ringhiare, con catene tese fino alla deformazione degli anelli, i denti canini pronti ad azzannare alle giugulari.

Il Dobermann Bondi di Fivizzano ha latrato un discorso da ex accalappiacani, ora vendicatore di tutte le cacche-guano disseminate nel cortile, sui cornicioni e sui tappeti di Palazzo Grazioli dalle Can Colombine. Non solo ha ululato l’assolutamente irrevocabile voto di sfiducia del suo P-detto della Libertà, ma ha anche berciato un “Vergogna!!!”, che era come uno staccare a morsi lo scranno su cui era seduto e sputarlo con tutta la sua schiuma di bava idrofoba contro l’assemblea.

E che dire del Canis Pugnax Brunetta? Capo branco gruppo parlamentare alla Camera, ha ufficialmente dichiarato, abbaiando stizzosamente davanti a tutte le televisioni e organi ti stampa nazionali e internazionali, il voto di sfiducia decretato all’ululatumanità in nome di tutto il gran Pdl-gree.

Un quarto d’ora dopo Dudù ha preso Cansilvio d’Arcore al guinzaglio, gli ha messo la museruola, lo ha menato in Senato e si è esibito con lui nel più esilarante numero del ventriloquo mai visto prima in diretta tivù. La gran canea di ringhi, latrati, ululati, catene tese con gli anelli che si stavano spezzando, si è improvvisamente trasformata nel soave guaiolare di un fido cagnetto da salotto, ben educato, lavato, batuffolato e incipriato, quale Dudù è (a parte il pelo dritto per Capezzone). Ai  secchi morsettini-comandi di Dudù, Cansivlio, con la coda tra le zampine posteriori e le orecchie abbassate, si è poi esibito in una piroLetta senza precedenti, che ha lasciato tutti di… cacca canina… disseminata sui marciapiedi della Repubblica Italiana.

Senza neanche avvisare il branco di Can Falchi mandato prima all’azzanno, ha voltato il muso e il fiuto in direzione opposta e ha votato la fiducia al Governo di tutto il suo partito ancora schiumante bava dalla lingua assetata d’onorevole sangue istituzionale. Ma come?!? Tutti si sono accucciati?!? E la Libertà... di voto... di espressione parlamentare, pure solennemente proclamata?

Non importa, è solo un insignificante dettaglio della cronaca, perché in quel preciso istante la Dudù Republic faceva il suo batuffoloso, bubùffonesco ingresso nella Storia, proprio qui a Roma, dagli ori, gli arazzi e gli stucchi senatoriali di Corso Rinascimento… La Storia, invece, si grattava il pelo per la nuova, insolita nube di fetide zecche che gli si attaccava addosso. 

 
 
 

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Ottobre 2013 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

ULTIME VISITE AL BLOG

sotto.traccialufrecaventogioriva0estinetteeRecreationzyggieemanuele.zangacristian.hulksexydamilleeunanotteoscardellestelleElemento.Scostanteclock1991Stolen_wordsAllison_MBvololow
 

SONO ANCHE IN:

 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963