Creato da AIUTATECE il 31/05/2008

UOMINI SENZ'ANIME

LA VITA CHE NON C'E'

 

 

Vittima di una rapina di 2 euro

Post n°7 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE
 

Domenico Costabile, 49 anni, sposato e padre di tre figli,
è stato colpito alla testa con una pistola dai rapinatoriNapoli, rapina finisce in tragedia
ucciso per pochi euro da due balordi

NAPOLI - Ucciso da due balordi, forse tossicodipendenti, che per rubargli i pochi euro che aveva l'hanno colpito con una pistola alla testa. La vita di Domenico Costabile, 49 anni, è stata stroncata ieri sera a Napoli, nel quartiere Barra. Lascia la moglie e tre figli.

Costabile, dipendente di una Asl, era lungo corso Sirena quando è stato avvicinato e colpito alla testa con una pistola, forse anche preso a calci. L'uomo si è accasciato a terra, è stato soccorso e ha riferito di essere stato rapinato ma è morto per l'emorragia mentre arrivava in ospedale.

La Squadra Mobile della Questura sta tentando di risalire agli assassini cercando testimoni, qualcuno che possa dare una mano per cercare di fare luce nell'indagine. "Era un povero Cristo, è stato un delitto efferato", sussurra un poliziotto che attesta la ferma determinazione di individuare i responsabili della brutale aggressione. Gli inquirenti propendono per la rapina come ipotesi principale anche se non tralasciano altre possibili piste. Le indagini sono concentrate nei quartieri di Barra e San Giovanni alla ricerca di indizi utili.

(9 gennaio 2008)

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE

 
 
 

KATAWEB

Post n°5 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE

Camorra: Tornano gli omicidi traseversali

2 maggio 2008 alle 19:12 — Fonte: repubblica.it 0 commenti

Umberto Bidognetti, 69 anni, incensurato, padre di Domenico, boss dei Casalesi e poi pentito di camorra, è stato ucciso questa mattina in una azienda bufalina nel territorio del comune di Castelvolturno.

Bidognetti stava per mettersi al lavoro nella masseria “Sementini” in località Mazzafarro intestata alla nuora intorno alle 6 quando è stato raggiunto dai sicari, forse due persone, che gli hanno sparato contro una dozzina di colpi, uccidendolo sul colpo. L’uomo era anche lo zio di Francesco Bidognetti, detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”, il capo della cosca piu’ potente dei Casalesi, attualmente detenuto, invitato a pentirsi nei giorni scorsi dalla compagna, Anna Carrino, anche lei collaboratrice di giustizia. Uno dei colpi sparati contro Umberto Bidognetti era alla testa, seguendo un rituale camorristico. Secondo quanto si è appreso, due tunisini erano presenti sul posto dell’agguato ma hanno potuto raccontare alle forze dell’ordine solo di aver udito gli spari. Domenico Bidognetti ai magistrati aveva tra l’altro detto che “la camorra è il male assoluto e i camorristi sono dei semplici buffoni”.

AGI

 
 
 

CORRIERE DELLA SERA

Post n°4 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE

Nuovi regolamenti di conti della malavita in città
Napoli: due omicidi di camorra
Il primo all'1,30 di notte a Mugnano, alle porte del capoluogo campano. Il secondo in mattinata nel quartiere di Poggioreale
NAPOLI - Giornata di sangue a Napoli, con un bilancio di due morti. In precedenza si parlava di tre morti visto che era stato inserito tra i delitti anche quello di Gianluca Pianese, 18 anni, pregiudicato agli arresti domiciliari, mentre è stato poi precisato che il giovane è morto in seguito a un incidente stradale senza che sia stato raggiunto da colpi d'arma da fuoco, come era stato ipotizzato in un primo momento.
DUE OMIDICI - La giornata è stata segnata da due omicidi, entrambi di probabile origine camorristica. Giuseppe D'Alterio, 57 anni, è stato ucciso dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco mentre era a bordo della sua macchina, a Mugnano (Napoli). La dinamica dell'omicidio ancora non è del tutto chiara ma, secondo una prima ricostruzione della polizia, D'Alterio sarebbe stato affiancato da un'altra auto, dalla quale ignoti avrebbero sparato diversi colpi di arma da fuoco. D'Alterio conta anche un precedente anche se risalente a diversi anni fa. Antonio Scarpato, 61 anni, è stato invece ucciso nel quartiere Poggioreale di Napoli a colpi di arma da fuoco mentre si trovava a bordo della sua auto. L'uomo, che ha piccoli precedenti, fa parte della ditta Scarpato che si occupa della custodia di auto e moto sequestrate.
08 agosto 2007

 
 
 

TRE OMICIDI IN POCHE ORE

Post n°3 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE
 

omicidio.jpgTre morti in poche ore sono stati ritrovati dalle forze dell’ordine in provincia di Napoli. Si tratta di tre omicidi di stampo camorristico, due nell’area nord, apparentemente legati l’uno all’altro, e il terzo, questa mattina ad Ercolano. Andando con ordine i killer sono entrati in azione a Villaricca, dove è stato giustiziato il 39enne Giuseppe Caputo. Il suo corpo è stato ritrovato qualche ora più tardi in una automobile data alle fiamme. A Calvizzano invece è stato ucciso il 30enne Giovanni Moccia. La vittima stava camminando a piedi in via Calamandrei quando è stata uccisa con diversi colpi d’arma da fuoco da uno o più sicari. I due agguati potrebbero essere stati portati a termine anche dalla stessa mano, a detta delle forze dell’ordine, visto che si tratta di una risposta dei Leone Puccinelli all’omicidio del suocero del boss emergente. Entrambe le vittime erano di Marano. Nell’agguato di stamattina ad Ercolano è stato uccisoVincenzo Abate. La vittima è stata identificata dagli agenti di polizia del commissariato Ercolano-Portici ed aveva 46 anni, probabilmente era affiliato al clan Birra. Abate è stato raggiunto da tre colpi di arma da fuoco alla testa e al torace mentre era in piazza Pugliano ad Ercolano. L’uomo stava percorrendo via Canalone a bordo di uno scooter, quando i sicari gli hanno esploso contro diversi colpi di arma da fuoco, proprio di fronte alla basilica di Pugliano.

 
 
 

Gli affari dei boss-manager in tutto il Nord

Post n°2 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE
 

In autunno processo d'appello ad una famiglia della camorra casertana
L'anno scorso 21 ergastoli e novanta condanne contro l'organizzazionedi ROBERTO SAVIANO 

Il boss dei Casalesi, Francesco Schiavone detto "Sandokan"

Bin Laden è riuscito a mettere le mani su uno dei territori più ambiti, il centro di Milano, nella cerchia dei Navigli. Via Santa Lucia è una di quelle stradine signorili, tranquille, quasi invisibili che però stanno a due passi dai locali più di moda e dagli imponenti palazzi storici dove avvocati e notai hanno i loro studi e dove gli imprenditori cercano appartamenti e showroom per vivere accanto alle vecchie famiglie milanesi. Proprio lì si trova l'ultima preda urbanistica di una città che prevalentemente vede espandere i suoi fianchi, e nelle periferie duplicare e triplicare persino il proprio nome. Invece aveva un cuore intatto, un territorio illibato su cui poter ancora edificare e vendere a 15mila euro al metro quadro. Proprio lì è riuscito ad entrare Bin Laden, nel grande affare immobiliare milanese.

Bin Laden non è il temibile capo di Al Queda, non è saudita, non è neanche islamico e non conosce altra fede che il danaro. Bin Laden è il soprannome di Pasquale Zagaria, imprenditore del clan del cemento, il clan dei Casalesi, è originario di Casapesenna, un paesino del casertano dove ci sono più imprese edili che abitanti. Bin Laden è il soprannome che emerge dalle indagini dell'antimafia di Napoli coordinata dai pm Raffaele Cantone, Raffaello Falcone e Francesco Marinaro: un appellativo dovuto alla sua capacità di sparire e soprattutto alla sua temibilità, alla paura che il suo nome genera soltanto a pronunciarlo. Si racconta però che tale soprannome fosse uscito fuori quasi per gioco: se avessero messo una taglia su Pasquale Zagaria come quella su Osama, alcuni imprenditori del clan e i loro gregari dichiararono ironici che l'avrebbero tradito, poiché se diveniva materia di profitto pure la fedeltà, allora era giusto poter contrattare e vendere anche quella.


Pasquale "Bin Laden" Zagaria, secondo le accuse dall'antimafia di Napoli, è uno degli imprenditori capaci di egemonizzare i subappalti dell'Alta Velocità Napoli-Roma, di determinare i lavori della linea ferroviaria Alifana, di avere ditte pronte ad entrare nell'affare della Tav Napoli-Bari e nel progetto della metropolitana aversana, e infine pronti a gestire la conversione a scalo civile dell'aeroporto di Grazzanise, che dovrebbe divenire il più grande d'Italia. Le imprese di Zagaria hanno vinto sul mercato nazionale grazie ai prezzi concorrenziali, alla capacità di muovere macchinari e uomini e alla velocità di realizzazione. Costruiscono ovunque in Emilia Romagna, Lombardia, Umbria e Toscana. La crescita esponenziale di Pasquale Zagaria, la sua ascesa fino a diventare uno dei più importanti imprenditori edili italiani, è avvenuta soprattutto da quando è stato in grado di collocare il cuore del suo impero e quello dei Casalesi in Emilia Romagna, in particolar modo a Parma, che è oggi una delle città che più hanno a che fare con la camorra, avendo assorbito nel suo tessuto economico i capitali dei clan.

Ma non c'è stata alcuna colonizzazione, piuttosto il contrario. A nord le imprese edili crescono velocemente, lavorano, costruiscono, vendono, acquistano, affittano, soltanto che non raramente entrano in crisi. Così è necessario che arrivino capitali nuovi, uomini e gruppi capaci di rassicurare le banche e di intervenire immediatamente. La camorra Casalese offre condizioni ottimali: i capitali più cospicui, le migliori maestranze e l'assoluta supremazia nel risolvere qualsiasi problema burocratico e organizzativo. E il clan Zagaria, che detiene all'interno del clan la leadership del cemento, può fare meglio di ogni altro competitore nell'acquisto di terreni, nella capacità di scegliere i materiali al miglior prezzo, nel reperire terreni edificabili, nel trasformare pantani inaccessibili in appetibili terreni dove costruire condomini lussuosi.

La figura che unisce Bin Laden Zagaria a Parma è il costruttore Aldo Bazzini. Uomo del cemento con interessi a Milano Parma e Cremona, secondo le accuse diviene testa di legno di Zagaria quando il loro sodalizio si fortifica attraverso il matrimonio. Bin Laden sposa la figliastra di Aldo Bazzini che, in una telefonata fatta con il suo avvocato Conti, commenta così la novità.
Conti: La figlia dove è andata?...
Bazzini: La figlia ha sposato un... un grosso boss! Eh! Giù!
C: Ma che roba! E sta bene?!
B: E sta bene!
C: Quel marito lì gliel'ha trovato lei! eh, BAZZINI?!
B:(ride)... Eh si eh!
C: Bisogna stare attenti a venire con lei!... Se no mi trovi il marito anche...
B: (ride)
C: E' un boss veramente?
B: Eh si, si, si!
C: E lei fa... fa la vita da... da ricca?
B: Da ricchissima guardi!
C: Da ricchissima!
E effettivamente la vita migliora. In un appunto trovato dai carabinieri sono segnate le spese degli Zagaria, e tra basolati, calcestruzzi, cotti e intonaci si trovano elencati 19mila euro per una gita di un giorno a Montecarlo e 20mila per una spesa ad Oro Mare, la città dei gioielli.

Così dopo il matrimonio del boss le imprese di Bazzini, che andavano lentamente verso il tracollo, iniziano a riprendersi grazie ai capitali e alle competenze dei Casalesi. Ed è interessante vedere come i nomi di imprese di Bazzini che secondo la DDA di Napoli di fatto sono gestite dai Casalesi siano completamente slegati dal territorio meridionale. Nuova Italcostruzioni Nord srl, Ducato Immobiliare srl e persino un'impresa dedicata all'autore della Certosa di Parma, la Stendhal costruzioni srl.

L'Emilia Romagna è sempre stata territorio di investimento del clan dei Casalesi. Giuseppe Caterino, arrestato in Calabria due anni fa, era un boss che a Modena aveva il suo feudo. In via Benedetto Marcello da sempre esiste una roccaforte casalese e poi a Reggio Emilia, Bologna, Sassuolo, Castelfranco Emilia, Montechiarugolo, Bastiglia, Carpi. Basta seguire il percorso delle imprese edili e la sofferenza di molti emigranti dell'agro aversano, vessati dai loro compaesani dei clan. Persino le modalità militari furono esportate nei territori di investimento. Si iniziò il 5 maggio del 1991, con un conflitto tra paranze di fuoco dei casalesi a Modena. Il 14 marzo del 2000 vi fu un agguato a Castelfranco Emilia. E poi a Modena qualche mese fa, il 10 maggio 2007, è stato gambizzato Giuseppe Pagano, titolare dell'impresa edile Costruzioni Italia.

Il tessuto connettivo italiano è il cemento. Cemento è il sangue arterioso della sua economia. Col cemento nasci e divieni imprenditore, lontano dal cemento ogni investimento traballa. Il cemento armato è il territorio dei vincenti. In silenzio il clan del cemento ha preso potere in Italia, un silenzio che si è costruito con la certezza che quanto lo riguarda non sarebbe rimbalzato oltre ai confini campani. Un clan sconosciuto in Italia e invece notissimo e temutissimo laddove riesce ad egemonizzare ogni cosa. Il pm Raffaele Cantone, al processo contro il clan Zagaria, ha detto con fermezza: "Ci troviamo di fronte a boss che agiscono, pensano, e si relazionano come imprenditori. E sono imprenditori. Dire che esiste il clan Zagaria e che comandi su tutto il territorio è come dire che si respira aria".

Il clan è riuscito a divenire così potente perché a sud controlla completamente il ciclo del cemento. Impone le forniture, gestisce ogni tipo di appalto, detta le leggi del racket per ogni lavoro. Un sistema che non permette smagliature. L'estorsione diviene uno strumento fondamentale per mettere in relazione tutto e tutti nella stessa rete economica e chi è sotto estorsione ne fa obbligatoriamente parte. Ci sono decine di telefonate in cui imprenditori chiedono agli uomini del clan: "Fatemi faticare", e altre telefonate per non far partecipare alle aste fallimentari: "siamo di Casapesenna, quei terreni sono nostri". Basta pronunciare il paese di provenienza e ogni buon imprenditore comprenderà. Il calcestruzzo è monopolizzato da loro, chiunque voglia lavorare deve interloquire con loro, loro condizionano tutti i produttori di cemento: Cocem, Dmd Beton, Luserta, Cls.
Nessun cantiere può impegnare ditte che non abbiano ricevuto il permesso di lavorare dai Casalesi. Nelle indagini emerge un episodio significativo: una ditta a loro apparentemente sconosciuta stava lavorando senza il "permesso" al cantiere del canile di Caserta. D'immediato l'ordine fu: "Blocca i camion, non far più faticare nessuno". Poi scoprirono che la ditta che lavorava al canile era una delle loro miriadi di emanazioni e tutto tornò in regola.

E così le imprese dei clan riescono a risparmiare, vincono gli appalti a sud e migliorano le loro qualità a nord. Crescendo sono riusciti ad arrivare alle grandi opere. Nel 2003 si vara il progetto dei grandi cantieri del governo Berlusconi; secondo le indagini della Dda di Napoli, in un albergo romano ha luogo un summit per tentare di far entrare il clan nel progetto. Roma è territorio noto ai Casalesi, hanno già tentato la scalata alla squadra della Lazio, sono divenuti i partner vincenti di Enrico Nicoletti, boss della Banda della Magliana. Il luogo di incontro è una sala riunioni di un hotel della zona di via Veneto. C'è il costruttore Aldo Bazzini, c'è il boss Pasquale Zagaria, c'è Alfredo Stocchi, politico, ex assessore socialista, e c'è infine il presidente del consiglio comunale Bernini, consulente del ministro Lunardi. Giovanni Bernini, uomo di punta in Emilia Romagna di Forza Italia, nel '94 viene eletto a Palazzo Ducale, nel 2002 è il più votato di tutta la Casa delle libertà. Bernini, che l'Antimafia napoletana interroga come testimone, spiegherà che Zagaria gli era stato presentato come un imprenditore, cosa reale del resto, ma dichiara che ignorava fosse anche un boss. L'inchiesta si ferma qui, quello che è accaduto dopo non si sa. Ma è evidente che non sono i clan ad avere bisogno delle grandi opere, bensì il contrario. Il cemento chiama il cemento più efficiente, i prezzi più convenienti.

Pasquale "Bin laden" Zagaria era latitante, lo cercavano invano mentre le sue ditte satellite continuavano a vincere appalti. Ma in seguito si è consegnato. Si è consegnato ed ha chiesto il rito abbreviato. Al processo, al Tribunale di Napoli, c'è tutto lo stato maggiore del clan. La strategia migliore: la legge diviene qualcosa che deve contenere il business, la prassi economica. É quindi inutile sfidarla quando non la si riesce a slabbrare, quando le maglie sono tirate al massimo. Bisogna incassare il danno, renderlo minimo. Non contrastare lo Stato, ma risolvergli le contraddizioni.
Quando il pm Raffaele Cantone riuscì a comprendere i meccanismi, aprendo indagini importanti sul clan del cemento e riuscendo a sequestrare cantieri per un valore di oltre 50 milioni di euro, il clan pensò di farlo saltare in aria. Le informative parlavano di tritolo ordinato ai fedelissimi alleati calabresi. Informazioni che quasi tutti i media ignorano. Al pm viene raddoppiata la scorta, la tensione sul territorio diviene altissima. 'Ndrangheta e camorra casalese sono da sempre alleate, gemelle nel silenzio che riescono ad ottenere, a differenza di Cosa Nostra. Ma poi i falchi del clan vengono placati dalle colombe. Capiscono che non è il momento della carneficina. E il clan, che pure aveva massacrato un giovane sindacalista, Federico Del Prete; e che pure non aveva esitato a massacrare un proprio affiliato perché in carcere ebbe rapporto omosessuali "infangando" l'onorabilità dell'intero cartello, il clan più feroce del mezzogiorno si ferma. Non vuole telecamere, non vuole attenzione nazionale. Vuole rimanere sconosciuto. E quindi sospende la condanna al magistrato.

Pasquale Zagaria è il fratello di Capastorta. Capastorta è il soprannome di Michele Zagaria. Latitante da oltre undici anni, oggi ha preso il posto di Bernardo Provenzano alla testa dei boss più ricercati d'Italia. Michele è il capo militare del clan dei Casalesi, il leader incontrastato. In realtà formalmente è una sorta di vicerè assieme ad Antonio Iovine, "o'Ninno", del boss in carcere Francesco "Sandokan" Schiavone. Michele Zagaria ha organizzato un clan efficiente, e la sua vita è ovviamente materia di leggenda, ma nelle storie del potere di camorra la leggenda è riferimento mitico piuttosto che invenzione. Le informative parlano della sua villa a Casapesenna che al posto del tetto ha una cupola di vetro per poter far arrivare luce ad un enorme albero piantato nel salone di casa. Ma al di là delle stupefacenti tracotanze edilizie comuni a tutti i capi del clan del cemento, la strategia di vita del boss è quasi calvinista. Michele Zagaria ha rifiutato la famiglia, non ne ha creata una, ufficialmente. Pare abbia avuto una figlia, ma non ha ufficializzato la cosa, non si è sposato, vive in solitudine. Il boss trascorreva gran parte della latitanza in chiesa, e non c'è in paese chi non conosca la storia di Michele Zagaria che incontrava nel confessionale i suoi fedelissimi: nessuna confessione, solo affari. Il clan Zagaria è disciplinato, rifiuta la cocaina al suo interno. Quando i ragazzi del clan hanno iniziato a farne è intervenuto Pasquale Zagaria che li punisce chiudendoli nella gabbia coi porci. Ma anche il boss cede alla coca, in un'intercettazione ambientale un suo sottoposto, O'Sceriffo, timido e riguardoso, osa chiedere al boss se ha mai ceduto al vizio. La risposta del boss è terribilmente epica: "Dissi, Michele ... mi devi togliere uno sfizio ... ma tu lo hai mai fatto? ... dissi ... scusami se mi permetto ... e lui mi guardò in faccia e mi disse "tu non lo sai che io sono come il prete; fa quello che dico ma non fare quello che faccio io" ...".

Michele Zagaria è anche attento alla messa in scena di se stesso. Una volta una imprenditrice molto potente, Immacolata Capone, incontra un uomo del boss, Michele Fontana o'Sceriffo, e lui dice che deve farle una sorpresa. Le fa prendere posto in auto sul sedile davanti e intanto la donna sente rumori nel cofano, e una voce che dice che non ce la fa più. Quando chiede spiegazioni, lo Sceriffo mormora solo "Signora non vi preoccupate". Poi arrivano in una villa faraonica nelle campagna del casertano e lì dal cofano spunta Michele Zagaria che entra in casa. Lei, sconvolta dal boss, non riesce neanche a rivolgergli la parola, nonostante siano partner di affari vincenti da anni. Secondo alcune informative il boss prese posto al centro del salone di una ennesima sua villa, salone lastricato di marmi rari, e carezzando una tigre al guinzaglio iniziò a discorrere di appalti, calcestruzzo, costruzioni e terre. Un immagine cinematografica, capace da sola di creare mito, cibo di cui i clan devono alimentare il loro potere fatto di sparizioni e appalti.

Donna Immacolata era stata capace di edificare un tessuto imprenditoriale e politico di grande spessore. Lei, donna del clan Moccia, era divenuta interlocutrice del clan Zagaria, ambita da molti camorristi che la corteggiavano per poter divenire compagni di una boss-imprenditrice di alto calibro. Secondo le accuse l'uomo politico che aveva aiutato i suoi affari è Vittorio Insigne, consigliere regionale dell'Udeur, per il quale i pm Raffaele Cantone e Francesco Marinaro hanno chiesto la condanna a 3 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione camorristica. Insigne avrebbe, secondo le accuse, interceduto per procurare un certificato antimafia alle imprese della Capone. Nelle intercettazioni emergono continui riferimenti al politico, anche circa la spartizione dei proventi. Secondo le accuse Insigne interveniva per far vincere gli appalti alla Capone, ma la Capone poi una parte dei guadagni li riportava a lui. Vittorio Insigne al momento delle indagini faceva parte della Commissione Trasporti della Regione Campania, quando la Regione era il maggior azionista dell'Alifana, presso cui le imprese di Insigne lavoravano. Il pool dell'antimafia napoletana coordinato da Franco Roberti è riuscito anche a scoprire che la Capone era riuscita ad avvicinare il colonnello dell'aeronautica militare Cesare Giancane, direttore dei lavori al cantiere Nato di Licola. Il clan Zagaria infatti - secondo le accuse - è riuscito persino a lavorare per il Patto Atlantico edificando la centrale radar posta nei pressi del Lago Patria, punto fondamentale per le attività militari NATO nel mediterraneo. Ma forse la bravura le è stata fatale, Immacolata Capone fu uccisa nel novembre 2004 in una macelleria di Sant'Antimo. Pochi mesi prima avevano eliminato suo marito.

Il clan, della politica, fa ciò che vuole. Non c'è, come negli anni '90, una sorta di necessaria sudditanza. Al contrario, è la politica oggi suddita degli affari, e quindi anche degli affari di camorra. In un'intercettazione Michele Fontana, "o'Sceriffo", racconta di come si sia interessato alla campagna elettorale delle ultime elezioni a Casapesenna e dice: "Il mio cavalluccio è salito". Il politico, che secondo le indagini è Salvatore Carmellino, O'Sceriffo lo chiama cavalluccio: una sorta di mezzo con cui stare tranquilli al comune, un contatto nelle sue intenzioni capace di divenire referente degli affari del sodalizio. La politica locale coma aia per i propri affari diretti, quella nazionale come spazio in cui di volta in volta interloquire, usare, ignorare, abusare, gestire. Se secondo von Clausewitz la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi e secondo Michel Foucault la politica è la guerra condotta con altri mezzi, i clan imprenditoriali non sono altro che economie che usano ogni mezzo per vincere la guerra economica.

Oggi i Carabinieri dei Ros romani che avevano
condotto egregiamente la ricerca di Capastorta dovrebbero tornare a inseguire Michele Zagaria. In queste ore si ha la certezza della sua presenza a Casapesenna, un capo militare non può abbandonare il suo territorio. Bisogna permettere alle forze di polizia del posto di essere coadiuvate, fare sì che le ricerche siano intensificate e che le imprese del cemento siano monitorate, seguite in ogni aspetto, impedendo che monopolizzino il mercato, distruggendo così ogni lontana idea di libera concorrenza. Ogni distrazione che viene oggi concessa al potere del clan ha il sapore della connivenza. Il governo di centrosinistra sino ad ora ha fatto troppo poco, sino ad ora si è dimostrato lento, distratto e morbido nella battaglia all'imprenditoria edilizia criminale, alle borghesie imprenditrici direttamente legate ai clan. É necessario che il governo intervenga sul meccanismo d'appalto dei noli: bisognerebbe vietarli, o non imporre la stessa autorizzazione dei subappalti. É necessario che si inizi a regolamentare il meccanismo degli appalti non permettendo che un impresa del nord possa vincere e
poi dare tutto il lavoro in subappalto.

Ma il silenzio è totale e colpevole. Nel processo Spartacus, il più grande processo di mafia degli ultimi 15 anni, che il giorno della sua sentenza non ha ricevuto attenzione sulla stampa nazionale, la camorra tenta in appello di veder decadere i suoi 21 ergastoli. Ma sarebbe gravissimo se si lasciasse al suo destino uno dei pochissimi tentativi fatti in questa terra per ostacolare i ras del cemento criminale. I collegi difensivi dei clan, l'enorme esercito di avvocati che hanno a disposizione le varie famiglie camorristiche - Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Iovine, Martinelli - vogliono soprattutto silenzio, minimizzazione, vogliono che lo sguardo vada altrove. Vogliono spingere l'interesse nazionale a vedere queste vicende come scarti di periferia, aiutati spesso dalla nausea di una classe intellettuale distante da questi meccanismi e da una classe politica che quando non ne è invischiata non ne riesce più a comprendere le dinamiche. É interessante ascoltare le intercettazioni dei capizona, degli imprenditori dei clan anche per capire come per loro sia fondamentale che l'interesse nazionale sia attirato dalla guerra in Iraq, dai Dico e più d'ogni altra cosa dal terrorismo di ogni matrice.
Nei prossimi mesi non bisognerà togliere lo sguardo dall'appello del processo Spartacus. I boss non hanno condanne definitive, la Cassazione annulla tanti ergastoli. É fondamentale che non si dissolva l'attenzione nazionale, che si segua l'odore del cemento, perché cemento, rifiuti, trasporti, supermercati smettano di essere i serbatoi del riciclaggio e dell'investimento principe dei clan. Altrimenti sarà troppo tardi. Non ci sarà più confine di differenza, posto che ce ne sia ancora alcuno tra economica legale ed illegale. Temo che possa accadere che ogni parola che racconti queste dinamiche diventi muta, incomprensibile, come proveniente da un mondo che si crede distante; che ogni inchiesta giudiziaria divenga semplicemente un affare tra giudici, avvocati ed incriminati da sbrigare nel tempo più lungo possibile e nello spazio d'attenzione più ristretto e dove persino i morti ammazzati divengono un male fisiologico; qualcosa che non può che andar così. Temo possa accadere che le parole che raccontano tutto ciò diventino incomprensibili. Si rischia, per dirla con Elie Wiesel, di scrivere "non per comunicare ciò che è accaduto ma per mostrarvi ciò di cui non saprete mai".

 
 
 

53 PERSONE ARRESTATE

Post n°1 pubblicato il 31 Maggio 2008 da AIUTATECE

Circa mille uomini impegnati a Secondigliano e Scampia
aiutati da elicotteri e da unità delle forze speciali
Napoli, blitz contro la camorra
53 le persone in manette

Tra i fermati anche il figlio del boss Paolo Di Lauro
La folla contro gli agenti nel santuario dello spaccio

 
 
NAPOLI - Una imponente operazione delle forze dell'ordine è scattata dalle prime ore della mattina a
Secondigliano e a Scampia, quartieri alla periferia di Napoli, teatro di una cruenta guerra di camorra per il controllo del mercato della droga.

Sono cinquantatrè le persone sottoposte a fermo nel blitz anticamorra. Tra loro anche Ciro Di Lauro, figlio del boss Paolo, capo di una delle fazioni protagoniste della faida delle ultime settimane. I provvedimenti di fermo emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli sono stati 65, firmati dai pubblici ministeri Corona, Del Gaudio, Frunzio e Di Monte.

Tutti i destinatari delle misure cautelari sono accusati di associazione mafiosa, alcuni di loro anche di omicidio, in relazione a quattro delitti commessi nelle ultime settimane, tra cui quello della 22enne Gelsomina Verde, vittima di una vendetta trasversale per la sua amicizia con un pregiudicato. Secondo indiscrezioni, all'inchiesta avrebbe collaborato anche un malavitoso arrestato di recente dopo un omicidio e poi divenuto collaboratore di giustizia.

Da questa mattina sono stati impegnati complessivamente circa mille uomini tra polizia, carabinieri e guardia di finanza, che stanno controllando una gran parte del quartiere di Secondigliano. Il rione Scampia e, soprattutto, la zona del cosiddetto "Terzo mondo" sono, in pratica, stati cinti d'assedio.

Quando gli agenti si sono recati nel famigerato rione per eseguire i provvedimenti di fermo sono state contrastate dai familiari degli appartenenti ai clan. Dapprima, soprattutto le donne, hanno lanciato di tutto da balconi e finestre, poi sono scesi in strada e hanno attuato dei blocchi, incendiando cassonetti della spazzatura.

Anche in questa occasione, come in altre precedenti, le forze dell'ordine hanno usufruito della collaborazione di squadre dei vigili del fuoco che hanno rimosso muri, cancelli e altri ostacoli realizzati a protezione dei "fortini" della camorra. Le forze dell'ordine si sono avvalse inoltre del contributo di reparti speciali e di elicotteri per sorvolare l'intera zona.

In contemporanea all'operazione congiunta delle forze dell'ordine a Secondigliano, controlli e perquisizioni sono state fatte, sempre alla ricerca di latitanti, anche in altre località della Campania, in particolare sul litorale domizio, in provincia di Caserta. Interventi sono stati fatti anche in altre zone d'Italia, dove si ritiene possano essersi rifugiati alcuni degli aderenti ai due gruppi camorristici in lotta per la supremazia nello spaccio della droga a Secondigliano.

Nelle ultime settimane a Scampia e a Secondigliano si vive nella paura. Si teme che nella guerra tra clan, che conta già 24 morti dall'inizio del mese di novembre, oltre ai parenti degli uomini in lotta, possano rimanere coinvolte delle persone innocenti. Come Gelsomina Verde, 22 anni, incensurata, uccisa e poi data alle fiamme solo perché aveva stretto una amicizia scomoda, o un anziano morto a causa delle percosse subite da un gruppo di delinquenti che voleva sapere dove si fosse nascosto il figlio della sua compagna.

E poi i numerosi attentati dinamitardi contro abitazioni ed esercizi commerciali di persone non coinvolte direttamente nella guerra ma compiuti a scopo intimidatorio.

L'ultimo delitto di camorra ieri sera: Dario Scherillo, 26 anni, incensurato, è stato ucciso a colpi di pistola mentre era in sella alla sua moto. La sua famiglia, a Casavatore, viene descritta, come tranquilla, composta da onesti lavoratori. Anche la vittima lavorava presso un'agenzia di pratiche automobilistiche proprio nel vicino quartiere di Secondigliano.

Proseguono intanto a Castellammare di Stabia le indagini sull'omicidio di Guglielmo Scelzo, 42 anni, assassinato domenica sera nei pressi della sua abitazione: l'uomo era il fratello di un collaboratore di giustizia.

Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, informato del blitz contro la malavita organizzata in Campania, si è congratulato con il ministro dell'Interno Beppe Pisanu per l'operazione. E il responsabile del Viminale ha commentato: "L'operazione di questa notte a Napoli è un'autentica mazzata alla camorra del patto di Secondigliano".

"Particolare soddisfazione" è stata manifestata anche dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il premier ha chiesto al ministro Pisanu "di esprimere il suo vivo apprezzamento e la sua profonda ammirazione a tutti gli uomini e le donne delle forze dell'ordine impegnati nell'operazione di Napoli".

(7 dicembre 2004)

 
 
 
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UN ANGELO

vittima della camorra

 

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