Secondo Lippmann (1922), il giornalista che coniò il termine stereotipo per definire le conoscenze fisse e impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni delle categorie sociali, molte delle decisioni che gli uomini prendono sono basate su sistemi di classificazione che producono due fondamentali conseguenze. Innanzitutto semplificano i fatti in quanto si propongono di rappresentare gruppi e non individui, immagini globali e non specifiche rappresentazioni di singole persone. Secondo, essi portano ad interpretazioni errate degli individui anche quando esiste un contatto diretto con questi e ciò a causa del carattere distorcente delle spettative stereotipiche. Ad esempio, aspettarsi che una persona sia "amante dell'ordine e delle regole" perché appartiene al gruppo dei tedeschi, porterà a riconoscere l'ordine e la regolarità in tutti i comportamenti da questi messi in atto. Nell'interpretazione di Lippmann, allora, le conseguenze degli stereotipi sono tendenzialmente negative proprio per la loro rigidità, per il fatto di essere impermeabili di fronte alle disconferme dell'esperienza e per la loro potenziale funzione di distorsione della realtà (L. Arcuri, M. R. Cadinu, Gli stereotipi, Il Mulino)
Non ho ancora capito cosa fa pensare alle persone che io sia una donna dal carattere forte. In realtà non lo sono, o meglio, né più, né meno di altre. A dire la verità sono sempre stata piuttosto ingenua, una di quelle sognatrici convinte che le persone siano più propense al bene che al male. Non avevo fatto i conti con la cattiveria, e me n'è piombata addosso così tanta da disiorientarmi. E io sono buona o cattiva? E' una domanda che mi faccio spesso. Ho trovato tanti più ipocriti e moralisti tra quelle persone sedicenti contro corrente da farmi quasi pensare che forse avrei dovuto ripensare tutta la mia scala di valori. Ricordo un pomeriggio di due anni fa, me ne stavo a leggere, seduta su una panchina. Un anziano del paese si avvicinò e iniziò a parlarmi. Mi sorprende sempre la disarmante socialità di tanti vecchietti. Parlando mi disse: “Cara, si nasce di sinistra e si muore di destra, prima o poi ti arrenderai anche tu alla normale evoluzione della vita”. Queste parole hanno ronzato nella mia mente per tanto tempo e così, anche quando non c'entrava nulla, mi ritrovavo a pensare: “Si nasce di sinistra e si muore di destra”. Certo, brutto pensare che tutti siamo destinati a percorrere lo stesso cammino: prima idealisti, capitani coraggiosi pronti a combattere per i nostri ideali; ideali che in poco tempo vanno a puttane e sorrisi che si fanno espressioni dubbiose, fino alla maturità del dubbio, della diffidenza, della difesa. Io non sono anziana e non mi sento neppure di destra, eppure questa disillusione mi passa accanto più volte, come ombra scura. Purtroppo quello che vedo è tanta paura: paura della differenza, paura di ciò che non si conosce, paura della riuscita altrui, paura della solitudine, paura. Tanta paura, almeno quanto l'ipocrisia da cui siamo circondati. Chi non vuole rischiare, di sicuro non deve esporsi, meglio la tranquilla vita anonima. Chi si espone sa che entrerà nell'arena, pronto ad affrontare questa cattiveria e questa ipocrisia. Nessuno ama vedere persone che riescono, l'invidia è uno dei sette peccati capitali. La gente vuole che tutti stiano con la massa, a terra e allora, quando uno cerca di affacciare la testa, lo tirano in basso per i piedi. Se ti ribelli, se scalci, iniziano a sputare. No. Non credo di essere forte. E non credo nemmeno di essere cattiva. Credo in fondo di amare le persone e di soffrire, umanamente. Il mio errore più grande? Scoprire le carte. I furbi giocano su questo, recitare una parte e recitarla pure bene, sinistra, come destra. Non mi stupisce affatto che, andando a farmi la tessera dell'Italia dei Valori, abbia trovato un covo di ex democristiani. Questo perché ormai non esistono più limiti definiti, tutto è uguale a tutto e tutti fanno finta di essere chi non sono. La gente non ama la verità perché la verità infastidisce come una mosca all'orecchio e allora si preferisce la bugia, la maschera, anche quando si sa benissimo che è una farsa. Questo confondersi dei ruoli, delle persone, dei concetti mi urta e mi urta pure parecchio. Chi si dice di sinistra in realtà è spesso più fascista dei vecchi fascisti, chi si dice antropologo è più selettivo di un generale dell'esercito nazista, chi si dice aperto di mente, se ne va in Africa trecciato, rimanendo ancorato a stereotipi che poi contribuisce a sedimentare. E la forza delle categorizzazioni si fa sentire ovunque. L'apertura è una caratteristica “demodé”. Se ti dici di “sinistra” devi anche apparire in un certo modo, allora via di abbigliamento alternativo, di solotti da intellettuali anticonformisti, che si dedicano alla fotografia, agli scritti incomprensibili e agli autori che nessuno ha mai letto perché più noiosi di una lezione di storia della storiografia e sicuramente poco propensi al dialogo con altri che di sinistra non sono. Se ti dici amante dell'Africa, anche lì tutti uguali, si legge solo un determinato tipo di scritti, si ascolta solo un determinato tipo di musica, si frequentano solo le persone che frequentano africani, si esce solo con africani, si va solo ai concerti ska, reggae e via discorrendo. Per non parlare poi del mondo intellettuale. Saccenti predicatori che farebbero un baffo ai nostri preti di paese. Non si può ridere, scherzare, ironizzare (Questo è decisamente analfabeta, paesano e poco chic). In ogni ambito, per loro, dovrebbero esserci selezioni all'ingresso, albi, esami e contro esami, perché “le persone devono essere analizzate e contro analizzate”. Guai ad andare contro i loro modelli e i loro stereotipi. Se ti presenti in una maniera che non rispecchia la loro categoria allora infastidisci, perché rimetti in discussione il loro di modello. E allora in un covo di predicatori politici di sinistra, dove tutte le donne sono trasandate, vestite come mia nonna quando fa i pomodori d'estate, “perché io sono contro corrente e non seguo i dettami di una società maschilista che ci vuole donne oggetto” (ma vaff..) tutte diventano “donne delle caverne”, vedere arrivare una donna curata e ben vestita (magari con il tacco), mette tutti in subbuglio. No! E questa cosa ci fa qui? Non è ammissibile. Chi si dice in lotta per la libertà scopre la maschera. E' qui che si nascondono i peggiori discriminanti. Tra tanti antropologi, sociologi, psicologi, politologi, vogliamo parlarne? Altro che standard e confini. Qui i limiti sono strettissimi. Loro che dovrebbero battersi per l'apertura e l'interdisciplinarità. Studiano l'uomo nelle sue diverse forme e nei suoi diversi ambienti, diventando quasi disumani, impedendo alla gente comune di arrivare al loro mondo, ai loro lavori, ai loro scritti, troppo ermetici, troppo difficili, troppo ingarbugliati. Volate più basso, o ricercate per gli uccelli. Eppure la vita sarebbe davvero semplice se ci fosse un pò più di umiltà, un pò più di verità, un pò più di accettazione del diverso. E anche lì, non accusiamo solo quelli che “idealmente” sono razzisti: i leghisti, i fascisti e via dicendo. Di razzisti se ne trovano ovunque anche tra quelle persone che il razzismo dovrebbero combatterlo. Forse non saranno razzisti con le categorie a cui noi siamo abituati i razzisti vadano contro, ma sono razzisti contro quelli che non sono conformi ai loro modelli. Praticamente la peggior specie. E adesso spiegatemi perché tutti i sociologi hanno i pantaloni a costine? Ecco, appunto.
Inviato da: cassetta2
il 18/01/2024 alle 20:54
Inviato da: stefania krilic
il 21/09/2019 alle 07:17
Inviato da: djchi
il 11/09/2019 alle 13:08
Inviato da: djchi
il 11/09/2019 alle 13:07
Inviato da: djchi
il 11/09/2019 alle 13:05