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Bubù e creste punk. Senghor sarebbe davvero stato fiero di me

Post n°209 pubblicato il 04 Febbraio 2011 da djchi
 

In questi giorni non c'è quasi mai corrente e io sono incazzata. E pure i senegalesi sono incazzati. Viviamo praticamente in un grande villaggio incazzato e il capo tribù mr A. Wade sembra si diverta ad accendere e spegnere l'interruttore della luce. Me lo vedo già, chiuso nella sua camera da letto, le pantofole e la vestaglia, a sghignazzare mentre per far ridere il tanto adorato figlio Karim, muove verso l'alto e poi verso il basso un piccolo tasto con su scritto: luce di Dakar. Alle volte sembra veramente che ti prendano in giro, te ne stai lì ore, nell'attesa e all'improvviso ecco che 'luce fu'. Da fuori si odono applausi e urletti da finale mondiale e improvvisamente un'orchestra di radio e tv che comincia a diffondere nell'aria un suono che odora di vita. E allora colleghi finalmente il pc alla presa, tempo dieci minuti e 'Puff!', e luce 'fu' si disse, ecco, nel pieno senso di questo passato remoto. Fu.

Qui tutto è in costante, perenne, infinita attesa. I senegalesi che aspettano la corrente; i ragazzi che aspettano di avere un appuntamento per un visto; le mogli dei modou-modou che aspettano i mariti; le persone che guardano l'oceano ore e ore aspettando una risposta; tutti quelli che camminano veloci e non si sa nemmeno verso dove; io che non so nemmeno più cosa stò aspettando.

Ho imparato anche io a sedere e  parlare con l'oceano e poi a camminare seguendo il passo molleggiato dei senegalesi, veloce, come se fossi costantemente in ritardo ma senza avere mai una meta fissa, lo sguardo dritto verso l'infinito. Cammino driblando signore dal passo strascicato, talibé con la mano tesa, mucche anarchiche dalle corna gigantesche, motorini, biciclette, carretti, cavalli, spazzatura, pozzanghere, fuochi accesi. E tutto ha un ritmo ben preciso, scrollata di ballerine per togliere i sassi dai piedi compresa. Ad ogni clacson la gente si dispone armoniosa lungo i lati della strada per lasciare passare le macchine, senza mai girarsi a guardare. Un musical urbano per folli.

Ieri la corrente è saltata per tutto il giorno. Vaglielo tu a spiegare alla commissione di dottorato che la tesi prosegue a rilento. D'un tratto vedo i lampioni illuminarsi. Che gioia! Che godimento! Ho preso al volo la borsa e via da Makane, il mio parrucchiere di fiducia. Da quando sono in Senegal frequento i barbieri di strada, bravissimi a tagliare i capelli e decisamente economici, 2 euro circa. Favoloso. Era da giorni che meditavo di fare la cresta, una vera e propria moda qui a Dakar, lanciata dai lottatori e portata avanti dagli apprendisti dei car rapidi, i ragazzi più stilosi di tutto il paese.

Makane è rimasto perplesso alla mia richiesta, nonostante mi abbia confessato che parecchie ragazze senegalesi se la siano fatta. I clienti, come al solito confusi per la presenza di una bianca in un negozio roots per maschi senegalesi, anche loro scuotevano la testa. 'Ah! Dakar è davvero cambiata', avranno pensato tutti. A metà taglio 'puff!', Wade ha tirato giù il bottone, Karim ride e tutti,i 'che culo!', la frase che io e Vera abbiamo insegnato, involontariamente, a tutti i nostri amici e conoscenti senegalesi.

“Non ti preoccupare” mi dice Makane e prende una lametta. Se devo essere sincera ho panicato per un secondo. Io al centro, Makane con una micro lametta e i clienti attorno con due candele. Sembrava quasi una seduta spiritica da feticisti maliani. It's old school baby. A lavoro finito mi sono guardata allo specchio. ''Uhmm, niente male!'', chissà cosa diranno i miei professori all'università.

Tornando a casa avvolta nel buio ho pensato ad una cosa: più sono qui e più mi accorgo di come mentre gli africani facciano di tutto per adottare stili e comportamenti occidentali, una gran parte di occidentali riscopre l'Africa, riadattando il loro stile secondo la tradizione africana. Per Dakar ragazzi dai jeans stretti e creste colorate affiancano ragazzi europei in bubù tradizionale. Ragazze senegalesi dal caschetto alla Raffaella Carrà e frange lucide da piastra e ragazze bianche con trecce dalle mille forme.

Sebbene questo scambio mutuale di identità sia antropologicamente interessante, la cosa non mi appare nemmeno poi tanto strana. Ognuno di noi nasce incompleto e nel corso della propria esistenza ricerca ciò che può colmare questo vuoto. Tutto questo per raggiungere la maturità, la completezza che è il punto cui ogni uomo tende.

Occidente e Africa sono dunque complementari. Essi necessitano l'uno dell'altro vicendevolmente. Bubù e creste punk. Senghor sarebbe davvero stato fiero di me.

 

 

 
 
 
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Data di creazione: 02/04/2009
 

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