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Sono profondamente contrario ad aprire una moschea a Milano. A mio parere
infatti, ne servono almeno una ventina. E lo dico proprio a seguito dell’
arresto dei due marocchini che progettavano di uccidere tanti innocenti nella
nostra città, dal Duomo alla Questura. Naturalmente le venti moschee che servono a Milano dovranno
essere trasparenti come delle vere e proprie case di vetro. Con tanto di
microfoni che permettano di ascoltare il contenuto delle prediche che dovranno
tenersi in italiano o, in casi particolari, anche nella lingua dei fedeli.
Naturalmente ci sarà subito chi obietterà che non si può trattare l’islam in
maniera diversa da quanto si fa con le altre religioni. Nulla di più sbagliato.
E’ ora di piantarla con il concetto del “siamo tutti uguali”, che personalmente
ho sempre trovato appiattente e grigio. E’ vero invece l’esatto contrario, e
cioè che siamo tutti diversi. Questo vale sia per i singoli che per le diverse
comunità religiose. Basti pensare a quanto sarebbe ridicola e senza senso la
sola ipotesi di far ascoltare, per motivi di sicurezza, le omelie dei parroci
nelle parrocchie della nostra città. Del resto, chi ha mai sentito parlare di
terrorismo suicida cristiano?
Tali differenze sono evidenti anche se si guarda alle comunità religiose
obiettivo della violenza estremista, sia essa di provenienza religiosa o
politica. Solo se si riconoscono tali diversità si possono spiegare i motivi
per cui davanti alla sinagoga di Milano – e non davanti ai luoghi di preghiera
buddisti o cristiani - c’è sempre un auto delle forze dell’ordine a vigilare.
Da Istanbul a Mumbai, la storia recente del terrorismo suicida continua
tristemente a ricordarcelo: i centri religiosi dell’ebraismo sono spesso
obiettivi dell’estremismo islamico globale, così come di quello politico
locale.
O i fanatici del “siamo tutti uguali” vorrebbero togliere la protezione ai
luoghi di culto ebraici in nome dell’uguaglianza?
E’ solo se riconosciamo tutte queste differenze che possiamo pensare di
governare i fenomeni religiosi in maniera corretta, ciascuno secondo la propria
specificità.
Per questo mi fa paura l’idea del “divieto di moschea”. Non è pensabile
infatti che a seguito di un divieto di legge, all’improvviso più di centomila
musulmani lombardi smettano di pregare. E’ ovvio che parte di costoro
inizierebbero, come i cristiani ai tempi dei romani (ma la storia non insegna
mai nulla?), a ritrovarsi in clandestinità.
Ed è proprio questo che dobbiamo temere: tante piccole riunioni di preghiera
clandestine, guidate da altrettanti imam improvvisati. Il risultato? Senza
dubbio un proliferare di imam fai-da-te, preghiere non controllate organizzate
soprattutto dai musulmani più radicali, predicazioni violente. Il tutto si
svolgerebbe all’insaputa delle forze dell’ordine, che dovrebbero così
moltiplicare le già insufficienti risorse per indagare non più su qualche
moschea trasparente, ma su decine di luoghi di ritrovo clandestini. E’ questo
il risultato che si vuole ottenere?
Davide Romano
Pubblicato su La Repubblica - Milano il 5 dicembre 2008
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