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IL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI CHE DIMENTICANO CHI SOFFRE

Post n°77 pubblicato il 23 Giugno 2009 da romanodavide

Teheran chiama e Milano, semplicemente, non risponde. Neppure di fronte all’uccisione di una decina di manifestanti, all’incarcerazione dei leader democratici, nonché all’inquietante censura contro i giornalisti. Non una bandiera verde (simbolo dei democratici iraniani) esposta nelle varie sedi istituzionali, come pure era successo in passato per altri casi.

Saranno le ragioni del business? Chissà. Una cosa è certa, però: che la “guerra per il petrolio” non è meno imbarazzante per le nostre coscienze del “silenzio per il petrolio”. Del resto, è sintomatico che sono stati gli ambasciatori europei a Teheran ad essere stati convocati per riceve le proteste del regime, invece che noi a chiamare i loro diplomatici per contestare il voto truccato e la repressione.

L’impressione che stiamo dando come città di Milano poi, è quella che quanto succede in Iran non ci riguarda. Eppure da Teheran chiedono aiuto proprio a noi occidentali. Dalle immagini dei telegiornali vediamo tra la folla tanti cartelli, molti dei quali scritti non in persiano ma in inglese. Per chi non l’avesse capito, sono scritti per noi. Sono grida rivolte alle nostre orecchie. La nostra attenzione è la loro unica speranza di scongiurare una nuova Tienanmen. E noi invece, la Milano dell’Expo il cui slogan è “nutrire il pianeta, energia per la vita” cosa rispondiamo di fronte ai pasdaran e alle loro squadracce della morte? Voltandoci dall’altra parte. Gli studenti universitari della nostra città per esempio, non si mobilitano per i loro colleghi di Teheran; e viene quasi paura a domandarsi il perché. E la politica? nel centro-destra sono improvvisamente scomparsi i sedicenti “oppositori delle dittature islamiche”. Proprio nel momento in cui uno dei peggiori regimi mediorientali barcolla, perdono la voce. Sarà l’irresistibile distrazione delle elezioni provinciali? Chissà. Anche nel centro-sinistra sedicente solidale, a dire il vero, la rivoluzione di Teheran non sembra far battere molti cuori. Non si registrano mobilitazioni in favore dei democratici iraniani. Destra e sinistra milanese stanno insomma ignorando  non solo le richieste degli iraniani, ma anche i principi a cui amano richiamarsi. Il risultato è che le piazze sono vuote. I nostri occhi insomma, non sembrano avere lacrime per Teheran. Sono chiusi dal peggiore dei burqa mentali: l’indifferenza. Chissà se almeno la recente proposta dei giovani ebrei italiani – quella di intitolare una via di Milano agli studenti iraniani, in gran parte musulmani – servirà a destarci. In pochi casi come questo il dialogo inter-religioso non si è limitato alle parole, ma ha prodotto frutti così ricchi. Sta ora alla politica raccoglierli subito e non lasciarli marcire. Faccio appello dunque al nostro consiglio comunale perché affronti il tema. Già la sola notizia che Milano inizia a discutere delle violenze del regime iraniano, rappresenterebbe  una prima degna risposta ai manifestanti di Teheran. Oltre che alle nostre assopite coscienze.

Davide Romano

Pubblicato su La Repubblica del 20 giugno 2009

 
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LE "EX-VERITÀ" SUGLI IMMIGRATI E IL FEDERALISMO DELL'ACCOGLIENZA

Post n°76 pubblicato il 29 Maggio 2009 da romanodavide

La crisi economica colpisce senza pietà: non solo le persone, ma anche le verità in tema di immigrazione. Persino i dati una volta considerati certi, mutano. Recentemente, durante un dibattito, un politico di sinistra ha difeso l’immigrazione dicendo “gli extra-comunitari fanno i lavori che i milanesi non fanno più”. Una frase vera al 100 per cento fino a qualche mese fa. Ma che giorno dopo giorno lo diventa sempre meno. La crisi infatti crea nuovi poveri anche nella ricca “Milano da bere” (altra ex-verità), tanto che il numero di concittadini che cerca lavoro in diretta concorrenza con gli immigrati è in progressiva crescita. Segno che alcune idee sull’immigrazione, in periodi di crisi, vanno aggiornate.
Anche da destra si sentono frasi che oggi non hanno più senso. Basta pensare al rifiuto di un’Italia multietnica espresso da diversi loro esponenti, quasi fosse una scelta invece che la condizione nella quale viviamo già oggi. Piaccia o meno, in Italia la percentuale di immigrati è ormai pari al 6,5%. In Lombardia poi, e a Milano in particolare, la multietnicità è ormai vita quotidiana, visto che la nostra regione è abitata per più del 10% da immigrati.
Come affrontare dunque l’immigrazione in tempi di crisi? Innanzitutto aprendo gli occhi alla nuova realtà, se la si vuole governare. La prima verità inconfutabile è che gli strumenti per assicurare l’integrazione (assistenti e mediatori sociali, insegnanti di italiano, allestimento di campi nomadi, ecc.) sono particolarmente onerosi, soprattutto per il magro bilancio comunale. Essendo però indispensabili, bisogna porsi il problema di dove reperire le risorse. Una domanda nuova che presuppone una risposta nuova, individuabile nel “federalismo dell’accoglienza”: una redistribuzione del reddito tra le varie aree del paese che ponga l’accento sulle risorse necessarie per l’integrazione, in base agli immigrati presenti sul territorio. Non più dunque solo federalismo solidale tra regioni ricche e povere, ma anche una sorta di federalismo per l’integrazione. Un’idea che non può che partire da Milano. Non dimentichiamo infatti che in Lombardia vivono un quarto degli immigrati residenti in Italia: un dato che non può essere ignorato se vogliamo davvero integrarli ed assisterli, e non andare verso pericolose guerre tra poveri. Pensiamo solo ai rischi legati a flussi migratori in presenza di una crisi economica che continua a bruciare posti di lavoro. Credo nessuno possa pensare di affrontare queste nuove sfide negando la multietnicità o la crescente questione della carenza di posti di lavoro. Per non parlare dell’assegnazione agli immigrati delle case popolari, tema destinato ad essere sempre più caldo. Casa e lavoro sono i classici bisogni primari per cui possono scoccare scintille xenofobe. Per questo è necessario intervenire al più presto, con risorse adeguate alla realtà del territorio. Il federalismo dell’accoglienza può essere la proposta di Milano per affrontare le nuove sfide dell’integrazione.

Davide Romano

Pubblicato su La Repubblica del 28 maggio 2009

 
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FESTEGGIAMO IL 25 APRILE CON TUTTE LE BANDIERE

Post n°75 pubblicato il 23 Aprile 2009 da romanodavide

E’ troppo chiedere un 25 aprile gioioso e senza faziosità? Dovrebbe essere
il giorno della festa della democrazia, mentre da anni l’anniversario della
Liberazione viene usato per polemiche di carattere politico. Nel nostro
paese purtroppo siamo capaci di rovinare tutto, perfino le feste più belle.  Per
questo credo sia giunto il momento di fare qualcosa. E’ tempo che la
stragrande maggioranza dei milanesi (che si riconosce nei valori antifascisti) si
riprenda la propria festa. Non è più accettabile che da decenni minoranze faziose provino – a volte, purtroppo, con successo - ad inquinare il giorno di
festa più bello: quello che celebra il trionfo della libertà sulla tirannia.
Probabilmente i “professionisti dell’antifascismo” non hanno idea di cos’è
stata la dittatura nazifascista, e quale il pesante prezzo che il nostro
paese ha dovuto pagare a quel regime. Solo chi non ha capito la gravità di tali
orrori può pensare di usare il 25 aprile per i propri interessi politici,
piuttosto che per proporre deliranti similitudini tra il nazismo ed il
nostro presente democratico. L’utilizzo strumentale della Festa della Liberazione va dunque condannato senza sconti, proprio per onorare i partigiani e i
soldati Alleati caduti nella II guerra mondiale. Ed è proprio qui una delle chiavi
per la soluzione alle infinite polemiche sul 25 aprile: nel recupero della
Memoria. Negli scorsi decenni abbiamo celebrato la Resistenza partigiana, ma nel corteo del giorno della Liberazione non abbiamo ricordato a sufficienza i soldati Alleati: statunitensi, inglesi, sudafricani, australiani, indiani, ecc.
Basti pensare che le forze dell’ordine vanno nel panico se solo qualcuno
prova a sventolare una bandiera americana durante il corteo. Eppure sono
proprio loro, gli americani, ad aver pagato il prezzo più devastante in
termini di perdite umane. Ancora: è ormai uso che nel giorno della Liberazione i liberali ed i Radicali vadano al cimitero di guerra anglo-americano di Trenno
a rendere omaggio a quei caduti. E’ ora che questi eroi vengano ricordati
anche nel posto che spetta loro di diritto: durante il corteo, e con le loro
bandiere. Per questo lancio l’invito a partecipare alla manifestazione del
25 aprile con le bandiere dei paesi Alleati. E’ compito di tutti noi
recuperare quella memoria per intero. Per questo sarò lieto di stringere la mano, anzi di abbracciare, anche chi dalle file del centro-destra prenderà parte al corteo ricordando i partigiani liberali, socialisti, e democristiani. Abbiamo
bisogno di un corteo che rispecchi maggiormente la realtà storica della
Liberazione, sia dal punto di vista delle culture politiche che da quello delle nazioni alleate. Se riusciremo ad ottenere tale risultato, vedrete, saranno i
faziosi ad andarsene.

Davide Romano

Pubblicato su La Repubblica - Milano del 22 aprile 2009

 
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COSI' L'ODIO HA CANCELLATO IL CORTEO DELLA MEMORIA

Post n°74 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da romanodavide

La decisione della Comunità ebraica milanese di non organizzare più il
corteo per celebrare il Giorno della Memoria è figlia di quanto la nostra città ha
vissuto in questo periodo. Sono settimane che alla legittima protesta
politica per il conflitto in Medio Oriente si sono sostituite inaccettabili
manifestazioni di incitamento all’odio anti-israeliano ed antiebraico.
Basta pensare alle recenti scritte antisemite da un lato, e agli infami paragoni
tra Israele e il nazismo culminati nel rogo delle bandiere israeliane bruciate,
dall’altro. Ormai il rischio che il corteo della Memoria potesse essere
strumentalizzato politicamente era divenuto una tragica certezza. La rinuncia
a tale evento da parte della Comunità ebraica – sia ben chiaro - non è una
accusa alla città di Milano. Le responsabilità sono da ricercare nei piccoli gruppi
di militanti politici, religiosi, o peggio ancora politico-religiosi. Costoro,
invece di cercare di esportare il nostro modello di dialogo, hanno cercato
di importare le tensioni mediorientali qui da noi. Nulla di più sbagliato:
innanzitutto perché scimmiottare qui le posizioni israelo-palestinesi non
fornisce alcun contributo alla pace. Al di là del mediterraneo sanno
benissimo litigare da soli, e non necessitano certo di emuli nel nostro continente.
Dalla nostra città devono invece venire segnali nuovi e di segno opposto,
soprattutto da chi è parte nel conflitto. Per questo lunedì scorso, tutti insieme,
ebrei, musulmani e cristiani, abbiamo consegnato  al Consiglio Comunale di Milano
un “Albero della Pace”, una magnolia con legate ai rami le bandiere israeliana
e palestinese: le identità devono infatti convivere, non essere cancellate.
Abbiamo anche simbolicamente versato dei bicchieri d’acqua sul giovane
albero, per significare che non è con il rogo delle bandiere che si può pensare di
portare la pace, ma semmai spegnendo simbolicamente tali fiamme con l’
acqua, elemento di vita. Ed è proprio questo il punto su cui invito a riflettere,
per recuperare alla città il Corteo del Giorno della Memoria. Una via per il
dialogo è possibile e l’abbiamo dimostrato, ma non può passare né per la
negazione delle altrui identità, né per la revisione della realtà storica.
In fondo questo è uno degli insegnamenti del Giorno della Memoria: imparare,
per non fare sì che accada di nuovo. Ma la Memoria della Shoah non va difesa
esclusivamente per il rispetto dei sei milioni di ebrei uccisi, insieme a
disabili, omosessuali e Rom. C’è all’interno di questa Memoria anche un
segno di umanità e amore per la vita straordinario, intollerabile per i predicatori
d’odio. Non è un caso se a negare la Shoah siano oggi i fanatici di tutti gli
orientamenti: dai neonazisti a diversi cattolici ultra-tradizionalisti
(recentemente riaccolti all’interno della Chiesa), passando per gli
islamisti di Teheran.
Resta solo da sperare che l’assenza del Corteo del Giorno della Memoria
aiuti chi ha preso parte alle manifestazioni di odio a riflettere sui pericoli
del percorso intrapreso.

Davide Romano

Pubblicato su La Repubblica - Milano, il 28 gennaio 2009

 
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Venti case di cristallo per la preghiera dei musulmani

Post n°73 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da romanodavide

Sono profondamente contrario ad aprire una moschea a Milano. A mio parere
infatti, ne servono almeno una ventina. E lo dico proprio a seguito dell’
arresto dei due marocchini che progettavano di uccidere tanti innocenti nella
nostra città, dal Duomo alla Questura. Naturalmente le venti moschee che servono a Milano dovranno
essere trasparenti come delle vere e proprie case di vetro. Con tanto di
microfoni che permettano di ascoltare il contenuto delle prediche che dovranno
tenersi in italiano o,  in casi particolari, anche nella lingua dei fedeli.
Naturalmente ci sarà subito chi obietterà che non si può trattare l’islam in
maniera diversa da quanto si fa con le altre religioni. Nulla di più sbagliato.
E’ ora di piantarla con il concetto del “siamo tutti uguali”, che personalmente
ho sempre trovato appiattente e grigio. E’ vero invece l’esatto contrario, e
cioè che siamo tutti diversi. Questo vale sia per i singoli che per le diverse
comunità religiose. Basti pensare a quanto sarebbe ridicola e senza senso la
sola ipotesi di far ascoltare, per motivi di sicurezza, le omelie dei parroci
nelle parrocchie della nostra città. Del resto, chi ha mai sentito parlare di
terrorismo suicida cristiano?
Tali differenze sono evidenti anche se si guarda alle comunità religiose
obiettivo della violenza estremista, sia essa di provenienza religiosa o
politica. Solo se si riconoscono tali diversità si possono spiegare i motivi
per cui davanti alla sinagoga di Milano – e non davanti ai luoghi di preghiera
buddisti o cristiani - c’è sempre un auto delle forze dell’ordine a vigilare.
Da Istanbul a Mumbai, la storia recente del terrorismo suicida continua
tristemente a ricordarcelo: i centri religiosi dell’ebraismo sono spesso
obiettivi dell’estremismo islamico globale, così come di quello politico
locale.
O i fanatici del “siamo tutti uguali” vorrebbero togliere la protezione ai
luoghi di culto ebraici in nome dell’uguaglianza?
E’ solo se riconosciamo tutte queste differenze che possiamo pensare di
governare i fenomeni religiosi in maniera corretta, ciascuno secondo la propria
specificità.
Per questo mi fa paura l’idea del “divieto di moschea”. Non è pensabile
infatti che a seguito di un divieto di legge, all’improvviso più di centomila
musulmani lombardi smettano di pregare. E’ ovvio che parte di costoro
inizierebbero, come i cristiani ai tempi dei romani (ma la storia non insegna
mai nulla?), a ritrovarsi in clandestinità.
Ed è proprio questo che dobbiamo temere: tante piccole riunioni di preghiera
clandestine, guidate da altrettanti imam improvvisati. Il risultato? Senza
dubbio un proliferare di imam fai-da-te, preghiere non controllate organizzate
soprattutto dai musulmani più radicali, predicazioni violente. Il tutto si
svolgerebbe all’insaputa delle forze dell’ordine, che dovrebbero così
moltiplicare le già insufficienti risorse per indagare non più su qualche
moschea trasparente, ma su decine di luoghi di ritrovo clandestini. E’ questo
il risultato che si vuole ottenere?

Davide Romano

Pubblicato su La Repubblica - Milano il 5 dicembre 2008

 
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