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La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De Andrè, Ettore Cannas

 

 

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AMARE FAVOLE DI MIGRANTI di Enrico Pau La Nuova Sardegna

Post n°123 pubblicato il 29 Marzo 2011 da deandreando

Amare favole di migranti


 CAGLIARI. C’è una frontiera che non si attraversa, perché non ci sono strade, barriere, guardie in divisa che controllano i documenti. E’ una frontiera sterminata, liquida, feroce come a volte è feroce il Mediterraneo quando d’un tratto cambia d’umore, e le sue onde spazzano tutto, sommergono la speranza e i sogni. Sotto quella frontiera liquida giacciono i corpi dei tanti migranti, le cifre parlano di 15566 persone, che hanno percorso il deserto fuggendo dalle loro terre, sperando di trovare un mondo migliore, lavoro e dignità, incontrando invece la morte. Gli altri, i sopravvissuti, hanno varcato quel confine per vivere clandestini dentro se stessi, dentro grandi città europee, in una solitudine priva di affetti e relazioni, ombre che si affacciano alla nostra vita ma che non vediamo, ombre nascoste al giorno.
 «Nascosto al giorno» è il titolo esemplare di un bel romanzo di Ettore Cannas pubblicato da Tiligù e illustrato da Mario Soddu che si presenta domani alle 18,30 al Manà Manà di piazza Savoia. E’ un romanzo necessario perché fa quello che pochi romanzi contemporanei sanno fare, racconta un mondo sconosciuto, la vita di uno di questi migranti, una di queste ombre che vengono da lontano, a volte con storie affascinanti e spesso dolorose, al termine di viaggi che hanno i contorni di un incubo. Li chiamano esseri umani, ma in realtà l’occidente ne ha fatto oggetti, rotelle di una macchina mostruosa e crudele dello sfruttamento.
 La qualità più straordinaria e forse unica di questo romanzo è tutta nella capacità di tenere insieme con coerenza registri differenti. La scrittura di Cannas riesce a passare dai toni della favola a quelli della tragedia per ritornare nel bellissimo finale alla favola. La favola che ha come sfondo il deserto, un villaggio remoto del sud del Marocco, abitato da figure di una mitologia semplice che popola la sabbia di figure magiche, le streghe, i misteriosi ginn, e di animali e insetti che a volte diventano fantastici. «Nascosto al giorno» descrive la vita quotidiana di un pastorello di capre, la storia comincia con Kurdin, il protagonista, bambino. La sua immaginazione è capace di riempire la natura di segni che il ragazzino interpreta come segnali della presenza di Dio. Un Dio che nella cultura islamica è lontano e minaccioso, ma è sempre presente dentro la natura, nella sua vastità, nei suoi segnali, e nel suo mistero. Un dio che noi occidentali violentatori e consumatori degli spazi naturali ormai abbiamo smarrito e rinnegato per sempre. Kurdin diventa grande. Anche lui è costretto dalla povertà a lasciare il Marocco, compiendo quel viaggio che milioni di africani hanno compiuto e che parte dal deserto per attraversare un altro deserto, il mare, per arrivare a quelle città sterminate e piene di luci, un altro deserto a ben guardare, e rinchiudersi dentro quelle “pareti della solitudine” come le chiamava Tahar Ben Jelloun in un suo bellissimo romanzo.
 Cannas con singolare maestria riesce a tenere insieme tante linee narrative differenti all’interno di un romanzo che ha la lucidità del romanzo sociale, la forza del dramma, ma ha anche la qualità sensuale di una dolcissima storia d’amore. Cannas disegna un’umanità dolente e ha creato un personaggio vero, Kurdin, che ha una voce epica, alta. Il suo è una sorta di reportage poetico dentro la sofferenza umana, dentro l’umiliazione e il degrado che ancora oggi sono la linfa, amara, delle relazioni fra gli esseri umani dominate dai riti spietati di una società, la nostra, che consuma tutto rapidamente.
 Vite nascoste al giorno che altrimenti rimarrebbero nell’ombra, che nessuno vorrebbe raccontare altrimenti, perché non ci riguardano, sono le vite degli altri, voci che ogni tanto si affacciano alla nostra di vita con le loro domande che spesso rimangono domande vuote, dialoghi spezzati, ombre che non hanno corpo. La narrazione è asciutta e rapida, a tratti si fa lirica: ha il calore della sabbia del deserto, il profumo del vento, i colori del mare, la nostalgia disperata della propria terra.
- Enrico Pau

Commenti al Post:
a_c_picchia
a_c_picchia il 06/04/11 alle 00:49 via WEB
So che un uso inadeguato delle parole di Bettelheim (1976) potrebbe snaturare il senso del racconto e della recensione, ma mi sembra che qualche passaggio sia pertinente. PS. Il titolo della recensione è… azzeccato, in entrambi i sensi! «Le fiabe possono essere paragonate ai sogni, anche se ciò può essere fatto soltanto con grande cautela e con molte riserve, dato che il sogno è l’espressione più personale dell’inconscio e delle esperienze di una particolare persona, mentre la fiaba è la forma immaginaria che problemi umani più o meno universali hanno assunto col tramandarsi di una storia attraverso le generazioni» «In una fiaba, i processi interiori sono esteriorizzati e diventano comprensibili così come sono rappresentati dai personaggi della storia e dai suoi eventi. È per questo che nella medicina indù tradizionale veniva assegnata a un individuo psichicamente disorientato una fiaba che interpretava il suo particolare problema. Egli doveva farne l’oggetto della sua meditazione, e ci si aspettava che in questo modo fosse indotto a visualizzare sia la natura delle sue difficoltà sia la possibilità di superarle. In base a quanto una particolare fiaba significava in relazione alla disperazione e alle speranze dell’uomo e ai metodi per superare le tribolazioni della vita, il paziente poteva scoprire non solo un sistema per liberarsi dalla sua angoscia ma anche per trovare se stesso, come aveva fatto l’eroe della storia. (…) Le fiabe non pretendono di descrivere il mondo così com’è, né danno suggerimenti diretti su come comportarsi. Se lo facessero, il paziente indù sarebbe indotto a seguire un tipo di comportamento imposto: il che non è semplicemente cattiva terapia, ma anzi l’opposto della terapia. La fiaba è terapeutica perché il paziente trova le sue proprie soluzioni, meditando su quanto la storia sembra implicare nei suoi riguardi e circa i suoi conflitti interiori in quel momento della sua vita. Il contenuto della fiaba prescelta non ha in genere niente a che fare con la vita esterna del paziente, ma molto coi suoi problemi interiori, che sembrano incomprensibili e di conseguenza insolubili. Chiaramente, la fiaba non si riferisce al mondo esterno, anche se può iniziare in modo abbastanza realistico e avere, intessuti in essa, elementi della vita di tutti i giorni. La natura non realistica di queste fiabe (oggetto delle obiezioni di razionalisti dalle anguste vedute) è un importante espediente, perché evidenzia che il proposito della fiaba non è quello di comunicare informazioni circa il mondo esterno, ma di chiarire i processi interiori che hanno luogo in un individuo»
 
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