Creato da decimacomandante il 28/04/2008

Decima Flottiglia...

per l' Onore d' Italia

 

 

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Porzus – 3^ parte

Post n°175 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

 




Ma la Resistenza assunse ben presto caratteristiche marcatamente politiche; l'armistizio preludeva inevitabilmente a uno sganciamento dell'Italia dall'alleanza con la Germania, con le inevitabili ritorsioni che sarebbero venute (come vennero) da quest'ultima. I partiti politici antifascisti, che iniziavano a ricomparire dalla clandestinità al passo dell'avanzata degli Alleati sul territorio italiano, non potevano rischiare un altro "25 luglio", restando tagliati fuori dal gioco; le sorti della guerra erano segnate, la sconfitta della Germania era considerata inevitabile (anche se nessuno credeva che ci sarebbero voluti ancora quasi due anni di guerra) e si trattava di prepararsi per il futuro assetto che l'Italia avrebbe dovuto assumere al termine del conflitto. Il primo CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) sorse a Roma, già il 9 settembre 43.



Lo fondarono Ivanoe Bonomi, indipendente, Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana), Alessandro Casati (partito liberale), Pietro Nenni (partito socialista), Mauro Scoccimarro (partito comunista) e Ugo La Malfa (partito d'azione). Aderì poi al CLN anche Meuccio Ruini, in rappresentanza della democrazia del lavoro. Al CLN Bonomi rivendicò il diritto di essere considerato come "l'unica organizzazione capace di assicurare la vita del paese".



Era un'affermazione perlomeno ottimistica, se non poco realistica, considerando che al momento il CLN rappresentava poco più che sé stesso, in una situazione nazionale di estrema confusione. Ma era stato gettato il seme, e l'incitamento "per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni" veniva da un organismo politico e si sarebbe concretizzato nella costituzione di bande partigiane che esplicitamente si richiamavano agli ideali politici dei partiti di riferimento. I partigiani di Italia Libera aderivano al partito d'azione, una formazione d'élite che si sarebbe dissolta molto presto dopo la guerra, ma che raccoglieva uomini come Parri, Lussu, Valiani, Garosci.



Le Fiamme Verdi erano i partigiani di ispirazione cattolica, forti soprattutto nel Bresciano e nell'Udinese; con loro si unirono anche molti liberali e indipendenti.



Le Brigate Garibaldi, braccio armato del partito comunista, furono il primo gruppo partigiano a darsi una struttura organica, istituendo a Milano, all'inizio del novembre 43, un Comando Generale, con Luigi Longo comandante generale e Pietro Secchia commissario politico.
Sarebbe qui interessante anche approfondire le differenze tra Resistenza al Nord e al Sud, ma non vogliamo esulare troppo dal nostro tema.



Da quanto finora esposto appare già evidente che il movimento partigiano ebbe, aldilà del denominatore comune della lotta contro fascisti e nazisti, la caratteristica di raccogliere gruppi politici tra loro antitetici, riflettendo quell'innaturale alleanza tra Unione Sovietica e mondo capitalista, resa inevitabile dalla comune lotta contro il nazismo. Tuttavia ci sono alcuni punti che è importante sottolineare, perché ci aiuteranno a capire meglio la genesi di eventi come la strage di Porzus.



La Resistenza non ebbe in Italia un peso militare determinante, né lo avrebbe potuto avere, perché restò sempre un fenomeno elitario e comunque in buona parte legato, per la sua sopravvivenza, ai rifornimenti di armi, viveri, materiale, che gli Alleati iniziarono ad effettuare alla fine del 1943, dopo un primo incontro avuto in Svizzera da Ferruccio Parri con Allen Dulles, capo dei servizi segreti americani.



Gli angloamericani del resto avevano interesse a mantenere il contatto e, per quanto possibile, il controllo sui gruppi partigiani, sia per operazioni di sabotaggio, di appoggio, di informazione, sia perché questi costituivano comunque la longa manus di quei partiti politici che avrebbero determinato la politica italiana del dopoguerra. E l'alleanza tra gruppi che sopra definivamo antitetici fece sì che nel movimento partigiano si trovassero contemporaneamente monarchici e repubblicani, liberali e comunisti, militari gelosi delle propria apoliticità contrapposti a quanti invece consideravano la Resistenza anzitutto un fenomeno politico.



Una posizione del tutto peculiare era poi quella del partito comunista, che fu il partito che diede più combattenti di tutti gli altri alle forze partigiane, ma che era guardato con sospetto dai gruppi "alleati" per i suoi mai recisi legami con Mosca, e che a sua volta ricambiava con sospetto gli altri gruppi, ai quali via via attribuiva simpatie monarchiche, badogliane, capitaliste, se non addirittura tout court fasciste.


Se formalmente i gruppi partigiani dipendevano dal CLN e, per l'alta Italia, dal CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, costituito alla fine del 1943), delegato del CLN romano, di fatto la gran miscela di gruppi diversi generò anche due visioni ben diverse dello stesso concetto di lotta partigiana.



I gruppi che facevano capo alla democrazia cristiana e che raccoglievano tra loro anche la maggior parte delle prime bande autonome (di origine, come vedevamo, perlopiù militare), nonché liberali e spesso anche azionisti, furono sovente accusati di attendismo dai comunisti quando decidevano di evitare scontri diretti con le truppe tedesche, se la disparità di forze faceva presumere l'inutilità militare dello scontro.



Viceversa furono una creatura comunista i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), piccoli gruppi di non più di cinque - dieci elementi, che agivano soprattutto nelle città, con azioni veloci contro tedeschi e fascisti. Le azioni dei GAP spesso non avevano alcun peso dal punto di vista militare, ma il loro scopo era dichiaratamente quello di mantenere una tensione contro l'occupante e di mantenere sempre vivo lo spirito di lotta del combattente partigiano, nonché quello, meno dichiarato, di mostrare a nemici e alleati che il partito comunista sapeva colpire con decisione e durezza.


Alle accuse di attendismo spesso veniva controbattuto, accusando i comunisti di inutile spietatezza e cinismo, perché le azioni dei GAP provocavano poi l'inevitabile rappresaglia tedesca. L'attentato di via Rasella, con la conseguente strage alle fosse Ardeatine, resta in questo senso emblematico. Ma, se vogliamo fare un altro esempio, un attentato come quello che costò la vita al filosofo Giovanni Gentile fu un'altra azione decisa autonomamente dal partito comunista ed attuata dai GAP, in un quadro di una lotta sempre più crudele.
Pensiamo di aver delineato abbastanza il quadro di frazionamento e di rivalità intestine che contraddistinse tanti momenti della lotta partigiana; ci scusiamo con gli amici lettori per la non breve digressione, peraltro indispensabile per inquadrare gli avvenimenti che andremo a rileggere.


La Divisione Osoppo era nata nella notte fra il 7 e l'8 marzo '44, quando si erano incontrati al seminario di Udine don Ascanio De Luca, don Aldo Moretti e il parroco di Attimis, don Zani. In quella riunione era stata battezzata l'organizzazione clandestina con il nome del paese friulano, Osoppo, dove i patrioti risorgimentali combatterono gli austriaci. I partigiani che la componevano erano quasi tutti ex alpini, di tendenze democristiane, azioniste o liberali; i simboli della divisa erano il cappello con la penna d'aquila e il fazzoletto verde, "colore della speranza e delle nostre montagne, che ci distinguerà chiaramente dai fazzoletti rossi", come disse uno dei fondatori, Don De Luca.


La base per il reclutamento e le prime azioni fu l'eccentrico e disabitato castello Ceconi a Pielungo, nella val d'Arzino. I due capitani Grassi (Verdi) e Cencig (Manlio), e don De Luca (Aurelio) formarono i primi reparti, rifornendosi di armi attraverso i lanci aerei organizzati dalle missioni alleate. Si presentò subito la questione dei rapporti con le formazioni garibaldine. Se comune appariva la guerra all'occupante tedesco, diverse erano le posizioni relative al "dopo" e cioè alla sistemazione dei confini a conflitto concluso.




 

 
 
 
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Junio Valerio BORGHESE

Capitano di Corvetta

Nacque a Roma il 6 giugno 1906. Allievo all'Accademia Navale di Livorno dal 1923, nel luglio 1928 conseguì la nomina a Guardiamarina ed imbarcò sull'incrociatore Trento.

Promosso Sottotenente di Vascello nel 1929, prese imbarco sul cacciatorpediniere Fabrizi e nel 1933, nel grado di Tenente di Vascello, imbarcò sui sommergibili Tricheco ed Iride; con quest'ultimo partecipò a missioni operative durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna.

Allo scoppio del secondo conflitto mondiale ebbe il comando del sommergibile Vettor Pisani e nell'agosto 1940, promosso Capitano di Corvetta, ebbe il comando del sommergibile Sciré con il quale trasportò mezzi ed operatori nelle missioni di Gibilterra e di Alessandria.

Costituitasi il 15 maggio 1940 la X Flottiglia MAS per Mezzi d'Assalto, assunse il comando del Reparto Operatori Subacquei e con la promozione a Capitano di Fregata, anche quello della Flottiglia. Al comando dello Sciré trasportò ad Alessandria gli operatori subacquei che nella notte fra il 18 ed il 19 dicembre 1941 violarono la munitissima base navale inglese di Alessandria ed affondarono le due corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth.

Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e comandò, fino al termine del conflitto, la ricostituita X Flottiglia MAS. Posto in congedo mori a Cadice (Spagna) il 26-8-1974. E' sepolto nella Cappella Borghese di Santa Maria Maggiore in Roma.

 

C.C. J. V. Borghese

Motivazione della Medaglia d'oro al Valor Militare

Comandante di sommergibile, aveva già dimostrato in precedenti circostanze di possedere delle doti di ardimento e di slancio. Incaricato di riportare nelle immediate vicinanze di una munitissima base navale nemica alcuni volontari, destinati a tentarne il forzamento con mezzi micidiali, incontrava nel corso dei reiterati tentativi di raggiungere lo scopo prefisso, le più aspre difficoltà create dalla violenta reazione nemica e dalle condizioni del mare e delle correnti. Dopo aver superato con il più assoluto sprezzo del pericolo e con vero sangue freddo gli ostacoli opposti dall'uomo e dalla natura, riusciva ad assolvere in maniera completa il compito affidatogli, emergendo a brevissima distanza dall'ingresso della base nemica ed effettuando con calma e con serenità le operazioni di fuoriuscita del personale. Durante la navigazione di ritorno, sventava la rinnovata caccia del nemico e, nonostante le difficilissime condizioni di assetto in cui era venuto a trovarsi il sommergibile, padroneggiava la situazione, per porre in salvo l'unità e il suo equipaggio.

Mirabile esempio di cosciente coraggio, spinto agli estremi limiti di perfetto dominio d'ogni avverso evento.

Mediterraneo Occidentale, 21 ottobre - 3 novembre 1940 

Altre decorazioni a riconoscimenti per merito di guerra:

  • Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Mediterraneo occidentale, febbraio 1938)
  • Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia (Mediterraneo orientale, dicembre 1941)
  • Promozione al grado di Capitano di Fregata (1941).

 
 

L' idea dello "scudetto" con il teschio e la rosa rossa ci venne ricordando il comandante Todaro, Medaglia d' oro, una delle figure leggendarie della Decima ante 8 settembre.

Todaro, come Teseo Tesei, un altro dei nostri eroi, aveva lasciato a noi della Decima una traccia profonda ed indelebile. Todaro era il mistico di un determinato tipo di vita, che cercava piu' che la vittoria... una bella morte. "Non importa" ci diceva "affondare la nave nemica. Una nave viene ricostruita. Quello che importa e' dimostrare al nemico che ci sono degli italiani capaci di morire gettandosi con un carico di esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario". Tra l' altro, prima di cadere, ci aveva parlato del suo desiderio di coniare un distintivo dove apparisse l' emblema di una rosa rossa in bocca ad un teschio: "Perche' per noi" aveva detto " la morte in combattimento e' una cosa bella, profumata"

Nel suo ricordo, disegnammo cosi' lo "scudetto": E mai, forse, un distintivo fu "capito" e portato con tanta passione. Perche' sintetizzo' veramente lo spirito rivoluzionario, beffardo, coraggioso, leale che animo' in terra ed in mare, gli uomini della Decima repubblicana"

(J. V. Borghese)

 

Quando mi accorsi che attorno a noi si era creato il vuoto, che istituzioni, enti, comandi e cosi' via non esistevano piu'... capii che era necessario interpretare in senso rivoluzionario la nuova realta' e fornire agli uomini che stavano radunandosi attorno a me delle direttive atte a rompere decisamente con gli schemi di un passato e di una tradizione che non avevano retto alla prova dei fatti. Emanai cosi' alcune disposizioni fondamentali:                            

  1. Rancio unico per ufficiali, sottufficiali e marinai
  2. Panno della divisa uguale per tutti
  3. Sospensione di ogni promozione sino alla fine della guerra, fatta eccezione per le promozioni per merito di guerra sul campo
  4. Reclutamento esclusivamente volontario
  5. Pena di morte per i militari della Decima che vengano riconosciuti colpevoli di furto o saccheggio, diserzione, codardia di fronte al nemico

Il profondo significato morale e spirituale di queste disposizioni fu pienamente inteso dai volontari della Decima...!

J.V. Borghese

 
BIBLIOGRAFIA:
 
DECIMA MARINAI! DECIMA COMANDANTE!, di Guido Bonvicini, ed. Mursia
GLI ULTIMI IN GRIGIOVERDE - vol. II, di Giorgio Pisanò, ed. CEN,
BATTAGLIONE FULMINE - Xa FLOTTIGLIA MAS, a cura di Maurizio Gamberini e Riccardo Maculan, Editrice lo Scarabeo
BERSAGLIERI IN VENEZIA GIULIA 1943 - 1945, di Teodoro Francesconi, Ed. Del Baccia
GORIZIA 1940 - 1947, di Teodoro Francesconi, Ed. dell'Uomo Libero
NEL RICORDO DEL BATTAGLIONE FULMINE, a cura di Carlo A. Panzarasa ed Emilio Maluta
SOLI CONTRO TUTTI, di Nino Arena, ed. Ultima Crociata
Notiziario dell'Associazione ex Combattenti Decima Flottiglia MAS n°8
 
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