La Xa Flottiglia Mas all' 8 di settembre del 1943 non si sciolse e non si arrese a nessuno, mantenendo il tricolore sul pennone della caserma del Muggiano (SP). Nei giorni e nei mesi che seguirono, quella bandiera indico' la strada a parecchie migliaia di italiani gia' combattenti o giovanissimi che non avevano ancora prestato servizio di leva. Uomini che non accettavano la resa senza condizioni e il ribaltamento di fronte. Il primo intendimento fu quello di continuare l' attivita' nei mezzi d' assalto - che era propria del reparto - e che fu presto affiancata dalle squadriglie dei Mas, delle vedette antisommergibile, delle motosiluranti e dei sommergibili tascabili. Ma il numero di volontari che accorrevano da tutte le parti impose soluzioni nuove per l'impiego di questi uomini. Furono costituiti battaglioni delle varie specialita' e gruppi d'artiglieria che si impegnarono dovunque la loro presenza fosse richiesta. (Guido Bonvicini "Decima Marinai! Decima Comandante")
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Post n°76 pubblicato il 29 Settembre 2008 da decimacomandante
I partigiani assassinano il C.te Bardelli Sui fatti di Ozegna si puo’ leggere anche la lettera aperta che Mario Tedeschi, che fu tra i prigionieri, diresse a “Piero Pieri” dal quotidiano milanese “Repubblica fascista” del 18 luglio 1944. Il testo integrale si trova in “Storia della guerra civile in Italia 1943 - 1945” di Giorgio Pisano’” Il “Barbarigo” reduce dal fronte di Anzio si stava ricostituendo ed era di stanza nei centri attorno al Lago di Viverone. I veterani di Nettuno rientravano dalla licenza, i complementi erano in addestramento. Il battaglione aveva cambiato nuovamente comandante perche’ Vallauri era stato promosso Capitano di Corvetta ed era passato alla Divisione come Capo di Stato Maggiore, il comando era stato assunto dal TV Marchesi. A Viverone, la mattina dell’ 8 luglio 1944 arrivo’ il comandante Bardelli, allora al I° Regimento della Decima, per ispezionare il suo vecchio reparto. I maro’ di Anzio lo accolsero con effusione, i nuovi videro per la prima volta un uomo di cui avevano sempre sentito parlare… tutti si strinsero a lui che mostro’ il primo distintivo d’onore “Fronte di Nettuno” che aveva fatto coniare. Visito’ gli accantonamenti, tenen rapporto agli ufficiali, si fermo’ a pranzare con i suoi maro’… Nel pomeriggio chiese un camion con una scorta e parti… lui davanti sulla macchina scoperta e il camion dietro. Dopo una trentina di chilometri giunse ad Aglie’ dove intendeva ispezionare il “Sagittario”, chiese del comandante Fumai, ma questi non c’era. In quel momento qualcuno porto’ la notizia che il GM Oneto aveva abbandonato il “Sagittario” e si trovava in abiti borghesi alla stazione di Ozegna, con la moglie, il cagnolino, l’ attendente e due maro’. La notizia era sconcertante. Bardelli prese la decisione di andare a cercare Oneto e chiese che qualcuno del reparto lo accompagnasse per riconoscerlo. Quando la macchina scoperta di Bardelli – che precedeva il camion di una cinquantina di metri – entro’ nella piazza di Orzegna… si trovo’ davanti venti partigiani armati che la circondarono. Bardelli si alzo’ in piedi e grido’ agli uomini della scorta di stare calmi e di non aprire il fuoco. Scese dalla macchina e ordino’ che i marinai togliessero i caricatori ai mitra e gli ufficiali deponessero le pistole a terra. Lui stesso diede l’ esempio e tutti eseguirono l’ ordine. Chiese quindi ai partigiani chi fosse il loro capo, risposero che era “Piero Piero” ma in quel momento non era presente e arrivo’ poco dopo. Avvenne cosi’ l’ incontro tra “Piero Piero” e Bardelli cui non pareva vero di poter chiedere ad un capo partigiano le ragioni che avevano portato italiani contro italiani. La conversazione sembrava tranquilla e si parlo’ anche di Oneto. Il capo dei partigiani disse che lo aveva fatto prigioniero. Bardelli spiego’ che era li’ per prenderlo e fucilarlo. Venne prospettato uno scambio di prigionieri. Il colloquio durava da una ventina di minuti. I partigiani intanto se ne stavano andando dalla piazza, a questo punto “Piero Piero” si allontano’ di qualche passo e disse “Comandante, siete circondati… arrendetevi!”. Bardelli rispose “Barbarigo non si arrende!” raccatto’ la pistola e sparo’ mentre dalle finestre delle case e dagli sbocchi delle strade comincio’ la sparatoria di quelli che si erano appostati. Bardelli fu colpito alla gamba, continuo’ a sparare da terra finche’ non venne raggiunto da una raffica di mitra al petto. Ogni resistenza era impossibile da parte di chi aveva le armi scariche. I partigiani passarono a finire i moribondi Della Decima caddero in dieci e caddero anche tre partigiani. Gli altri maro’ furono fatti prigionieri, tra questi c’erano dei feriti. Furono trascinati a Pont-Canavese dove li fecero sfilare in mezzo alla folla aizzata e imbestialita che li percosse. I feriti piu’ gravi furono lasciati a terra nella piazza di Ozegna. La notizia del fatto giunse al comando divisione sera inoltrata. Il “Barbarigo” fu spostato ad Ivrea. All’ alba alcuni reparti partirono per Ozegna, circondarono il paese dividendosi in squadre che perlustrarono le strade e le case… nessuna traccia di uomini, solo i segni di fughe affrettate. Le prime pattuglie giunte in piazza trovarono un mucchio di cadaveri. Bardelli non c’era. Due ufficiali entrarono nella chiesa della SS. Trinita’ e trovarono davanti all’ altare le salme di comandante Bardelli e del TV Piccolo. Nella casa delle suore erano ricoverati i feriti. Erano le suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo che tenevano una casa di riposo per anziani e un piccolo ospedale. La prigionia dei maro’ duro’ otto giorni in un continuo alternarsi di minacce di morte e di allettamenti che cercavano di fiaccarne il morale. Vennero liberati in uno scambio. Anche sul trattamento disumano cui furono sottoposti i maro' prigionieri andrebbe aperta una discussione... ed era solo l' inizio! Esistono versioni contrastanti su come fosse caduto il C.te Bardelli e su come fossero stati oltraggiati i cadaveri rimasti nella piazza di Ozegna L'umana pieta' e rispetto per degli eroi caduti in un gesto di estrema lealta' impedisce di scendere nei dettagli dei denti d'oro strappati e del letame riversato su quei poveri corpi crivellati dai colpi di mitra partigiani. La vulgata resistenziale minimizza e con la consueta malafede e falsifica quanto i testimoni diretti, civili e militari, dichiararono in merito ai fatti di Ozegna. |
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Junio Valerio BORGHESE
Capitano di Corvetta
Nacque a Roma il 6 giugno 1906. Allievo all'Accademia Navale di Livorno dal 1923, nel luglio 1928 conseguì la nomina a Guardiamarina ed imbarcò sull'incrociatore Trento.
Promosso Sottotenente di Vascello nel 1929, prese imbarco sul cacciatorpediniere Fabrizi e nel 1933, nel grado di Tenente di Vascello, imbarcò sui sommergibili Tricheco ed Iride; con quest'ultimo partecipò a missioni operative durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale ebbe il comando del sommergibile Vettor Pisani e nell'agosto 1940, promosso Capitano di Corvetta, ebbe il comando del sommergibile Sciré con il quale trasportò mezzi ed operatori nelle missioni di Gibilterra e di Alessandria.
Costituitasi il 15 maggio 1940 la X Flottiglia MAS per Mezzi d'Assalto, assunse il comando del Reparto Operatori Subacquei e con la promozione a Capitano di Fregata, anche quello della Flottiglia. Al comando dello Sciré trasportò ad Alessandria gli operatori subacquei che nella notte fra il 18 ed il 19 dicembre 1941 violarono la munitissima base navale inglese di Alessandria ed affondarono le due corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth.
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e comandò, fino al termine del conflitto, la ricostituita X Flottiglia MAS. Posto in congedo mori a Cadice (Spagna) il 26-8-1974. E' sepolto nella Cappella Borghese di Santa Maria Maggiore in Roma.
C.C. J. V. Borghese
Motivazione della Medaglia d'oro al Valor Militare
Comandante di sommergibile, aveva già dimostrato in precedenti circostanze di possedere delle doti di ardimento e di slancio. Incaricato di riportare nelle immediate vicinanze di una munitissima base navale nemica alcuni volontari, destinati a tentarne il forzamento con mezzi micidiali, incontrava nel corso dei reiterati tentativi di raggiungere lo scopo prefisso, le più aspre difficoltà create dalla violenta reazione nemica e dalle condizioni del mare e delle correnti. Dopo aver superato con il più assoluto sprezzo del pericolo e con vero sangue freddo gli ostacoli opposti dall'uomo e dalla natura, riusciva ad assolvere in maniera completa il compito affidatogli, emergendo a brevissima distanza dall'ingresso della base nemica ed effettuando con calma e con serenità le operazioni di fuoriuscita del personale. Durante la navigazione di ritorno, sventava la rinnovata caccia del nemico e, nonostante le difficilissime condizioni di assetto in cui era venuto a trovarsi il sommergibile, padroneggiava la situazione, per porre in salvo l'unità e il suo equipaggio.
Mirabile esempio di cosciente coraggio, spinto agli estremi limiti di perfetto dominio d'ogni avverso evento.
Mediterraneo Occidentale, 21 ottobre - 3 novembre 1940
Altre decorazioni a riconoscimenti per merito di guerra:
- Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Mediterraneo occidentale, febbraio 1938)
- Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia (Mediterraneo orientale, dicembre 1941)
- Promozione al grado di Capitano di Fregata (1941).
L' idea dello "scudetto" con il teschio e la rosa rossa ci venne ricordando il comandante Todaro, Medaglia d' oro, una delle figure leggendarie della Decima ante 8 settembre.
Todaro, come Teseo Tesei, un altro dei nostri eroi, aveva lasciato a noi della Decima una traccia profonda ed indelebile. Todaro era il mistico di un determinato tipo di vita, che cercava piu' che la vittoria... una bella morte. "Non importa" ci diceva "affondare la nave nemica. Una nave viene ricostruita. Quello che importa e' dimostrare al nemico che ci sono degli italiani capaci di morire gettandosi con un carico di esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario". Tra l' altro, prima di cadere, ci aveva parlato del suo desiderio di coniare un distintivo dove apparisse l' emblema di una rosa rossa in bocca ad un teschio: "Perche' per noi" aveva detto " la morte in combattimento e' una cosa bella, profumata"
Nel suo ricordo, disegnammo cosi' lo "scudetto": E mai, forse, un distintivo fu "capito" e portato con tanta passione. Perche' sintetizzo' veramente lo spirito rivoluzionario, beffardo, coraggioso, leale che animo' in terra ed in mare, gli uomini della Decima repubblicana"
(J. V. Borghese)
Quando mi accorsi che attorno a noi si era creato il vuoto, che istituzioni, enti, comandi e cosi' via non esistevano piu'... capii che era necessario interpretare in senso rivoluzionario la nuova realta' e fornire agli uomini che stavano radunandosi attorno a me delle direttive atte a rompere decisamente con gli schemi di un passato e di una tradizione che non avevano retto alla prova dei fatti. Emanai cosi' alcune disposizioni fondamentali:
- Rancio unico per ufficiali, sottufficiali e marinai
- Panno della divisa uguale per tutti
- Sospensione di ogni promozione sino alla fine della guerra, fatta eccezione per le promozioni per merito di guerra sul campo
- Reclutamento esclusivamente volontario
- Pena di morte per i militari della Decima che vengano riconosciuti colpevoli di furto o saccheggio, diserzione, codardia di fronte al nemico
Il profondo significato morale e spirituale di queste disposizioni fu pienamente inteso dai volontari della Decima...!
J.V. Borghese
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