Der Steppenwolf

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EMILE CHARTIER

 

Niente è più pericoloso di un'idea quando è l'unica che si ha.

Emile Chartier

 

 

 

Se io potrò impedire

Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano-
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena-

o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.


Emily Dickinson

 

 

FELICITà

Felicità: finché dietro a lei corri
non sei maturo per essere felice,
pur se quanto è più caro tuo si dice.

Finché tu piangi un tuo bene perduto,
e hai mete, e inquieto t'agiti e pugnace,
tu non sai ancora che cos'è la pace.

Solo quando rinunci ad ogni cosa,
né più mete conosci né più brami,
né la felicità più a nome chiami,

allora al cuor non più l'onda affannosa
del tempo arriva, e l'anima tua posa.

H. Hesse

 

 

LAO TZE

Niente esiste al mondo più adattabile dell'acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei.

 

 

RIDERE

 

L'unica cura contro la vanità è il riso, e l'unico difetto ridicolo è la vanità.

Henri Bergson

 

 

FëDOR DOSTOEVSKIJ

Se avete in animo di conoscere un uomo, allora non dovete far attenzione al modo in cui sta in silenzio, o parla, o piange; nemmeno se è animato da idee elevate. Nulla di tutto ciò! - Guardate piuttosto come ride.

 

 

 

Messaggi di Novembre 2019

Brendan O’Carroll - Agnes Browne mamma

Post n°237 pubblicato il 22 Novembre 2019 da ixtlann
 

 

 

"Era severa con se stessa perché, nonostante negli ultimi quattordici anni avesse partorito sette volte, a trentaquattro anni dimostrava almeno trentaquattro anni."

 

Qualcuno sapendo che sono sempre in cerca di libri "divertenti", o quanto meno faceti, a seguiti di un mio post sui libri che fanno fare quattro risate,  mi ha consigliato questo romanzo, anzi mi ha consigliato la saga, 4 volumi, dicendo che avendo visto i miei gusti, era sicura mi sarebbe piaciuto.

Mah! Strano, probabilmente non riesco a farmi capire eppure i libri citati avrebbero dovuto parlare per me, così non è stato.

 

"«Nome e numero di previdenza sociale?» «Non ce l'ho,» replicò Agnes. «Non ha un nome?» Adesso l'impiegata aveva alzato gli occhi. «Ma certo che ce l'ha,» si intromise Marion. «Si chiama Agnes, come sant'Agnese, Agnes Browne.» «Non ho un numero di previdenza sociale.» «Tutti ce l'hanno, signora!» «Be', io no!» «Suo marito lavora?» «No, non più.» «Allora è iscritto alle liste di disoccupazione?» «No.» «Perché no?» «È morto.»"

 

Mi sono imbattuto in un testo che se avessi affrontato senza alcuna aspettativa avrei definito, tutto sommato leggibile, o quanto meno interessante, perché era una saga familiare  ma molto diversa da quelle che mi era capitato di leggere fin ora.

Le saghe familiari che avevo avuto modo di leggere, ad esempio quella dei Cazalet, (Elizabeth Jane Howard ) o anche quelli della Thirkell, ci raccontano di famiglie più o meno agiate di ville, di usi e abitudini della classe medio alta, ma anche i Durrell, che tutto sommato non se la passano bene fanno parte sempre dello stesso tipo di società, inglesi, ben educati con una forte attenzione al linguaggio  e alle forme!

 

"«Dunque, com'è morto suo marito?» «Un ranger,» rispose Agnes. «Gli ha sparato?» chiese l'altra, incredula. «È stato ammazzato?» «Da chi?» Agnes glielo domandò come se avesse scoperto qualcosa di cui lei stessa era all'oscuro. «Dal ranger, suo marito è stato ucciso da un ranger?» Agnes era perplessa. Rimuginò un istante, poi un'illuminazione le rischiarò il viso. «Ma no, tesoro! Da un Ford Ranger, è stato investito da un Ranger, il fuoristrada!»"

 

Qui ci spostiamo in Irlanda, nel 1967, a Dublino, nel "Jarro" (St Jarlath's Street), quartiere popolare dove praticamente "si conoscevano praticamente tutti. Di giorno era un via vai ininterrotto di ambulanti, carrozzine e carretti, giacché gli uomini e le donne del posto costituivano il novanta per cento dei commercianti di Moore Street e George's Hill. Inoltre il Jarro forniva forza lavoro sia al mercato del pesce sia a quello delle verdure, mentre il resto degli uomini abili erano portuali, barrocciai o disoccupati."

E chiaro che l'ambiente determina anche il linguaggio e le forme adottate, quindi questo romanzo e sicuramente più popolare dei precedenti, e le storie che ci racconta  hanno sicuramente un tono diverso.

La cosa può anche essere interessante, forse più vera, come i sentimenti che ci mostra, ma, per far ridere si affida alla trivialità.

 

"Le tastava e le stringeva: sono banane, mica cazzi, non è che diventano più grosse se le palpi!»"

 

Battutacce sconce e leggermente volgari, che io definirei da quattro soldi, e che sicuramente non suscitano in me il riso.

Peccato, se non fosse per questo particolare, sembrerebbe il copione di un  film di Spencer Tracy e Katharine Hepburn. Magari senza Spencer Tracy.

La prosa, se si sorvola su alcuni passaggi inutili, è davvero adeguata e rende bene la visione d'insieme, così come i personaggi che con poche pennellate sono perfettamente rappresentati, reali, immediati, vivi, dai più grandi ai ragazzi, che qui chiaramente hanno grande spazio, infatti potrebbe essere un libro per ragazzi se solo fosse un po' più casto, e non giudicatemi un bacchettone, perché in realtà sono tutt'altro.

 

"L'istruttore prese qualche appunto e mise via la penna.

«Dai, chiudi il becco! Chi se ne frega di quello che pensa? Sembra un cazzo gigante!» Ridacchiarono.

«Sssh... arriva,» disse Marion.

«Chiedigli come si chiama. O'Fallon, scommetto! Ci scommetto!!»

L'istruttore aprì la portiera, si sedette, e la richiuse. «Bene, Mrs Monks, possiamo partire.»

«La prego, mi chiami Marion.»

«D'accordo...»

«E lei come si chiama?» domandò Marion. Le due amiche aspettavano, speranzose.

«Oh, mi scusi.» Le porse la mano. «Tom.» Sorrise.

«E poi?» insistette lei.

«Tom O'Katz.»"

 

Tutto sommato, come dicevo anche piacevole, se solo si fosse risparmiato qualche trivialità e avesse rinunciato a voler essere comico, perché per il resto le storie ci sono e sono abbastanza vero, alcune forti, altre commoventi, e non manca un finale a sorpresa.

Non so se leggerò il resto della serie, forse quando mi sarà passata la delusione provocatami da questo finto comico!

 

 

 
 
 

Michela Murgia – Accabadora

Post n°235 pubblicato il 14 Novembre 2019 da ixtlann
 

 

 

 

 

"Fillus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai."

 

Alla fine l'ho letto  e sono contento. Più di qualcuno mi aveva suggerito questo romanzo, anche se nessuno aveva detto perché valesse la pena leggerlo, dire è bello o simili, vale poco e dice meno.

Ma avevo letto delle interviste alla scrittrice e mi era piaciuta come persona, per cui alla fine ho letto questo libro.

 

"Si intrecciava i capelli grigi in piedi, con lo sguardo fisso al vetro della finestra, mentre l'ombra le ricamava sul viso una trama di giorni sottili. Tra quelle pieghe di gonna e di donna Maria intuì per la prima volta la bellezza che non era più, e la ferì l'assenza di qualcuno che ne conservasse memoria."

 

Si, è vero è un "bel" romanzo. Innanzitutto, perché mi ha riportato ad un passato ancora  o forse sempre più vivo nei  miei ricordi, gli anni cinquanta/sessanta, la mia infanzia, la mia giovinezza, con un'aria che forse sogno più che ricordare che è comunque piena di nostalgia, per il "paese", per i ritmi, per il "clima" e gli odori che non ci sono più!

Infondo, anche se la storia è ambientata in Sardegna, certe realtà erano vere e vive in buona parte del meridione, la povertà e l'usanza di dare via un figlio da allevare, spesso a parenti non era cosa rara, così e davvero facile entrare subito nella narrazione vedersi in queste strade polverose a giocare con Maria e Andrìa, e dare dello  zio/a, a tutti quelli più grandi di noi!

 

"Stavolta fu Bonaria a tacere per qualche momento. La musica classica che continuava a venire dalla radio non impediva al silenzio di sentirsi."

 

Altri usi e altre figure presenti nel romanzo fanno parte dei ricordi della mia infanzia e rievocano nomi e momenti che avevo dimenticato, forse la vera novità è proprio la figura dell'accabadora, di cui invece non avevo mai sentito parlare.

Ma andiamo per ordine.

 

"portandola con sé ovunque si recasse, in modo che la gente potesse ingozzare fino a strozzarla la propria famelica curiosità sulla natura di quella filiazione elettiva."

 

La storia che ci viene raccontata è quella di Maria Listru, quarta figlia di una vedova che fatica a mantenere la famiglia, quindi da in adozione la più piccola, ad una agiata donna del paese, sola e avanti con gli anni, Tzia Bonaria Urrai.

La bambina di buon grado va con la nuova mamma, anche perché nella sua famiglia spazi ne aveva pochi o niente, e si sentiva nessuna.

Crescerà con la nuova madre, alla quale si affezionerà e dalla quale imparerà il mestiere di sarta, credendo che quello sia il lavoro della Tzia Bonaria, anche se qualche dubbio le viene quando nota delle strane uscite notturne non spiegabili e non spiegate!

Cosa fa la Tzia quando esce di notte? Aiuta, pietosamente, chi ormai è più di là che di qua e ha davanti solo inevitabile e sofferenza ad esalare l'ultimo respiro, l'accabadora! Una cosa inimmaginabile.

 

"Quanti anni avesse Tzia Bonaria allora non era facile da capire, ma erano anni fermi da anni, come fosse invecchiata d'un balzo per sua decisione e ora aspettasse paziente di esser raggiunta dal tempo in ritardo."

 

Mentre la bambina si trasforma in donna vediamo altri personaggi entrare nel nostro raggio visivo, per un attimo o per il resto del romanzo, come chi sollecita l'intervento dell'accabadora o come i componenti della famiglia Bastìu, la moglie amica della Tzia, e i figli, Nicola e Andrìa, protagonisti comunque delle vicende narrate!

Che quando verrà alla luce sconvolgerà la nostra giovane Maria tanta da indurla a lasciare la vecchia Tzia e a scappare dal paese.

 

"- Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata."

 

La prosa è forte adeguata a ciò che ci racconta, a volte cruda, ricorre raramente ad espressioni dialettali, ma riesce comunque a farci evocare l'ambiente in cui la storia si realizza.

Nella prima parte ci imbattiamo in metafore davvero avvincenti e stupefacenti, che donano un fascino particolare allo scritto, ma che nel prosieguo del romanzo diventano sempre più rare, peccato, perché forse erano una nota indelebile di qualità.

 

"Ogni volta che apri bocca per parlare, ricordati che è con la parola che Dio ha creato il mondo."

 

 

 

 
 
 

Evgenij Vodolazkin – Lauro

Post n°234 pubblicato il 11 Novembre 2019 da ixtlann
 

 

"Quando Diogene venne insultato da un calvo, gli disse così: non rispondo ai tuoi insulti insultandoti, ma lodo i capelli della tua testa che, vista la sua stupidità, ne sono fuggiti."

 

Mah, dovrei imparare a mollare i libri che non mi piacciono  da subito! E invece continuo imperterrito fino alla fine, a volte perché spero migliori, ma la maggior parte delle volte, sapendo che non si redimerà. Forse la curiosità di sapere comunque come finisce la storia che sta raccontando, perché in ogni caso c'è una storia, bella o brutta che sia, interessante o noiosa, la storia c'è e la storia è semplicemente una storia, dipende da come la si racconta che ci prenda o meno.

 

"Nacque a Rukina, un villaggio presso il monastero di San Cirillo. Ciò accadde l'8 maggio dell'anno 6948 dalla Creazione del mondo, anno 1440 dalla nascita del Salvatore nostro Gesù Cristo, giorno di commemorazione di Arsenio il Grande. Sette giorni dopo fu battezzato con il nome di Arsenio. In quei sette giorni sua madre si astenne dal mangiare carne per preparare il neonato alla prima comunione."

 

Qui la storia è quella di Arsenio, bambino che nasce in Russia a metà del XV secolo,  perde i genitori da piccolo e viene cresciuto dal nonno, guaritore  e conoscitore di erbe, saperi che trasmette al nipote.   Aresenio è fervente credente e benché sia grande guaritore, che "conosce " le erbe e le sue virtù,  crede che non siano loro a curare, quanto la fede in Dio, e le preghiere. Quindi continua ad usare le medicine che la natura fornisce, ma solo come aggiunta a ciò che fede può. E lui è un tramite della guarigione, la sola imposizione delle sue mani reca sollievo e favorisce  il risanarsi.  Chiaramente c'è anche tanto folklore, e tanta storia, ma l'essenza è questa! La vita di quest'uomo, che alcuni definirebbe "santo", e che dedica tutta la sua esistenza agli altri, ad alleviare i loro mali se non addirittura a curarli, e si spinge anche oltre sulla via del misticismo.  

 

"Raccontando della sua patria, Ambrogio si struggeva per non essere capace di spiegare il morbido azzurro dei monti, l'umidità salmastra dell'aria e le molte altre qualità che rendevano l'Italia il più bel posto al mondo."

 

Circa a metà romanzo, compare un secondo personaggio, Ambrogio, Italiano, che si è recato in Russia per indagare sulla fine del modo, evento abbastanza prossimo, e per un attimo speriamo che questo dia una svolta alla trama, anche perché insieme partiranno per un viaggio che dovrà portarli Gerusalemme, e per andarci passano dall'Italia, da Venezia, città che sbalordisce il nostro  protagonista.

Ambrogio ha visioni del futuro, predice avvenimenti vicini e lontano, addirittura eventi che accadranno nel XX secolo, questo ci fa sperare che qualcosa cambierà nella storia, quantomeno l'incontro tra religione e metafisica aprirà nuovi orizzonti al racconto, ma ciò non è!

 

"Tra le nozioni temporali gli veniva sempre più spesso in mente "una volta". Questa espressione gli piaceva perché superava la maledizione del tempo e confermava l'unicità e l'irripetibilità di tutto ciò che è accaduto. Una volta capì che questa nozione era del tutto sufficiente."

 

Alla fin fine, mi ha stancato abbastanza presto, anche se la lettura è estremamente scorrevole, uno stile assolutamente paratattico, la storia mi sa di poco, sembra che succedano tante cose ma in realtà succede poco, se non le continue guarigioni di Arsenio condite sempre da preghiere e pensieri rivolti alla grandezza divina. Per il resto  mi pare troppo superficiale,  non indaga mai fino in fondo su pensieri  o sentimenti o comunque su ciò che c'è dietro l'esistenza sua o di chi gli sta intorno.

 

"All'alba i messi del boiaro Frol si misero sulla via del ritorno, che durò la metà perché il profumo del pane eucaristico li sfamava mentre la sua vista toglieva loro la stanchezza. Quando arrivarono a Mosca, il boiaro gli chiese subito le ostie."

 

Tra l'altro io sono agnostico, e questo mi sembra quasi una agiografia, la narrazione della vita di un anacoreta in odore di santità, con un senso del religioso forse per me esagerato. Non sembra un romanzo contemporaneo, e difficile credere in una tale fede!

 

"il re Filippo assegnò a un tale l'ufficio di giudicare insieme ai giudici, ma venne a sapere che quello si tingeva i capelli e la barba, perciò gli tolse l'incarico dicendo: se tu non sei fedele ai tuoi capelli come potresti essere fedele agli uomini e al tribunale?"

 

Ad alleggerire la trama, di tanto in tanto ci si imbatte in credenze medioevali davvero bizzarre, che ci ricordano dei secoli oscuri, e di quanto potesse essere ristretto il pensiero di quegli anni.

Mi sembra chiaro che non è un libro che consiglierei, ma bisogna anche tener conto del mio approccio alla religione, credo che un fervente credente  lo apprezzerebbe molto di più!

 

"Aveva sempre presenti le parole di Arsenio il Grande: mi sono pentito spesso delle parole pronunciate dalle mie labbra, mai del silenzio."

 

 

 

 
 
 

China Mieville – Embassytown

Post n°233 pubblicato il 08 Novembre 2019 da ixtlann
 

 

"Per gli Ariekei il discorso è diverso... Quando parlano, loro sentono davvero il suono dell'anima. È lì che risiede il significato della Lingua. Le parole sono...» Scosse la testa, incerto se fosse il caso di usare quel termine religioso. «...sono dei tramiti per l'anima. È lì che deve stare il senso: per essere considerato come parte del linguaggio, deve corrispondere al vero. È la ragione per la quale operano mediante similitudini.» «Come me» aggiunsi."

 

Innanzitutto diciamo subito che si tratta di un grande romanzo di fantascienza, senza alcuna contaminazione, questo per gli eventuali amanti di Mieville e dei romanzi weired.

La fantasia di China Mieville è davvero stupefacente. I suoi personaggi sono sempre inimmaginabili, davvero difficili da raffigurarsi,   è probabilmente,  in questo romanzo questo aspetto raggiunge il suo apice.

 

"«Gli Ospiti non sono come noi, giusto? Non sono in molti a eccitarsi nell'incontrare una... locuzione aggettivale, un participio passato o quant'altro. Tuttavia, nessuno si sorprende del fatto che loro ambiscano a fare la conoscenza di una similitudine. Gli servite per pensare. I cultori della Lingua lo adorerebbero."

 

Il fatto  ha due aspetti, uno strepitoso, la capacità creativa di quest'autore ha sempre dello spettacolare, che ci stupisce e suscita la nostra ammirazione, l'altro, per chi è abituato a rappresentarsi ciò che legge, se di solito si hanno delle difficoltà iniziali con i suoi personaggi, qui è proprio complicato!

Detto questo, per inquadrare cosa abbiamo d'avanti, vediamo cosa ci narra.

Siamo in un futuro molto remoto, gli essere umano o i loro discendenti,  hanno esplorato tanto dell'universo, spingendosi sempre oltre e colonizzando tanti pianeti e incontrando tante forme di vita con cui hanno stabilito delle relazioni.

 

"In lontananza, scorgemmo delle steppe in cui correvano mandrie di fabbriche quasi allo stato brado che degli scienziati-gaucho alieni provvedevano a recintare due volte l'anno."

 

Ci troviamo su Arieka, pianeta di confine dell'universo esplorato, abitato da un popolo, gli Ariekei, creature decisamente bizzarre e davvero difficili da immaginare, custodi di una lingua misteriosa e inaccessibile, che ha bisogno di due  apparati di fonazione per essere emessa,  che producono rispettivamente l'"inciso" e l'"eco", che rende incomprensibile il loro parlare, e rende,  chi parla con una sola voce,  automaticamente escluso dal novero delle creature intelligenti, senziente  e in grado di esprimersi.

 

"Ogni Ambasciatore interrompeva l'altro; ogni metà finiva le frasi del suo doppio. Tutte quelle figure nello stesso posto creavano una situazione surreale."

 

La lingua degli Ariekei,  è inoltre, una lingua assolutamente "reale", vale a dire che qualsiasi oggetto o elemento di un discorso deve essere assolutamente reale, esistente. Questo fa si che per un  Ospite sia impossibile  mentire, perché non si può "creare", "inventare" una «bugia», perché sarebbe ricorrere a qualcosa di inesistente,  "dati" non tangibili, non esistente nel mondo reale. I rapporti con gli Ariekei   sono possibili solo grazie ai pochi "ambasciatori", persone doppie clonate e allevate proprio per essere  in grado di comprenderne e parlare  il linguaggio locale.

 

"Così mi spiegò che lui e i suoi amici erano a conoscenza di altri tropi e atti linguistici, ma che le uniche ad aver costituito una comunità a parte erano proprio le similitudini."

 

Un altro tipo di persona è presa in considerazione, quella che diventa parte dell'linguaggio, un similitudine, o un altro tropo.

Inoltre il pianeta ha un'atmosfera non adatta alla vita umana, per cui i terrestri, vivono in uno spazio circoscritto, Embassytown, all'interno di una città locale.

 

"All'età di sette anni salutai turnogenitori e turnofratelli e lasciai Embassytown. Vi tornai undicenne: sposata, non ricca ma con abbastanza risparmi e una piccola proprietà,"

 

La protagonista e voce narrante, visto che il tutto viene narrato, è Avice Benner Cho, un'umana che incontriamo  all'inizio del romanzo "bambina", anche se non è chiara l'età, perché il conto degli anni su questo pianeta è molto diverso rispetto a quello terrestre, e che poi vediamo ritornare ormai donna, una immergente, vale a dire esperta di lunghi viaggi nello spazio profondo con tecniche particolari, e con tre  matrimoni alle spalle e uno in corso d'opera, anzi è proprio per accontentare l'ultimo marito, esperto di linguaggi, e fortemente interessato a quello degli Ariekei,  che ha fatto ritorno al paese natale.

 

"Quindi, lasciai Embassytown all'età di circa 170 kilo/ore e vi ritornai quando ne avevo 266, sposata, con dei risparmi da parte e un po' di consapevolezza in più."

 

Ma durante il suo soggiorno i rapporti con i locali  cominciano a mettersi male, e si arriva a una insurrezione e ad una possibile rivolta.

La storia risulta sempre avvincente, anche se all'inizio, e forse non solo,  si vieni distratti dal tentativo di raffigurarsi le realtà descritte  a volte davvero stupefacenti.

Tanti le riflessioni che suscita il romanzo, la colonizzazione, l'arroganza dei più forti, la lealtà e la verità, succubi di società dove la menzogna è la norma.

Un ritmo sempre più serrato, anche se l'essere una narrazione rallenta un po', fano di questo romanzo un libro avvincente e interessante, sicuramente da leggere per gli appassionati, probabilmente interessante anche per chi ama la lingua e il linguaggio!

 

"Fu quasi come tornare bambina. Anzi, no: quella dei bambini non è vita. È pura esistenza."

 

 

 
 
 
 
 

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SENECA

Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

 

 

 

BERTRAND RUSSEL

Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti

 

OSCAR WILDE

Regala la tua assenza a chi non dà valore alla tua presenza

 

SE TU AVESSI DORMITO?,

Se tu avessi dormito?,

E se, nel sonno, tu avessi sognato?

E se, nel sogno,

tu fossi entrato nel paradiso

e lì avessi colto uno strano, bellissimo fiore?

E se, al risveglio,

ti ritrovassi quel fiore in mano?


Samuel Taylor Coleridge

 

 

IL MOMENTO

Se ne va, se ne va, se ne va!

Se n'è andato!

E col momento,

se n'è andata l'eternità!

            Juan Ramòn Jiménez

 

 

N.NUR-AD-DIN

 

Nasciamo senza portare nulla,

moriamo senza poter portare nulla,

ed in mezzo,

nell'eterno che si ricongiunge

nel breve battito delle ciglia,

litighiamo per possedere qualcosa.

                              

 

 

IL RAGGIO VERDE

In particolari circostanze,

quando il sole scompare dietro l'orizzonte,

nel preciso momento in cui l'ultima luce diretta ci colpisce,

può da esso generarsi un raggio verde

che passando attraverso i nostri occhi,

ha la capacità di illuminare la nostra essenza,

permettendoci di dare uno sguardo

dentro di noi e

vedere chi siamo!

 

 

STRANO VAGARE NELLA NEBBIA

È strano vagare nella nebbia!
Solo è ogni cespuglio e pietra,
Nessun albero vede l'altro,
Ognuno è solo.

Pieno di amici era per me il mondo,
Quando la mia vita era ancora luminosa;
Adesso, che la nebbia cala,
Nessuno si vede più.

In verità, nessuno è saggio
Se non conosce il buio,
Che piano ed inesorabilmente
Da tutti lo separa.

Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è essere soli.
Nessuno uomo conosce l'altro,
Ognuno è solo.

 

H. Hesse

 

 

AMBROSE BIERCE

Riso:  Convulsione interna che altera i lineamenti del viso ed è accompagnata da suoni inarticolati.

È infettivo e, seppure intermittente, incurabile.

 

 

 

OVIDIO

La Fama, che gode con le sue calunnie

a confondere vero e falso, e che dal nulla si dilata

per forza di menzogna

 

 
 

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