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Post n°714 pubblicato il 23 Febbraio 2011 da diegobaratono

Da:"LaStampa.it"
Il cielo
07/02/2011 -

Aiuto, scoppia Betelgeuse!
(ma è una bufala)

Piero Bianucci

Il 24 gennaio scorso un articolo sul “Corriere della Sera” annunciava la possibile esplosione della stella Betelgeuse nel 2012. Si trattava in realtà di una bufala, nata dal fraintendendimento di alcune dichiarazioni del fisico australiano Brad Carter. Betelgeuse è una supergigante rossa e prima o poi diventerà una supernova. Ma che accada nel prossimo anno è del tutto improbabile, e comunque nessuno è in grado di fare una previsione del genere.

Peraltro l’intera comunità mondiale degli astronomi da più di 400 anni è in ansiosa attesa di una supernova nella nostra galassia, la Via Lattea, cioè dell’esplosione di una stella massiccia giunta alla fine della sua breve esistenza. Vediamo infatti abbastanza spesso supernove in altre galassie, ma sono troppo lontane per poterle studiare nei minimi particolari come gli astronomi vorrebbero.

Naturalmente dobbiamo augurarci anche che la prossima supernova non esploda troppo vicino a noi, perché saremmo investiti da una spaventosa quantità di raggi gamma e X, in dosi mortali per gran parte delle creature terrestri a cominciare dall’uomo. Diciamo che andrebbe bene una supernova giudiziosa, né troppo lontana né troppo vicina. Betelgeuse si trova a 600 anni luce: saremmo nei limiti di sicurezza e lo spettacolo estetico e scientifico risulterebbe grandioso. Peccato, davvero un peccato, che l’annuncio del “Corriere” sia privo di fondamento. Nell’attesa, possiamo consolarci rievocando le supernove che esplosero durante il millennio che abbiamo alle spalle.

Nel 1006 e nel 1054 due stelle luminosissime per qualche mese cambiarono vistosamente l’aspetto del cielo. Oggi sappiamo che erano supernove, astri di grande massa che giungono al termine della loro vita tumultuosa esplodendo in un colossale fuoco d’artificio dall’energia pari a quella di un’intera galassia. In media nella Via Lattea eventi del genere si verificano ogni tre o quattro secoli. L’ultimo risale al 1604. Fenomeni così grandiosi difficilmente passano inosservati. Eppure nel mondo occidentale, dove il cielo delle stelle fisse era ritenuto per definizione immutabile, nessuno o quasi sembrò accorgersene.

Registrarono la supernova del 30 aprile 1006 nella costellazione del Lupo studiosi islamici come l’astrologo e medico egiziano Ali ibn Ridwan (988-1061), osservatori iracheni, cinesi e giapponesi. L’unica traccia che se ne ha in Italia è nei documenti dell’abbazia benedettina di San Gallo. Frank Winkler nel 2003 ha fatto notare che la luminosità della stella fu tale da permettere ai monaci di miniare i loro codici in piena notte. Oggi rimane, in quell’angolo di cielo, una piccola e debolissima nebulosa (foto) che emette raggi X.

La supernova comparsa nel 1054 nella costellazione del Toro (nella foto la nebulosa che ci ha lasciato in eredità) suscitò la meraviglia di astronomi arabi, cinesi e indiani d’America senza trovare attenzione in Europa benché sia stata visibile di giorno per tre settimane e abbia brillato in cielo per 653 notti. Possiamo dedurne che, scuole monastiche a parte, nel medioevo l’astronomia si immerse in un lungo letargo.

Con poche eccezioni. All’inizio del settimo secolo Isidoro, vescovo di Siviglia, tracciò la distinzione tra astrologia e astronomia bollando la prima come superstizione. Beda il Venerabile nel 725 fissò le regole per determinare le festività mobili cristiane all’interno di quel calendario giuliano che fu il contributo all’astronomia dato dai romani, che furono notoriamente gente pratica. Nel 1050 il benedettino Ermanno lo Storpio descrisse costruzione e uso dell’astrolabio. Elementi di astronomia si trovano nel trattato “De Sphera” dell’inglese Giovanni Sacrobosco, morto a Parigi nel 1236. Notevoli sono le “Tavole Alfonsine” che re Alfonso X di Castiglia fece compilare da un gruppo di astronomi arabi nel 1272. L’uscita dal buio inizia con Johannes Muller di Koenisberg (1436-1476) detto Regiomontano. Bambino prodigio, Regiomontano entrò all’Università di Lipsia quando aveva solo 11 anni e a 12 calcolò le effemeridi di Sole, Luna e pianeti. Fu un ottimo osservatore. Con le sue misure inizia la revisione critica dell’astronomia tolemaica che apre la strada a Copernico.

Arrivarono poi altre due supernove: una nel 1572, studiata da Tycho Brahe, e una nel 1604, studiata dal suo allievo ed erede Keplero, e poi anche da Galileo Galilei. Due eventi eccezionali che insieme nel formano uno ancora più eccezionali: la generazione tardo-rinascimentale che visse a cavallo tra il 1572 e il 1604 vide due supernove nella nostra Via Lattea, mentre noi moderni da più quattrocento anni aspettiamo di vederne una.

In ogni caso furono le supernove a dimostrare, con la mancanza di parallasse, che anche il cielo delle stelle fisse poteva subire mutamenti, alla faccia di Aristotele e Tolomeo. Ma le supernove del 1006 e del 1054 furono ignorate in ambito nel mondo cristiano. Parafrasando un proverbio popolare, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

 
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