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« Maria Zef Il regista »

L'ignoto spazio profondo

Post n°17 pubblicato il 07 Maggio 2006 da lugio5
Foto di lugio5

(The Wild Blue Yonder)

di Werner Herzog (2005, 81’)

Gli alieni sono tra noi, e da molti anni. Provengono dalla remota galassia di Andromeda, da un pianeta sommerso dalle acque chiamato “Wild Blue Yonder”, e i loro tentativi di fondare una nuova comunità sulla Terra sono mestamente falliti. A rivelarcelo è proprio uno dei “visitatori”, mentre con amarezza constata che la tragedia si ripete, e anche da noi gli sforzi verso l’autodistruzione sono costanti e progressivi.
Da sempre cineasta nomade affascinato dalla figura dello Straniero, Herzog esplora lo spazio delle immagini e ne deforma i confini. Solo da lui ci si poteva attendere questo magmatico “fanta-documentario”, dove il vero viaggio non muove attraverso la realtà, ma attraverso il cinema, nell’allucinato tentativo di convertire una Storia dell’umanità in una vera e propria storia della visione. L’idea di partenza sfiora il grado zero del cinema, giacché le uniche sequenze girate ex-novo riguardano soltanto il monologo dell’attore Brad Dourif (già con Herzog in Grido di pietra), che si aggira in un panorama di desolate macerie. Su tale “basso continuo”, si installa una prodigiosa sinfonia visiva interamente nutrita di immagini di repertorio, sullo stile “found-footage” di Jay Rosenblatt o del primo Greenaway.
Gli alieni, “padri fondatori” della nostra civiltà, sono paragonati ai primi temerari aviatori sulle loro scatole volanti, mentre il Wild Blue Yonder viene descritto come una sfera di elio liquido ricoperta da un’atmosfera di ghiaccio. Filmati dell’archivio Nasa si alternano a visioni subacquee dell’Antartide, o alla bizzarra cronaca della creazione a Washington di una colonia per “profughi extraterrestri”. Ma il nostro alieno ci racconta anche un’impresa uguale e contraria: in fuga dall’imminente azzerarsi delle risorse terrestri, astronauti umani si avventurano oltre la Via Lattea (grazie a tunnel spazio-temporali che comprimono le distanze) in cerca di una nuova terra promessa, accuratamente protetta da un’immensa cupola. Ma nel frattempo sono trascorsi millenni: la civiltà umana si è estinta, e la Terra, tristemente regredita ad uno stadio primigenio, è stata dichiarata “Parco Naturale”. Il luogo ideale per le vacanze. Questo è cinema documentario che vola alto, che attraversa e irrompe tra i generi come un’astronave tra le quattro dimensioni. L’idea dell’annullamento totale della parola, dello sguardo, di ogni forma di esistenza e comunicazione, viveva nel cinema di Herzog sin dai tempi dello straordinario Paese del silenzio e dell’oscurità, dedicato all’handicap dei sordociechi. Ma su questa angoscia di vuoto resta, come unica consolazione, unico elemento atemporale che sopravvivrà al nostro contaminante passaggio, la musica: in una selezione ironicamente eterogenea di brani per violoncello, Haendel, cori sardi e cantori senegalesi. Manca forse soltanto quella canzone che chiudeva Dottor Stranamore, a promettere che in ogni caso ci rivedremo, chissà dove, chissà quando, in un giorno di sole.

l'autore Dante Albanesi

 
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