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Introduzione al documentario

Post n°82 pubblicato il 16 Dicembre 2006 da lugio5
 
Tag: Libri


immagineIntroduzione al documentario, edito da Il castoro, è un libro importante perché prova efficacemente ad analizzare un modo di “fare cinema” sul quale, specie in Italia, c’è ancora molta confusione. Nichols divide il suo libro per capitoli, che hanno la particolarità di essere introdotti da una domanda. Non è un caso che il primo si intitoli Perché i problemi etici sono fondamentali per il documentario?; una questione sulla quale, specie dalle nostre parti, c’è fin troppa disinvoltura. E, quasi a rispondere ai tanti critici, registi e appassionati di cinema che (sempre da noi) mettono in discussione l’esistenza stessa di un genere documentario, Nichols nel secondo capitolo pone un altro importante interrogativo: In che modo i documentari sono diversi dagli altri tipi di film? Badate, la posizione di Nichols non è affatto rigida, lui non crede in uno specifico documentario, ma al contrario sa che fiction e non -fiction si contaminano spesso e volentieri grazie ai vasi comunicanti creati dagli autori. Ecco cosa scrive in proposito: “Dare una definizione di documentario non è più semplice del darne una di amore o cultura…Se il documentario fosse una riproduzione della realtà, questi problemi sarebbero molto meno sottili. Ci troveremmo semplicemente di fronte a una replica o una copia di qualcosa che già esiste. Ma esso non è una riproduzione della realtà, bensì una rappresentazione del mondo in cui viviamo”.
Gli altri capitoli pongono interrogativi anch’essi stimolanti: Da dove prendono la voce i documentari? Di che cosa parlano i documentari? Quali tipi di documentari ci sono? In che modo i documentari affrontano le questioni sociali e politiche?
Consiglio vivamente questo libro, anche perché associo la sua lettura a un buona occasione per svincolarsi dalla moda tutta italiana del documentario. Si sa, le mode prima o poi finiscono e si è forti solo se le basi su cui si agisce, sul piano professionale come su quello artistico, lo sono altrettanto.
Se Nichols indirizza il suo interesse a una sistematizzazione del pianeta documentario, Jean Luis Comolli scrive i suoi saggi prestando particolare attenzione al rapporto con la contemporaneità. Nel suo Vedere e potere, aperto da una bella introduzione di Fabrizio Grosoli e edito da Donzelli, Comolli si avventura nelle nuove frontiere della non-fiction, in particolare su quelle che pericolosamente si manifestano attraverso la televisione, la docu-fiction e i reality, per esempio. Non è solo il teorico, ma anche il regista a scrivere, perché Comolli di documentari ne ha realizzati molti, in gran parte sconosciuti dalle nostre parti, certo ben diversi dai prodotti della tv-spettacolo .
Oltre ai capitoli sulla televisione, vi invito a leggere due brevi saggi: Quello che filmiamo - Note sulla regia documentaria, dove Comolli sostituisce la classica domanda “come interagisce la macchina da presa con quelli che filma?” con un più opportuno “come interagiscono le persone filmate con la macchina da presa?”, riflettendo in particolar modo sulla questione della “messa in scena” della realtà; e l’altro, Pratica e teoria dell’intervista, dove il critico e regista francese si mette anche in questo caso nei panni di chi è filmato piuttosto che in quelli di chi filma; in sintesi una questione di non poca rilevanza, che ci riconduce al problema etico su cui si è soffermato ampiamente anche Bill Nichols.
“Non esiste una tecnica per cogliere la verità, esiste una questione morale”. Lo ha detto Roberto Rossellini nel corso di un vecchio dibattito sul Cinema verité, proposto in un libro ripubblicato quest’anno a cura di Adriano Aprà, Il mio metodo – Scritti e interviste di Roberto Rossellini (Marsilio Editore). Nell’incontro, oltre a Rossellini, intervengono George Sadoul, Jean Rouch, i fratelli Maysles, Eric Rohmer… Era il 1963 e si discuteva intorno al complesso rapporto del cinema con la realtà, partendo dalla visione di due film, La punition di Rouch e Showman dei fratelli Maysles.
E’ interessante come Rossellini smonti il mito del Cinema diretto o verité (specie in un franco faccia a faccia con Rouch), difendendo il punto di vista dell’autore contro la presunta neutralità di chi filma anche grazie alla libertà dei mezzi leggeri. Una questione che il maestro italiano pone con la consueta semplicità, contro ogni mitologia della tecnica (“La cinepresa è come la forchetta”) e inserendo il cinema tutto all’interno della vita. Fateci caso, qualche decennio dopo, Comolli è proprio da quelle parti: non è importante come la macchina da presa interagisce con la realtà, ma come la realtà interagisce con la macchina da presa. La vita prima di tutto, appunto.
Gianfranco Pannone

 
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