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“Così gli ultimi saranno primi e i primi,ultimi”

Post n°885 pubblicato il 21 Settembre 2014 da prosanctitatect
 

Vangelo
Matteo 20,1-16a.
Dal Vangelo secondo matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati
e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?
Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno.
Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo:
Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?
Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te.
Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?
Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Parola del Signore.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
enzo il 21/09/14 alle 17:08 via WEB
Enzo: “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?”: questa domanda di Pietro a Gesù, (Mt19,27), trova la risposta in questo brano-parabola che abbiamo appena letto. La domanda di Pietro forse ce la siamo fatta tutti nella nostra vita: per cosa lavoro? Cosa mi attende lavorando per il Signore? Così parla l’uomo di questo mondo che tutto vede in vista di un profitto, di un miglioramento nella propria vita, di una ricompensa. Sono le usanze di questo mondo che agisce per scopi immediati, dare per ricevere, fiscalmente corretto. Ma il regno di Dio a cui aspiriamo ha altre leggi, altre misure nel compensare, perché dà ricompensa a tutti coloro che lavorano per realizzarlo, ma non è un dare per avere. Anzitutto il Regno dei cieli ha un Padrone che chiama liberamente come liberamente accetta chi è stato chiamato: nessuno è obbligato. Nel mondo chi si adopera di più, chi emerge è ricompensato per quello che fa e per i suoi risultati. Il Regno dei cieli rovescia questa mentalità: “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi”, abbiamo ascoltato l’interpretazione dell’evangelista Matteo al brano letto. Le posizioni sono invertite, le gerarchie dei valori umani sono capovolte: Dio, il padrone della Vigna ha un modo diverso, ha una giustizia diversa, non è legalista, non gli interessano le lamentele, incomincia a ricompensare da coloro che sono gli ultimi degli uomini, da coloro che solitamente non sono considerati, posti da parte: i senza nome, gli ammalati, i poveri, i peccatori, gli stranieri, gli operatori di pace, i sofferenti per la giustizia, i perseguitati… ”I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi”. Come per dire non c’è Regno dei cieli per chi pretende, per chi ingiustamente protesta…per chi è invidioso e non sa vedere la giustizia di Dio, la misericordia di Dio, la grazia di Dio che di solito trova disponibilità in coloro che noi non teniamo in considerazione, non meritevoli, miserabili peccatori. Coloro che noi non teniamo in considerazione, che forse disprezziamo, che invidiamo i loro comportamenti, che non vogliamo che si parli bene di loro, coloro che secondo le parole evangeliche saranno beati. Certamente non è questo il pensiero di Gesù: Gesù non condanna gli operai della prima ora, non vuole mostrare come Dio si comporta, ma come coloro che sono ritenuti giusti o che pensano di esserlo devono vedere e capire la misericordia divina, non si difendono diritti e doveri, ma bisogna cercare solidarietà con coloro che hanno meno di noi, nella parabola solidarietà tra pari. Il contesto della parabola trova riscontro nell’ambiente storico, situazione concreta della predicazione di Gesù: Gesù intende giustificare, di fronte ai farisei e sacerdoti del tempo, la sua preferenza nei confronti dei peccatori. Gesù non fa differenza tra giusti e peccatori, due condizioni umanamente comprensibili, soltanto condannare coloro che si ritengono giusti e si sentono offesi per questa predilezione e vorrebbero dei privilegi per quello che sono o ritengono di essere. Gesù si adegua ai disegni di Dio che privilegia gli indigenti e gli umili per dimostrare la sua misericordia infinita. Ai perbenisti giudei Gesù contrappone la liberalità e bontà del Padre, che non agisce secondo una giustizia meritocratica, ma con amore disinteressato. Matteo rilegge la parabola per esaltare appunto la misericordia di Dio, che accoglie gli umili di Israele e anche i pagani nel Regno in contrasto con la grettezza del giudaismo ufficiale che aveva una visione esclusivista della salvezza e la convinzione della superiorità dei giudei su tutte le altre nazioni: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Israele, popolo eletto, non vuol capire la bontà del suo Dio, si allontana dall’Inviato di Dio atteso da secoli, sfidando la pazienza divina. Dalla liturgia del Venerdì santo: "Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta. Io ti ho guidato fuori dall'Egitto, e tu hai preparato la Croce al tuo Salvatore…? …Io ti ho piantato, mia scelta e florida vigna, ma tu mi sei divenuta aspra e amara: poiché mi hai spento la sete con aceto, e hai piantato una lancia nel petto del tuo Salvatore… …Io ti ho posto in mano uno scettro regale, e tu hai posto sul mio capo una corona di spine. Io ti ho esaltato con grande potenza, e tu mi hai sospeso al patibolo della croce". (dalla liturgia del Venerdì Santo) Questo pianto di Dio è un mistero. Certo una risposta va data: ciascuno la deve dare; qui è in gioco una responsabilità personale e comunitaria che non può essere elusa o forse meritiamo la parola di Gesù: “Amico, io non ti faccio torto… Prendi il tuo e vattene” ? Mistero incompreso rimase anche il pianto di Gesù su Gerusalemme: Luca 19,41-44 In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. Dio insegna, ama, previene, attende da ognuno una risposta: qual è oggi la nostra? Quale strada scegliamo?
 
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