Creato da prosanctitatect il 17/06/2009

GiovaniProSanctitate

Tutti santi, tutti fratelli!

fiore

Be Holy, Be Happy!

 

MADONNA DELLA FIDUCIA

madonna della fiducia

O cuore immacolato
di Maria
vivo modello
di ogni santità
dona tu la fiducia
di diventare santi.

 

fiduica

 

sorriso

Sappi sorridere molto,
giacché il sorriso
crea un ambiente.
(G.G)

 

 sole 

Ogni giorno bisogna fare almeno
un passo avanti nella via dell'amore,
non ha importanza quanto lungo
perché può essere quello del bimbo
o quello del gigante, ma in ogni giorno
massimo sia lo sforzo per andare avanti
con impegno e con volontà.
(G.G)

 

tutti

 

orme

Non arrestarti
ai primi gradini dell'amore:
prosegui sempre
più in alto.

(G.G)

 

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Ultimi Commenti

GiuseppeLivioL2
GiuseppeLivioL2 il 10/05/15 alle 04:43 via WEB
l' amore per gli altri ............ da cosa nasce ?? da che dipende ?
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
enzo il 03/05/15 alle 18:40 via WEB
Enzo: In questa domenica attraverso un’immagine dell’Antico Testamento, quella della vite-vigna attribuita all’intero Israele, (Isaia 5,1-8) Gesù è la vite vera e a questa vite vuole che rimangano attaccati i tralci, i suoi discepoli. Israele non rimase fedele a Dio e per questo si attirò il castigo divino, praticamente cessò di essere il popolo eletto. Quello che Gesù prospetta ai suoi discepoli è l’intima unione con Lui per la gloria del Padre. Non per niente Gesù è ripetitivo, martellante in questo discorso: vuole che chi lo ascolta capisca le sue parole, il suo essere unito al Padre e all’uomo e le conseguenze di questa unione. “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore” dice Gesù. Secondo Giovanni Gesù è la vite «vera»in quanto Messia inviato da Dio, egli rappresenta il popolo eletto degli ultimi tempi, di cui Israele era soltanto una prefigurazione. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Gesù è la vite-vigna custodita e coltivata dal Padre che provvede a tagliare i tralci infruttuosi durante l’inverno e a primavera toglie i germogli inutili. Inverno e primavera sono le stagioni della vita di ogni uomo, gli alti e bassi della vita di ogni uomo. I tralci che devono portare frutto hanno bisogno dell’opera esperta dell’agricoltore che taglia il ramo che non porta frutto destinato alle fiamme e lascia i tralci buoni. Chi non crede o il discepolo che si separa da Gesù perde la possibilità di produrre i frutti dell’amore. Non è escluso l’impegno personale che è fruttuoso solo se confortato dalla piena comunione con Lui I discepoli, accogliendo la Verità rivelata da Gesù, sono stati purificati dal peccato (voi siete puri) e pertanto non subiscono il taglio del Padre, che riguarda gli increduli. Essi non devono temere di essere tagliati via dalla vigna, anche se dovranno andare incontro a potature, cioè a tutte quelle sofferenze che sono necessarie per maturare nella fede e far crescere il Regno di Dio. Nella similitudine dei tralci infruttuosi “gettati nel fuoco e bruciati” non bisogna vedere una descrizione dell’inferno e dei suoi castighi ma un allontanarsi dell’uomo da Dio, dalla sua Parola, un condannarsi alla sterilità spirituale. Non è una minaccia ma una realtà dell’uomo incredulo o discepolo infedele: il richiamo alla conversione rimane sempre presente nella proposta dal vangelo a causa dell’ enorme Misericordia divina. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”: I discepoli che rimarranno sempre uniti a Gesù, alla Vite vera, serbando e facendo propria la sua parola saranno sempre esauditi nella preghiera, consolati nel dialogo che diventa preghiera, preghiera che diventa azione, diffusione della Parola, allargamento del regno di Dio, destinazione la vita eterna in Dio. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Gesù ha glorificato il Padre attuando il suo disegno di salvezza con l’adesione totale al suo volere; i discepoli glorificano il Padre rimanendo uniti nell’amore del suo Inviato e prolungando la sua missione redentrice nel mondo: la salvezza dell’uomo passa attraverso Gesù. Crediamo fermamente tutto questo? Se sì, sapremo trovare in quanto discepoli l’affetto della volontà divina che fa convergere al bene tutte le prove a cui andremo incontro a causa dei limiti della nostra natura umana. Se sì, crediamo anche che le nostre debolezze sono sempre coperte dall’immensa misericordia del Padre. Se sì, dobbiamo curare il nostro rapporto con Dio migliorando sempre la nostra vita spirituale, noi stessi. Don Giovanni Gioba nel 2009 così finiva la sua omelia commentato questo brano di Giovanni: “La mia vita spirituale è una pianta di cui devo prendermi cura anch’io insieme con Dio… … Se imparo a coltivare questa mia vita spirituale divento davvero fruttuoso, e chiunque mi avvicina si accorge che in me i frutti dell’amicizia, della pazienza, del perdono, dell’altruismo sono davvero abbondanti. E questi frutti di vita segnalano che il mio legame con la pianta principale che è Gesù non è interrotto ma è vivo!”.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
enzo il 26/04/15 alle 19:05 via WEB
Enzo: Leggendo questo brano di Vangelo mi è venuta in mente la situazione della Chiesa del nostro tempo: è il popolo di Dio, il gregge di Gesù in cammino verso il Padre. Una chiesa in crisi, una chiesa impoverita per la frequenza di cristiani tiepidi, presa da assalto da tanti oppositori, spesso mal guidata dai suoi pastori. Sono, siamo cristiani-lupi, cristiani-mercenari che voltiamo le spalle alle prime difficoltà, ovvero che si lasciano abbindolare alla ricerca di beni terrestri trascurando la verde e fresca erba del Regno dei cieli? Spesso dimentichiamo di avere il Pastore per eccellenza che vuole guidarci verso pascoli eterni, stiamo forse diventando come le altre pecore che non provengono dal recinto di Gesù? Spero di no! Forse siamo troppo tolleranti verso noi stessi, accettando la nostra fragilità umana, riconosciuta dalla misericordia divina che ci scusa e paternamente ci perdona fino a settanta volte sette, sempre? Gesù si presenta in questo brano come il Buon Pastore, si descrive dettagliatamente in modo che tutti possiamo capire. Non è un mercenario ma darebbe, e sappiamo che l’ha data, la sua vita per le sue pecore, noi. Per nessun motivo abbandona le sue pecore che conosce singolarmente e queste conoscono Lui. Meravigliosa la similitudine di questa conoscenza reciproca: “così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Sappiamo che la “conoscenza” biblica implica la comunione intima tra due che si amano. Gesù Pastore non stabilisce un semplice confronto, ma designa la sorgente dell’amore per le pecore. Egli partecipa ai suoi seguaci la comunione di vita che lo unisce strettamente al Padre. Tutti noi possiamo essere certi della comunione trinitaria nella quale siamo inseriti, ma dobbiamo prestare attenzione con l’aiuto dello Spirito a mantenerla viva. L’apprezzamento del Padre, l’amore del Padre è dovuto, oltre alla figliolanza, al sacrificio di Gesù per noi, al dono della sua vita, vita donata ma poi ripresa con la sua risurrezione. La sua morte, accettata liberamente, rappresenta la manifestazione suprema dell’amore del Padre verso l’umanità intera. Gesù sa di essere Pastore anche di quella parte del gregge che si trova fuori dal recinto ossia i pagani, e di coloro che volutamente non vogliono ascoltare la sua voce, il popolo ebreo: anche queste pecore ascolteranno la sua voce per unirsi al gregge che lo segue. E' una profezia? È bello pensarlo. Questo ritorno non renderà vana la sua morte. La comunità cristiana sarà composta da giudei e gentili (pagani) da tutti coloro che ascolteranno la “voce” di Gesù, credendo in Lui. Sull’ascolto della parola di Gesù si fonda l’unità della Chiesa. L’evangelista Giovanni ci ha presentato la figura del Cristo, l’inviato del Padre che agisce nella comunità attraverso lo Spirito per una missione universale. “ Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. Qui si evidenzia la ragione intrinseca di questa missione universale: vi è un solo pastore. Il Logos che in Gesù si è fatto uomo è il Pastore di tutti gli uomini, perché tutti sono stati creati mediante quell’univo Verbo; nonostante tutte le loro dispersioni, a partire da Lui e in vista di Lui sono una cosa sola. Al di là di tutte le dispersioni, l’umanità può diventare una cosa sola a partire dal vero Pastore, dal Logos, che si è fatto uomo per offrire la sua vita, donando così “vita in abbondanza”. (Benedetto XVI in Gesù di Nazaret, dal battesimo alla trasfigurazione.) Gesù è il Pastore di tutti gli uomini: tutti noi, cristiani discepoli di Gesù dobbiamo rivestirci dell’umanità di Gesù per giocare il ruolo di una chiesa aperta al confronto, che non si chiude in se stessa, ma apre il proprio recinto, che dona ciò che ha ricevuto indistintamente ad ogni uomo.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
enzo il 22/04/15 alle 16:42 via WEB
Gesù in questa scena è solo ad agire e parlare. Gli apostoli turbati forse anche per il racconto di quelli di Emmaus, certamente col dubbio nella mente e nel cuore non se l’aspettavano proprio che Gesù apparisse in mezzo a loro. Alle prime parole di Gesù, e anche dopo, non rispondono né con le parole e nemmeno con gesti. Non sappiamo se hanno toccato le piaghe che Gesù volle mostrare loro: “Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Qualcosa si è mosso perché “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito”. I sentimenti degli apostoli sono descritti in modo toccante e profondamente umano: esprimono sconcerto, paura, turbamento, il dubbio di sempre, l’incredulità dell’annuncio eucaristico, lo stupore del Tabor, ma anche la gioia che impediva loro di credere. Da parte sua Gesù mostra la sua persona reale e concreta, non un “fantasma”: Con le sue apparizioni offre prove sempre più convincenti della sua risurrezione come aveva annunciato in vita. Ancora una volta Gesù risorto apre la mente alla comprensione delle Scritture fino alla proclamazione dell’evento pasquale: un vero Maestro che ultima così il suo insegnamento e il suo mandato, perché” nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”. E per ultimo cinque parole che sono un programma di vita per chi lo stava ascoltando: “ Di questo voi siete testimoni”. Gesù chiede la testimonianza che sarà fondamentale per la crescita della futura Chiesa di Gesù e per tutti coloro che sentiranno parlare delle meraviglie di Dio. Delle domande sono d’obbligo a questo punto: se il vangelo è valido anche per me, chiamato come discepolo ad annunciare Gesù e la sua salvezza a che punto è la mia testimonianza? Comprende tutta la mia vita o va avanti a strappi, secondo i miei stati d’animo? Ovvero pensiamo che il Vangelo, la Parola che si è fatta carme, sia una specie di fantasma? O per dire meglio, pensiamo che il Vangelo sia un insieme di parole lontane dalla vita quotidiana, belle ma impossibili a vivere, troppo esigenti, che propongono rinunce e troppi sacrifici? Anche oggi come allora agli apostoli, a ciascuno di noi, Gesù dice: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?
 
GiuseppeLivioL2
GiuseppeLivioL2 il 20/04/15 alle 11:43 via WEB
vorrei condividere queste parole molto belle, ma soprattutto vere, attuali, e molto importanti,,,, non solo interessanti ....!! ^___^ da 'MISERICORDIA , Empatia del mondo ' di Walter Kasper, scritto ben prima dell' incredibile, inaudita, immane strage di migranti, di ieri _____________ Povertà è un tema attuale nel nostro mondo ed è una sfida soprattutto per noi cristiani. Certo, povertà si trova anche da noi, in Occidente. Se faccio una piccola passeggiata attorno a San Pietro incontro non solo molti turisti, ma anche, soprattutto la sera, molti poveri che vivono sulla strada. Nelle periferie di Roma sono ancora molti di più. Grave la povertà nascosta di molti anziani, di molte famiglie, che non possono pagare l’affitto, la corrente, il gas o che alla fine del mese non hanno più soldi per mangiare, per le medicine. Il volto della povertà lo vediamo anche nelle nostre città nel mezzo di una civilizzazione cosiddetta di abbondanza. ........ Il problema della povertà è ancora più grave nell’emisfero sud. Mi ricordo di molte visite negli slum in Africa, Asia, America Latina. Da ogni visita sono ritornato diverso. Lì abitano due terzi dei cristiani. Sono i nostri fratelli e sorelle. Poiché non sanno come vivere vengono da noi, bussano alle nostre porte, arrivano sulle nostre coste e chiedono asilo. Emigrazione e immigrazione sono oggi una realtà per molti milioni, sono segni dei tempi. Domandiamoci: ascoltiamo il grido dei poveri? O facciamo parte della globalizzazione dell’indifferenza? Se fosse così, non saremmo più degni di chiamarci cristiani. ........ Papa Francesco ha capito la sfida e sa interpretare i segni dei tempi. Lui ha il desiderio, pure il sogno, di una Chiesa povera per i poveri. Un programma che ha presentato già nei primi giorni del suo Pontificato e che ha ripetuto spesso; anzi, non solo ripetuto, ma sottolineato con gesti forti: le visita a Lampedusa, in Sardegna, in Albania. E col suo stile di vita semplice. Lui non è più il papa- imperatore, il papa-re, il papa-principe del passato. Ha chiuso definitivamente l’epoca di Costantino e iniziato una nuova era nella storia della Chiesa. ..... Molti erano e molti sono ancora sorpresi e si chiedono: che cosa significa «Chiesa povera per i poveri»? Si domandano: come mai una Chiesa povera può aiutare i poveri? E ci si chiede ancora: il programma del Papa non è forse un programma irrealistico, utopico, romantico? Ma per comprendere il Papa si deve scavare più in profondità. Questo Papa non è né comunista né liberale, è un radicale nel senso originale di questa parola. Lui è radicale perché va alla radice del cristianesimo. Per questo Papa il punto di partenza e la norma sono solo il vangelo di Gesù Cristo. Non a caso la sua lettera apostolica ha il titolo Evangelii gaudium. ........ Si può anche dire: Lui è un papa evangelico, certo non nel senso confessionale, ma nel senso originale di questo termine. Lui vuole un rinnovamento della Chiesa a partire dall’origine. Solo dalla sorgente si può attingere acqua fresca. E di questa acqua fresca abbiamo bisogno. La riforma della Chiesa, che oggi molti richiedono, non è un adattamento allo status quo, alla situazione, al mondo. «Non conformatevi a questo mondo», dice l’apostolo Paolo. Riforma significa ritornare alla forma originale della Chiesa, alla Chiesa del nuovo Testamento, della primitiva Chiesa di Gerusalemme. Certo, non possiamo ripristinarla, ma dobbiamo plasmare la Chiesa in un modo costruttivo e creativo secondo il modello e secondo l’esempio delle origini. In ultima analisi dobbiamo plasmare la Chiesa e la vita di ogni cristiano secondo il modello e secondo l’esempio di Gesù. Questo è il significato della parola 'radicale'. Si tratta di vivere la radicalità della carità e della tenerezza con chi è povero. (...) Vivere la povertà del Vangelo vuol dire poi vivere la misericordia. Nel Sermone sulla montagna Gesù aggiunge alla beatitudine per i poveri un’altra beatitudine: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). E aggiunge: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,38). Che cosa è questa misericordia? Se partiamo dallo stesso termine, misericordia vuol dire avere un cuore per i miseri, avere compassione e lasciarsi muovere dalla sofferenza altrui. Gesù ci mostra che questa compassione non è solo una emozione; l’emozione del cuore deve diventare attiva e portarci a muovere le mani e i piedi per andare incontro e per aiutare l’altro. In questo senso Gesù raccontò la parabola del buon Samaritano: lui sentì compassione per il povero ferito e scese nel fango della strada, toccò e fasciò le sue ferite, lo portò nell’albergo e pagò tutte le spese per lui (Lc 10,29-37). Misericordia è un comportamento attivo che combatte attivamente la povertà e la miseria altrui e la povertà e la miseria nel mondo. La misericordia resiste all’ingiustizia e s’impegna per la giustizia e, come il buon Samaritano, va anche oltre la giustizia. La povertà non è un valore in se stesso, no, è una realtà da combattere e da superare. La misericordia vuol dire farsi povero condividendo i propri beni per superare la povertà degli altri. .......... continua ....................... belliissssssima! ************ ^_____^ ....buonissima settimana ! :) un grande abbraccio, gius
 
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Lory il 16/04/15 alle 02:08 via WEB
Ciao volevo ringraziarti per questo blog che mi ha aiutata molto. E' un peccato che non venga più aggiornato, spero tu possa riprendere a postare i messaggi del Papa.
 
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enzo il 30/03/15 alle 10:02 via WEB
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO Piazza San Pietro XXIX Giornata Mondiale della Gioventù Domenica, 13 aprile 2014 Chi sono io davanti al mio Signore? Questa settimana incomincia con la processione festosa con i rami di ulivo: tutto il popolo accoglie Gesù. I bambini, i ragazzi cantano, lodano Gesù. Ma questa settimana va avanti nel mistero della morte di Gesù e della sua risurrezione. Abbiamo ascoltato la Passione del Signore. Ci farà bene farci soltanto una domanda: chi sono io? Chi sono io, davanti al mio Signore? Chi sono io, davanti a Gesù che entra in festa in Gerusalemme? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre? Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi. Il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, alcuni maestri della legge, che avevano deciso di ucciderlo. Aspettavano l’opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro? Abbiamo sentito anche un altro nome: Giuda. 30 monete. Sono io come Giuda? Abbiamo sentito altri nomi: i discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano che cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io, traditore? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni: sono io come loro? E quando faccio queste cose, se le faccio, credo che con questo salvo il popolo? Sono io come Pilato? Quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone? Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente, per umiliare Gesù. Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, Gli sputano addosso, lo insultano, si divertono con l’umiliazione del Signore? Sono io come il Cireneo che tornava dal lavoro, affaticato, ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce? Sono io come quelli che passavano davanti alla Croce e si facevano beffe di Gesù: “Era tanto coraggioso! Scenda dalla croce, a noi crederemo in Lui!”. Farsi beffe di Gesù… Sono io come quelle donne coraggiose, e come la Mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio? Sono io come Giuseppe, il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore, per dargli sepoltura? Sono io come le due Marie che rimangono davanti al Sepolcro piangendo, pregando? Sono io come quei capi che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire: “Guarda che questo diceva che sarebbe risuscitato. Che non venga un altro inganno!”, e bloccano la vita, bloccano il sepolcro per difendere la dottrina, perché la vita non venga fuori? Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio? Che questa domanda ci accompagni durante tutta la settimana.
 
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enzo il 23/03/15 alle 10:00 via WEB
Enzo: Questo brano di vangelo stupisce ogni volta che lo leggiamo, è così profondo che ha bisogno di essere letto e riletto. Cosa in realtà ci vuol dire l’evangelista Giovanni? Giovanni nel suo vangelo è preso dall’attesa dell’ora ultima di Gesù. Forse fu l’unico discepolo di Gesù a capire fino in fondo la realtà del Messia, Salvatore del popolo di Dio, prima che arrivasse l’ora stabilita dal Padre. Non meravigliano che dei Greci chiedano a Filippo di vedere Gesù, forse per curiosità avendo sentito le meraviglie operate da Lui. Gesù informato del fatto sembra non interessarsi a loro, intraprende invece un discorso di vita, mentre si avvicinava l’ora della sua morte. “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”, così risponde ad Andrea e Filippo e indirettamente alla richiesta dei greci di vederlo. La loro domanda sembra non avere risposta ma un significato importante ce lo dà il monologo di Gesù: era necessario che il Figlio dell’uomo fosse innalzato in croce e alla gloria perché anche i pagani potessero vedere Gesù con l’occhio della fede e godere i frutti della redenzione. Questa è l’ora della glorificazione di Gesù, l’ora della glorificazione del Padre in Gesù: la missione di Gesù sarà presto compiuta non senza la debolezza dell’uomo che era in lui: la mia anima è turbata, è giunta la mia ora. La “sua ora”, mille miglia lontana dalle nozze di Cana, adesso è arrivata. Gesù non si tira indietro, dà una spiegazione a questa sua decisione: la sua morte è necessaria come il chicco di grano che muore per produrre frutto, se non muore rimane solo. Per Gesù non era sufficiente venire sulla terra, era necessario donare la sua vita, perché apparisse chiaro l’amore del Padre e del figlio per la salvezza dell’uomo: doveva morire per dare credibilità alla sua missione, morire per dare forza e vita a coloro che continueranno ciò che Lui ha iniziato. Nelle sue parole, un invito per chi lo seguirà:”Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà”. La morte di Gesù è la condizione perché la Chiesa nasca e si espanda in tutto il mondo. Il destino dei credenti sarà quello di Gesù” : “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. La morte di Gesù è l’istante fondatore dell’essere cristiano, della Chiesa. La scena si completa con una voce che arriva dal cielo, destinata al popolo presente, Gesù si preoccupa subito di dare una spiegazione: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». La gente che lo circonda non si rende conto del valore della missione di Gesù. Il mistero pasquale si caratterizza per il giudizio che esprime sul principe del questo mondo, Satana. Sembra che Satana abbia vinto, ma è arrivato il giudizio vero, il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Dalla croce Gesù attirerà tutti a sé. La croce da simbolo di vergogna e di martirio diventerà segno di vittoria. “La croce -scriveva Simone Weil- è la nostra patria…nessuna foresta porta un tale albero, con questo fiore, con queste foglie e questo seme… Se noi acconsentiamo, Dio getta in noi un piccolo seme e se ne va. In quel momento Dio non ha più niente da fare e neppure noi, se non attendere. Dobbiamo soltanto non pentirci del consenso nuziale, che gli abbiamo accordato”.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
enzo il 15/03/15 alle 19:14 via WEB
ENZO: Questo brano segue il dialogo di Gesù con Nicodemo. Non è più un dialogo ma un monologo: difficile affermare che siano parole di Gesù rivolte ancora a Nicodemo o una riflessione dell’evangelista Giovanni, forse di tutti e due. Questa riflessione comunque dà credito alla missione di Gesù: radicata nella storia di Israele la missione di Gesù apporta il compimento delle Scritture. Gesù ci rivela che il piano salvifico del Padre prevedeva la sua morte in croce. L’innalzamento del serpente da parte di Mosè nel deserto strappava alla morte gli ebrei infedeli, l’innalzamento sulla croce di Gesù, il Figlio dell’uomo, sarà segno di salvezza per coloro che crederanno in Lui. L’innalzamento sulla croce coincide con l’esaltazione di Gesù, come per l’innalzamento del serpente nel deserto indicava la potenza di Dio. L’esaltazione nel vangelo di Giovanni è il centro di tutta la rivelazione della salvezza: la morte in croce di Gesù è l’ora tanto attesa quanto osteggiata della Redenzione, quell’ora diventerà per ogni uomo l’attimo che cambierà la sua vita, il momento in cui per mezzo dello Spirito Santo potremo dire: “Credo in te, Gesù, mio Salvatore”. La croce è esaltazione perché luogo e segno della rivelazione dell’amore di Dio: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Unica condizione richiesta per avere la vita è l’accoglienza del dono di Dio con l’adesione di fede al Figlio unigenito. Incondizionata deve essere la risposta dell’uomo: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Chi non crede si condanna da sé perché continua a preferire le tenebre alla luce, rifiuta la Luce che è venuta nel mondo, la odia: :” la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie”. L’uomo abusando della sua libertà diventa giudice di se stesso. La liturgia di questa domenica anche se fa intravedere la croce, è un richiamo alla gioia, un viaggio verso la luce: è un invito alla fede in Dio e a compiere le opere in Lui. L’amore incondizionato di Dio in Gesù esige la risposta dell’uomo. Dio ha fatto la sua parte:” Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Salvezza vuol dire riconciliazione, riconoscenza, ringraziamento, lode. Chi ha creduto, chi crede nel mistero di Gesù opera come Gesù, “fa la verità”, va verso la luce: le sue opere sono approvate perché sono state fatte in Dio, nell’amore di Dio. Fa la verità colui che rinnega il peccato, accoglie la Parola e crede in Gesù e in colui che lo ha mandato Festeggiamo l’espressione ultima dell’amore di Dio: spesso siamo abituati a guardare la croce sotto l’aspetto sacrificale e sanguinoso con un gesto di pietà verso Gesù sofferente. L’aspetto più positivo che ci fa guardare verso l’alto, l’esaltazione, ci dice che nella croce il Figlio e il Padre sono in comunione perfetta con uno stesso amore per la salvezza dell’uomo. Gesù ha lasciato alla Chiesa, suo popolo, il compito di continuare la sua missione nel mondo che non lo conosce o che lo nega. Chiede ad ognuno di noi di operare come lui, abbracciare la sua croce, innalzarci cioè sacrificarsi per il Regno di Dio, pregare insistentemente per coloro che si autoescludono dalla salvezza gratuita , pregare per la sua Chiesa che sia santa al cospetto del Padre e testimone del suo inviato, Gesù.
 
seiononavessime
seiononavessime il 09/03/15 alle 22:15 via WEB
Se l'essere umano imparasse ad amare se stesso e gli altri senza interesse alcuno. Non mi spiego perché non sia capace di essere felice e di perdonare. E pensare che basterebbe poco per vivere in armonia.. chissà forse un giorno qualcosa cambierà. Grazie per aver pubblicato questo pezzo
 

MOVIMENTO PRO SANCTITATE

Il Movimento Pro Sanctitate
fondato a Roma nel 1947
da Mons. Guglielmo Giaquinta,
Vescovo e Servo di Dio,
promuove la formazione
di persone disponibili
ad essere testimoni del messaggio
di amore e di santità
portato da Cristo.
Propone incontri di spiritualità,
cammini di formazione, ritiri,
esercizi spirituali, missioni ministeriali,
corsi per animatori parrocchiali.
Attraverso il suo Centro
editoriale cura e diffonde
pubblicazioni di spiritualità
e di agiografia.
I membri, associati e aderenti,
si impegnano ad annunciare
a tutti e in ogni ambiente
l'infinito amore del Padre
che chiede una risposta massima
di amore.

 

_______________________________

Movimento Pro Sanctitate
Chiesa S. Nicolò al Borgo
Via Raimondo Feletti, 2
angolo via Antonino Longo
CATANIA
E-mail: ducinaltum@simail.it

 

LE NOSTRE SEDI IN ITALIA

Brescia e-mail:
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natura

Il santo di oggi e':
•un uomo aperto
che abbia capacita' di cogliere
il fermento di bene, di ansia,
di attese e di speranze.
•un uomo della gioia.
Il mondo cerca sguardi
che siano pieni di serenita'
e di gioia: la felicita'
e' la ricerca profonda
del cuore umano.
Se abbiamo trovato la felicita'
in Cristo dobbiamo emanare gioia.
•un uomo dinamico.
Occorrono dei rivoluzionari
dell'amore, persone capaci
di creare intorno a se'
un movimento di rivoluzionari
dell'amore.
Il passato, il futuro,
la cultura, la mentalita',
la civilta' della santita'.
Una civilta' della santita'
dove le singole mentalita'
diventano mentalita' diffusa:
non piu' solo io,
non piu' solo tu,
non piu' solo un altro,
ma tutti insieme, santi insieme.

Guglielmo Giaquinta

 

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buona giornata

 
 
 

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