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SPERANDO NEL 2009....

Post n°44 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da amministratore_blog

...L’Indice delle liberalizzazioni stilato dal think-tank italiano traguarda i nostri successi sul benchmark dei migliori, Gran Bretagna, Irlanda e Svezia. Benone il comparto elettrico, malissimo fisco e lavoro. Il colpevole? Si chiama Stato…
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L’Indice delle liberalizzazioni 2008 non lascia spazio a dubbi: l’economia italiana versa in una protratta situazione di stallo, che ingessa il Paese e che è indice di un declino lento ma costante. Realizzato per il secondo anno consecutivo dall’Istituto Bruno Leoni di Torino, lo studio misura il livello della libertà d’iniziativa italiana, la quale è passata globalmente dal 48% del 2007 al 47% attuale, e questo in dodici settori chiave dell’economia nazionale. Dall’elettricità alle telecomunicazioni, dal gas al trasporto aereo, dal trasporto ferroviario ai servizi postali, dal mercato del lavoro alle professioni intellettuali, inclusi quattro nuovi comparti: i servizi idrici, il trasporto pubblico locale, il fisco e la pubblica amministrazione.

Lo studio parte da un assunto evidente. Per “liberalizzazione” s’intende la diminuzione di barriere d’ingresso nel campo dell’intrapresa e in generale della vita economica del Paese, barriere la cui esistenza dipende precisamente da decisioni in senso lato “politiche”. Insomma, sempre e comunque dall’ingombro dello Stato.
Liberalizzare significa invece accrescere le possibilità concrete che gli attori della scena imprenditoriale-economica hanno di entrare sul mercato e quindi di competere con gli altri soggetti presenti allo scopo di soddisfare una domanda dei consumatori di cui comunque s’intuisce l’esistenza anche laddove il panorama appare stagnante. Di per sé, dunque, a uno studio serio sulle liberalizzazioni come quello prodotto per l’Italia dall’IBL interessa poco il risultato materiale, la performance dei mercati o il numero dei concorrenti. Interessa molto invece il quadro generale del Paese che su questo tema si può disegnare, la valutazione del clima vigente, l'orizzonte di movimento.

9 su 12 gl’inglesi sono liberi
Nell’“Indice”, del resto, la valutazione del grado di liberalizzazione viene operata  creando, per ciascun settore preso in esame, una griglia di criteri e di sottocriteri di natura qualitativa o quantitativa, i quali vengono poi messi a confronto con i risultati ottenuti dal Paese dell’Unione Europea che gode dell’economia più aperta e libera (liberalizzata). Per esempio, nel campo delle telecomunicazioni, si tratta di valutare l’entità delle barriere giuridiche d’ingresso al mercato che incontrano i nuovi possibili competitori, il numero degli operatori già attivi e la quota di partecipazione statale che ancora pesa sul soggetto attualmente dominante il mercato (in genere l’ex monopolista), tutti elementi che possono fortemente condizionare il mercato, e  quindi libertà imprenditoriale-economica di cui esso vive, in un senso o nell’altro.
Ebbene, in ben nove settori su dodici il Paese dove l’economia vanta maggiori spazi di libertà è il Regno Unito (o addirittura la sola Inghilterra), ma non sono comunque da meno la Svezia e l’Irlanda, nazione, questa, in cui il trasporto aereo è oggi liberalizzato ai livelli massimi.

Emerge così che alcuni settori dell’economia italiana hanno nel 2007 beneficiato di un leggero aumento del tasso di liberalizzazione a motivo di una “inerzia positiva”, a causa, cioè, della stabilità normativa che consente la scommessa imprenditoriale di un maggior numero di attori, con conseguente aumento della concorrenza.
In cima alla classifica italiana (74% rispetto al benchmark inglese, con un miglioramento del 2%) sta oggi il mercato elettrico, grazie all’ottimo livello di suddivisione della rete e alla presenza di strutture di mercato che permettono l’incremento della capacità di generazione, senza contare che il possibile aumento verso quote di mercato libero potrebbe portare a importanti riduzioni di prezzo.
Non male anche il settore del trasporto aereo, cresciuto del 4%, ovvero oggi a quota 70% rispetto al mercato irlandese, grazie all’eliminazione delle restrizioni dei voli da e verso la Sardegna, e all’accordo Open Skies tra Europa e Stati Uniti che ha liberalizzato le rotte atlantiche a conferma del consolidarsi, nell’ultimo decennio, di una floridezza del settore favorita dalle norme europee, dalle decisioni prese a livello comunitario e dalla crisi di Alitalia.

Registra, invece, una flessione di ben il 5% la liberalizzazione del mercato italiano delle telecomunicazioni (sceso al 35% rispetto al Regno Unito), dovuta a interventi politici specifici: l’abolizione dei costi di ricarica per le carte prepagate ha infatti introdotto un elemento dirigistico in un campo fino a ora largamente libero, laddove gl’interventi “forti” del governo contro potenziali acquirenti dell’ex monopolista telefonico (che hanno avuto l’effetto collaterale di causare uno scontro tra mondo politico e azionisti) hanno portato allo stallo nel processo di separazione funzionale della rete fissa, frapponendo così un ostacolo enorme – il maggiore – all’istituzione di un regime di autentica concorrenza.

Troppe tasse, e non è finita
Un quasi insignificante +1% si registra infine nel trasporto locale, nei servizi postali e nel fisco. In quest’ultimo caso il grado di liberalizzazione italiano è purtroppo fermo al 52% rispetto a quello della Gran Bretagna, a causa dell’asfissiante tassazione delle persone fisiche e alla non ancora netta semplificazione dei meccanismi di prelievo. Le ore che le imprese italiane sono costrette a destinare agli obblighi fiscali ammontano a 360 contro le 105 britanniche... Va peraltro sottolineato che gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 2006: sono quindi da tenere in conto, per i mesi a venire, le ulteriori conseguenze negative causate dalla riforma dell’Irpef varata dal governo guidato da Romano Prodi, in particolare per quel che riguarda l’inasprimento sui redditi medio-alti e l’aumento del numero di aliquote.

La situazione più drammatica è però quella che fa registrare dal mercato del lavoro, dove il grado di liberalizzazione arretra del 15% rispetto al 2007 e questo per un «efficace lavoro di guerriglia normativa» (come ironizzano gli esperti autori dell’“Indice” IBL) che ha bloccato il processo di riforma facendo, in alcuni casi, retrocedere la legislazione  di 15 o di 20 anni. Nel lavoro a termine è stata ripristinata una regola sulla eccezionalità e, in materia di sicurezza sul luogo del lavoro, le regole sono diventate ancora più complesse.
In questo quadro, risuona come un ultimatum il mea culpa di Federica Guidi, presidente dei Giovani di Confindustria, che a nome della categoria dice a il Domenicale: «il mondo delle relazioni industriali non riesce più a intercettare il cambiamento ed è giunto invece il momento di deregolamentare, come proposto dal ministro Maurizio Sacconi, e di valorizzare il capitale umano, consentendo a esso di crescere, di stare sul mercato e di essere premiato in base al merito».

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